martedì 22 febbraio 2011

Byron. George Gordon Byron, Manfred. Versione di Carmelo Bene.

George Gordon Byron, Manfred

(Versione italiana e riduzione di Carmelo Bene)

"Spirito: Che vuoi? /

Voce altro Spirito: Che vuoi? /

Manfred: Tu non mi puoi rispondere. Chiama i morti! / La mia domanda è a loro! /

Voce altro Spirito: Grande Arhiman, la tua volontà / consente ai desideri di questo mortale? /

Arhiman: Sì. /

Voce altro spirito: Chi vuoi disseppellire? /

Manfred: Una che non ha tomba. Evoca Astarte. /

Voce Nemesi: Ombra, Spirito chiunque tu sia, / che serbi ancora, in tutto o in parte, / la forma della nascita, l'involucro / d'argilla che ritornò alla terra, / riappari! ... /

Riporta con te / quello che tu portavi: cuore e forma / sottrai ai vermi l'aspetto che fu tuo / Appari. Appari. Appari! /

(Glaciale Silente Apparizione Ectoplasma Astarte)

Manfred:
- Possibile che questa sia la morte? / Le guance sono rosse. Ma ora / vedo, non è un colore vivo, / ma stranamente febbrile; / il rosso innaturale che l'autunno imprime / sulle foglie morte. /
... È Lei! ... La stessa ... Oh Dio! /
Ch'io debba raggelare nel guardarla? ... /
Astarte! ... Perdonami ... o dannami!... /
Io non posso, ma ditele di parlare! /


Voce Nemesi:
- Per quel potere che ha infranto la tomba / che ti rinchiudeva, / rispondi a questi che ti ha parlato! /
Parla a chi ti ha evocato. /

Manfred: Tace. Questo silenzio mi risponde. /

Voce Nemesi:
- Il mio potere si ferma qui.
Principe / dell'aria, tu solo puoi. Comandale / di parlare. /

Arhiman:
- Spirito, obbedisci a questo scettro! /

Nemesi:
- Tace sempre. Non è del nostro ordine. / Appartiene ad un altro potere.
Mortale, / la tua ricerca è vana /

Manfred:
- Odimi, odimi, Astarte, / amata, parlami!
Tanto ho sofferto / e soffro ancora tanto. Guardami /
La tua fossa non ti ha mutato tanto / quant'io son mutato per te. /
Troppo mi amasti, come io ti amai. /
Non eravamo fatti per torturarci così, / quantunque fosse il più empio dei peccati / amarci come noi ci amammo ... /
Dimmi che tu non mi detesti ... /
Che io sconto il castigo per entrambi, / che tu sarai del numero beato, / e io morrò ... Perché finora tutto / quel che odio cospira a incatenarmi / all'esistenza, a una vita che mi esclude / dall'immortalità, dove il futuro / è simile al passato.
Non ho tregua. /
Non so che cosa chiedere o cercare. /
Sento soltanto quello che tu sei / e io sono. Ma, prima di morire / vorrei udire di nuovo quella voce / che era la mia musica. /





Parlami!
Ti ho invocato nelle notti / serene, ho spaventato gli uccelli / addormentati tra i silenziosi rami, / per chiamare te ... /
Ho risvegliato i lupi montani / ho appreso alle caverne a riecheggiare / invano il nome tuo adorato; tutto / rispose, tranne la tua voce.

Parlami! /
Ho errato sulla terra e non ho mai / trovato a te l'uguale.

Parlami! /
T'ho cercato tra le stelle a venire, / ho contemplato il cielo inutilmente, / senza trovarti mai.
Parlami!
Guarda, / i demoni a me attorno, hanno pietà / di me che non li temo ed ho pietà / per te soltanto.

Parlami!
Sdegnata, / se vuoi, ma parlami! ...
Dimmi / non so che cosa, ma che io ti senta / una volta ancora ... /

Fantasma d'Astarte:
- Manfredi! /

Manfred:
- Parla, continua! Io vivo in questo suono. / È la tua voce. /

Fantasma d'Astarte:
- Manfredi; domani avranno termine / le tue sventure terrene. Addio. /

Manfred:
- Ancora una parola: ho il tuo perdono? /

Fantasma d'Astarte:
- Addio. /

Manfred:
- Dimmi: ci rivedremo ancora? /

Fantasma d'Astarte:
- Addio. /

Manfred:
- ... Pietà ... Dimmi che m'ami. /

Fantasma d'Astarte:
- Manfredi! / /

(Glaciale come pervenuto, il Fantasma d'Astarte scompare)



caricamenti (simonzio2)




[Lord George Gordon Byron - Schumann, Manfred (Versio italica, riduzione, interpretazione di Carmelo Bene. Con la partecipazione di Lydia Mancinelli. Orchestra e Coro del Teatro alla Scala. 1980. Abstract].






__________________
_________________

domenica 20 febbraio 2011

κατάβασις-Orfeo-ed-Euridice-Contributi.

Gustave Moreau, Orphée, 1865, tableau, huile sur bois, peinture à l'huile
Paris, Musée d'Orsay. 
(Particolare testa di Euridice) (1)


Contributi a Losfeld

(a cura di E.a.L.)

Sguardi Incrociati.

Molecole del Sentire.

Il Mito di Euridice nella Contemporaneità.

Vibrazioni di una Naumachìa dell'Anima.



Alda Merini

La Presenza di Orfeo (2)

A Paolo Bonomini

Non ti preparerò col mio mostrarmiti
ad una confidenza limitata,
ma perché nel toccarmi la tua mano
non abbia una memoria di presagi,
giacerò nell’informe
fusa io stessa, sciolta dentro il buio,
per quanto possa, elaborata e viva,
ridivenire caos...

Orfeo novello, amico dell’essenza,
modulerai di nuovo dalla cetra
la figura nascente di me stessa.

Sarai alle soglie piano e divinante
di un mistero assoluto di silenzio,
ignorando i miei limiti di un tempo,
godrai il possesso della sola assenza.

Allora, concretandomi in un primo
accenno di presenza,
sarò un ramo fiorito di consenso,
e poi, trovato un punto di contatto,
ammetterò una timida coscienza
di vita d’animale
e mi dirò che non andrò più oltre,
mentre già mi sviluppi,
sapienza ineluttabile e sicura, //
[p. 15] in un gioco insperato di armonie,
in una conclusione di fanciulla...

Fanciulla: è questo il termine raggiunto?
E per l’addietro non l’ho maturato
E non l’ho poi distrutto
delusa, offesa in ogni volontà?

Che vuol dire fanciulla
se non superamento di coscienza?

Era questo di me che non volevo:
condurmi, trascurando ogni mia forma,
al vertice mortale della vita...

Ma la presenza d’ogni mia sembianza
quale urgenza incalzante di sviluppo,
quale presto proporsi
e più presto risolversi d’enigmi!

E quando poi, dal mio aderire stesso,
la forma scivolò in un altro tempo
di più rare e più estranee conclusioni,
quando del mio “sentirmi” voluttuoso
rimase un’aderenza di dolore,
allora, allora preferii la morte
che ribadisse in me questo possesso.

Ma ci si può avanzare nella vita
mano che regge e fiaccola portata
e ci si può liberamente dare
alle dimenticanze più serene
quando gli anelli multipli di noi
si sciolgano e riprendano in accordo,
quando la garanzia dell’immanenza //
[p. 16] ci fasci di un benessere assoluto.

Così, nelle tue braccia ordinatrici
io mi riverso, minima ed immensa;
dato sereno, dato irrefrenabile,
attività perenne di sviluppo.
(25 febbraio 1949) 

Giovanni Segantini, L'Amore alla Fonte della Vita (1896). (3)



A Giorgio Manganelli
1.
Alda Merini

La Presenza di Orfeo


No te prepararé mostrándome a ti
en una intimidad ilimitada,
para que, al tocar tu mano,
no tenga una memoria de presagios,
yaceré en lo informe
yo misma fundida, derretida en la oscuridad,
para en lo posible, elaborada y viva,
pueda volver caos…
Orfeo, novel amigo de la ausencia,
modularás de nuevo con tu citara
la figura que nace de mi misma.
te hallarás, parsimonioso y adivino,
en el umbral de un misterio absoluto de silencio,
ignorando mis límites de un tiempo,
Gozarás al poseer la sola ausencia.
Entonces, concretándome en un primer
gesto de presencia,
seré una rama florecida de consenso,
y después, encontrando un punto de contacto,
admitiré una tímida conciencia
de vida de animal,
y me diré que ya no iré más allá,
mientras que tú me desarrollas,
sapiencia ineluctable y segura,
en un juego inesperado de armonías
en una conclusión de muchacha…
Muchacha ¿ese es el término alcanzado?
Y por el revés no lo he madurado
¿no lo he destruido después
decepcionada, ofendida en toda voluntad?
¿qué quiere decir muchacha,
sino superación de la conciencia?
Era esto de mí que no quería:
Llevarme, sin preocuparme de ninguna forma,
al vértice mortal de la vida…
¡Mas la presencia de todas mis facciones
es como urgencia que me empuja a crecer,
súbita propuesta
y aún más súbita resolución los enigmas!
Y cuando después, de mi adherencia misma,
la forma resbaló a otro tiempo
de más raras y extrañas conclusiones,
cuando de mi sentir voluptuoso
quede una adherencia de dolor,
entonces, entonces preferiré la muerte
que confirme en mi esta posesión.
Pero podemos avanzar por la vida
mano que sujeta y antorcha en alto
y también podemos dedicarnos
a los olvidos más serenos
cuando nuestros múltiples anillos
se disuelvan y se retomen en acuerdo,
cuando la seguridad de la inmanencia
nos envuelva en un bienestar absoluto.
Así, entre tus brazos ordenadores
yo me vierto, mínima e inmensa;
hecho sereno, hecho irrefrenable
actividad perenne de evolución.

(25 de febrero de 1949)


 

Carmen Consoli, Orfeo. (4)

 

 


NOTE

FONTI LETTERARIE
MERINI. Alda Merini, La presenza di Orfeo. (In Ambrogio Borsani, a cura di, Alda Merini. Il Suono dell'Ombra. Poesie e prose 1953 - 2009, Milano, Mondadori, 2010, pp. 14-16).
Si ha occasione di precisare che nel testo a stampa antologico sopra citato la raccolta dei 22 brani poetici recanti il nome di La presenza di Orfeo è dedicata a Ida Borletti e che l'omonima poesia è dedicata a Paolo Bonomini, non a Giorgio Manganelli.

Si ha modo di offrire una versione in lingua spagnola, ove se ne vuole la dedica al Manganelli. 
http://www.escritorasyescrituras.com/download/aldamerini.pdf

ICONOGRAFIA
MOREAU. Gustave Moreau, Orphée:
 (1313 x 2069)

SEGANTINI. Giovanni Segantini, L'Amore alla Fonte della Vita (1896).


MUSICOLOGIA - VIDEO - NUOVE TENDENZE
CONSOLI. Di Carmen Consoli, Introduzione a Orfeo, ved. 
https://www.youtube.com/watch?v=gSnnxF45ugs














_________________

Arnold Böcklin, Toteninsel (L'Isola dei Morti), 1880. "Lei potrà sognando inoltrarsi nell'oscuro mondo delle ombre finchè le sembrerà di percepire il leggero alito che increspa il mare, e avrà timore di disturbare il solenne silenzio con una parola espressa a voce alta..." ( 29 Aprile 1880. A. Böcklin, alla committente Marie Berna).

Memorie. Colme di Cassetti. 01

Arnold Böcklin, Toteninsel (L'Isola dei Morti), 1880, Olio su tela, 111x155. Firmato in basso a sx: A B. Basilea, Kunstmuseum (Inv. n° 1055). - Bibl. Christ (154); Andree (343).
Il quadro, dipinto a Firenze, è pervenuto al Museo <di Basilea> nel 1920, dopo vari passaggi. E' la prima versione della serie della Toteninsel, il motivo più famoso e celebrato dell'artista. Di questo soggetto esistono cinque versioni:
- la seconda (1880) si trova al Metropolitan Museum di New York,
- la terza (1883)
- e la quarta (1884)
risultano disperse, e l'ultima redazione (1886) è conservata a Lipsia (Museum der Bildenden Kunste).
E' nota la circostanza che originò il dipinto. Marie Berna, visitando a Firenze nel 1880 lo studio del pittore gli aveva richiesto "un quadro per sognare...".
Böcklin cominciò a lavorare al primo dipinto, poi si interruppe, e incominciatone un secondo lo terminò in breve tempo.

Ivi: Lei potrà sognando inoltrarsi nell'oscuro mondo delle ombre finchè le sembrerà di percepire il leggero alito che increspa il mare, e avrà timore di disturbare il solenne silenzio con una parola espressa a voce alta..."
( 29 Aprile 1880. A. Böcklin, alla committente Marie Berna).

Note da: AA.VV. Arnold Böcklin e la Cultura artistica in Toscana, Fiesole, Palazzina Mangani 24 luglio - 30 settembre 1980, De Luca Editore, scheda pp. 102-3.

I.


II.


III.


V.




Versioni
Toteninsel, 1880. Prima versione (Basilea).
Toteninsel, 1880. Seconda versione (New York).

Toteninsel, 1883. Terza versione (Dispersa).

Toteninsel, 1884. Quarta versione (Dispersa).

Toteninsel, 1886. Quinta versione (Lipsia).











 





Sergey Rachmaninov - The Isle of the Dead, Op. 29 (part 1/2). St. Petersburg Philharmonic Orchestra, conducted by Mariss Jansons.
http://www.youtube.com/watch?v=N10YZ2Sk3Kg&NR=1




Sergey Rachmaninov - The Isle of the Dead, Op. 29 (part 2/2). St. Petersburg Philharmonic Orchestra, conducted by Mariss Jansons.
http://www.youtube.com/watch?v=zn0L9-vxv0g&feature=related












Img 01-05 desunte da: http://it.wikipedia.org/wiki/L'isola_dei_morti_(dipinto)
 I.

Gustav Mahler, Symphony No.1 in D Major "Titan" III.Funeral March (A) http://www.youtube.com/watch?v=WVsLCzSK7Rs&feature=related
Music composed by Gustav Mahler. Michael Tilson Thomas; San Francisco Symphony Orchestra.

Sergey Rachmaninov - The Isle of the Dead, Op. 29 (part 1/2). St. Petersburg Philharmonic Orchestra, conducted by Mariss Jansons.http://www.youtube.com/watch?v=N10YZ2Sk3Kg&NR=1


Sergey Rachmaninov - The Isle of the Dead, Op. 29 (part 2/2). St. Petersburg Philharmonic Orchestra, conducted by Mariss Jansons.http://www.youtube.com/watch?v=zn0L9-vxv0g&feature=related


Richard Wagner, Tristan und Isolde - Prelude.
Zubin Mehta conducting Bayerische Staatsoper Bayerisches Staatsorchester (National Theatre
Munich)

http://www.youtube.com/watch?v=fktwPGCR7Yw&feature=related

Richard Wagner, Siegfried funeral march. 
http://www.youtube.com/watch?v=L8wHteSOwW4



Richard Wagner - Die Walküre - Inicio primer acto. http://www.youtube.com/watch?v=lpJj9c2OV-0&NR=1



Richard Wagner - Die Walküre: "The Ride of the Valkyries" (Boulez)
http://www.youtube.com/watch?v=1aKAH_t0aXA&feature=related



__________________________

Progetto 
LOSFELD:
Nello sfondo, sulla sponda di un Mare nero, riconosco me stesso, una figurina minuscola che pare disegnata col gesso. Questo è il mio posto d'avanguardia, sull'Estremo Limite del Nulla: sull'orlo di quell'Abisso combatto la mia battaglia. (Ernst Jünger)



Ad una Naumachìa di barchette dorate affidiamo Ricordi.


"Godi se il vento ch'entra nel pomario / vi rimena l' ondata della vita: / qui dove affonda un morto / viluppo di memorie, / orto non era, ma reliquario. / Il frullo che tu senti non è un volo, / ma il commuoversi dell'eterno grembo; / vedi che si trasforma questo lembo / di terra solitario in un crogiuolo. / [p.16] Un rovello è di qua dall’erto muro./ Se procedi t’imbatti/ tu forse nel fantasma che ti salva: / si compongono qui le storie, gli atti/ scancellati pel giuoco del futuro./ Cerca una maglia rotta nella rete/ che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!/ va, per te l’ho pregato, - ora la sete/ mi sarà lieve, meno acre la ruggine…"
(Eugenio Montale, Ossi di Seppia - In Limine, Mondadori, XV Ediz., 1962 [s.l.st.], pp. 14-16).

_________________
http://parzifalpurissimo.blogspot.com/ - a cura di Giovanni Pititto
(E-mail: parzifal.purissimo@gmail.com




_________________



Michelangelo Merisi da Caravaggio, detto Il Caravaggio.Le opere qui in esame risultano caratterizzate da quel profondo senso di angoscia di morte che sembra essere stata l’ossessione esistenziale dell’artista in tali ultimi anni della propria vita.

Caravaggio. Le opere qui in esame appartengono a tale difficile periodo: del soggiorno maltese, di quello siciliano, del secondo soggiorno napoletano. E risultano tutte caratterizzate da quel profondo senso di angoscia di morte che sembra essere stata l’ossessione esistenziale dell’artista in tali ultimi anni della propria vita.


Memorie XXX. Colme di Cassetti.

CARAVAGGIO
Le opere qui in esame appartengono a tale difficile periodo: del soggiorno maltese, di quello siciliano, del secondo soggiorno napoletano. E risultano tutte
caratterizzate da quel profondo senso di angoscia di morte che sembra essere stata l’ossessione esistenziale dell’artista in tali ultimi anni della propria vita.

Che poi ne acuì, nella leggenda che circonda la biografia, l’immagine a volte distorta – di “pittor maledetto” e di “pittor ribelle”.  Distorsione che si registra ben sino al 1951-52, quando, a seguito di importanti studi di Roberto Longhi, che anche ne curò una importante mostra, la nera leggenda intorno all’uomo si intersecò con evidenti incomprensioni e distorsioni anche della vicenda artistica. 

Già le fonti del periodo stesso dell’artista: Baglione, Mancini, Bellori, pur essendo preziose poiché dettagliate sulla vita ed opere, ne risultano nei giudizi fortemente tendenziose.

Nel periodo successivo si registra un vero e proprio silenzio, in merito ad ogni approfondimento sulla figura ed opera di Caravaggio.

Il merito del Longhi è quindi notevole, avendoci restituito sia l’artista nella sua sofferta dimensio ne umana, sia in quella – eccelsa – del valore e spessore artistico.

Dal 1952, quindi, gli studi sul Caravaggio risultano numerosi.

Con specifico riferimento alle tre opere in esame si individueranno quindi quegli elementi attinenti al loro principale portato simbolico: l’ansia e la speranza per una pronta grazia, l’angoscia e la disperazione nella cupa attesa, il sentimento cristiano – di un cristianesimo difficile, di protesta, evangelico – a cui insistentemente nelle tre opere s’appella  nell’invocare il perdono.

Ma per pervenire a questo, è necessario ripercorrere alcuni tratti e della leggenda e del suo sfatamento.

I primi suoi contatti con gli ambienti innovativi (riformati) del cristianesimo lombardo, a loro volta eredi di una lunga tradizione di fermenti medievali, tesi a rinnovare la Chiesa in funzione evangelica, si registrano già nei primi anni della formazione: 1584-1592.

E’ nel periodo romano, specie dopo il primo difficile inserimento, che, al servizio del cardinale Del Monte, la sua produzione si scontra con una critica abituata al gusto celebrativo e delle grandiose rappresentazioni. E’ già un pittore di frontiera. Una tendenziosa e distorta critica da lì a poco lo presenterà quale artista insofferente alle convenzioni, e ribelle. E con ciò si intende alle regole dell’accademica maniera. 

Nelle opere di questo periodo, già Caravaggio innova fortemente sia le categorie dei soggetti rappresentabili, sia il modo stesso della raffigurazione. Supera anche il proprio naturalismo lombardo, concentrandosi non già su una generale “naturalità e veridicità raffirativa del soggetto”, bensì su di una potenza espressiva che si concentra su pochi sceltissimi elementi tratti dal vero.

E’ appunto la frequentazione degli ambienti culturalmente raffinati del suo mecenate e committente: Del Monte, che gli offre quel bagaglio di temi e di riferimenti a far sì che la produzione di questo periodo ne risulti non una semplice copia della realtà, bensi un filtrare l’aspetto della realtà attraverso un animo fortemente emotivo.

E’ dunque un approccio a quella caratterizzazione di arte fortemente simbolica e piena di riferimenti culturali, che da lì innanzi sempre più sviluppò. La tradizione di un Caravaggio semplice, a volte popolaresco, erede di certo tratto “deformante” del naturalismo lombardo è quindi ormai del tutto accantonata.

Nelle sue opere si vede una grande tensione morale, un piano di idee, certo a volte disorganizzato, ma ciò è una delle conseguenze – anche – della vita non certo regolata in cui ebbe più volte a dibattersi.

La produzione degli anni 1595-96 è quindi importante, poiché basilare per tutto un suo successivo sviluppo:
-  studio della classicità ma trattata con un abbassamento dei suoi valori in una resa pittorica che non li elegge a modello, contrariamente all’uso imperante di ritenerla sublime e di raffigurarla idealizzata;
-  metodo di concentrarsi su particolare resa luministica di alcuni effetti, su di essi portando a concentrarsi l’attenzione dello spettatore;
-   porre in primo piano le allegorie riguardanti i sensi, ma in tono minore, approfondendo l’analisi sul mondo dei semplici e dei reietti; cosa che il mondo aulico, celebrativo, accademico, dell’epoca, completamente respingeva anche quale solo concetto;
-  approfondimento, man mano, di una sempre maggiore intima riflessione dell’ordine morale delle cose, della vita, della società;
-  sviluppo, sempre maggiore, di allegorie evangeliche, ma sempre viste in una ricerca di dialogo con quella Chiesa ufficiale che ormai aveva ridotto la religione a formule e gesti; è forte la richiesta di Caravaggio, nelle sue opere, che tale Chiesa si riformi; e che si modelli anche sui poveri e sui reietti, non solo sui ricchi e potenti; è il famoso quanto antico problema se la Chiesa doveva essere povera, o ricca; il che niente altro voleva dire se dei ricchi o anche dei poveri;
-  perfezionamento, ultima fase, in connessione con la sempre richiesta di perdono, dei cicli pittorici in cui è evidente il messaggio dell’artista in merito all’importanza dell’amore divino, e delle sua misericordia.

Barberini.

1.
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Giuditta che decapita Oloferne, 1598-1599; Olio su tela, cm 145x195. Roma, Galleria nazionale di arte antica, Palazzo

L’OPERA
L’opera proviene dalla raccolta romana dei marchesi del Grillo. Poi nella collezione Vincenzo Coppi. 
La critica da tempo discute sulla sua attribuzione al Caravaggio. Fonte principale ne è il Baglione, che nel 1642 così scrisse: “ Colorì una Giuditta che taglia la testa ad Oloferne, per i signori Costi.”
La stessa data di esecuzione non è certa: per alcuni 1594-95; 1595-96; per altri 1598-99.
Alcuni si discostano dall’attribuirla al Caravaggio per la plateale violenza della raffigurazione; particolarmente nella vistosa ferocia del gesto.
Altri invece del Maestro in tutto lo indicano, basandosi sugli elementi del ritmo compositivo: serrato; la caratteristica tipicamente caravaggesca di trattare il nudo; le fisionomie, tipiche nei volti dei dipinti caravaggeschi; specialmente il cupo tendone, che, quasi sangue raggrumato molto anticipa quello della Morte della Vergine.
D’altro canto non a molto serve un parallelismo del volto di Giuditta con quello di S.Caterina e della Maddalena, considerato che anche di queste due opere non è del tutto certa l’attribuzione. 
Ciò che è certo è il completo superamento del momento della raffigurazione di un naturalismo dolce e soffuso, elegiaco, in Caravaggio, per pervenirsi da parte di questi al punto centrale del dramma: l’orrore. 



2.
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Decollazione del Battista, 1608;olio su tela; m 3,61x 5,20. La Valletta, Cattedrale di S. Giovanni.

L’OPERA

Eseguita per la maltese Compagnia della Misericordia, la tela è l'unica in cui compaia la firma dell'autore, purtroppo lacunosa: “f(rà) Michel Angelo”. 

Ed è proprio il ricordo della personale situazione in cui si trovava l’artista: braccato dai sicari dei nemici che aveva in Roma, e per mano di cui poi fu in Napoli gravemente ferito, che l’osservare la sua firma, vergata nello stesso rosso del sangue che sgorga dalla gola del Battista decollato, a suscitare un inevitabile senso d’angoscia; quasi che avesse presagito la sua prossima fine. 
Collocata nell'oratorio della Compagnia, la tela ha grandi dimensioni: m. 3,61x 5,20. 

Pur lontana dai grandi centri, venne visitata e studiata da molti artisti del '600. Il Bellori la descrisse accuratamente, quale:  
“Laonde  (dopo averne dipinto il ritratto) questo signore (Alof de Wignacourt) gli donò in premio la croce, e per la chiesa di San Giovanni gli fece dipingere la Decollazione del Santo caduto a terra, mentre il carnefice quasi che non l’abbia colpito alla prima con la spada, prende il coltello dal fianco, afferrandolo né capelli per distaccargli la testa dal busto. Riguarda intenta Erodiade, ed una vecchia seco inorridisce allo spettacolo, mentre il guardiano della prigione in abito turco addita l’atroce scempio. In quest’opera il Caravaggio usò ogni potere del suo pennello havendovi lavorato con tanta fierezza che lasciò in mezze tinte l'imprimitura della tela"; ciò è stato comprovato dai restauri avvenuti a Roma nel 1955.

Nella “Decollazione del Battista” l’azione è raffigurata nel suo termine. La violenza, cruda, del carnefice è già passata; il suo effetto raggiunto: la gola è profondamente recisa. La spada ormai deposta; a terra, in una significativa diagonale che, assieme alla positura del braccio ripiegato del carnefice ed al corpo supino del Battista forma un dinamico cuneo compositivo. Che s’affonda verso la parte anteriore sinistra della scena.
Rimane ormai, e con altro evidente simbolismo, il solo gesto di recidere con un coltello gli ultimi brandelli. Del collo, dell’evento, del dramma, della scena. 
E tale coltello, detto “Misericordia”, con cui era uso alleviare le ultime sofferenze procurando la morte, non ad altro allude che alla committenza stessa: la Compagnia della Misericordia. Che generalmente aveva il compito di consolare i condannati a morte.  

E’, anche qui, si suppone, un ulteriore intimistico, drammatico soliloquio dell’artista con la corposità ed il reale stato di pericolo in cui continuamente viveva: quasi uno sperare, od un apertamente chiedere, che una “misericordia” gli venisse, e presto, ad alleviare le sue sofferenze esistenziali d’una vita di fuggiasco: la grazia pontificia. 
Ma se ciò è leggibile, pur nel filtrato mondo simbolista delle compositive allusioni, altro, e di crudo, e di realistica conoscenza del da rappresentarsi pathos di scena, come anche del suo stesso rivedersi in essa, Michelangelo nel dipinto ci racconta.

Le figure, disposte a semicerchio in profondità e in altezza, annegano in un grande senso di vuoto, di stupefatto sgomento impresso allo spettatore. Il cupo interno d’un tetro cortile di carcere è oggetto di un violento rimbalzare di luci sulla decentrata scena principale.
Ma è il risalto della fioca luce, nell’arco a volta che le inquadra posteriormente e nel muro che chiude lo spazio, a suscitarci quell’ansia compartecipativa d’un dover immaginare gli eventi ormai temporalmente cessati. 
Eppure nelle tracce dall’artista lasciate evidenti, è presente tutto il senso dell’accaduto. Il “prima”: cupo, crudo, sanguinolento, di tortura, è ben presente nell’inquietante lunga corda penzolante; e che, raffigurata “mossa”, ancora vibrante di sofferenza, s’inserisce nel grosso anello di ferro alla parete.
La cordicella alle mani del Battista, dietro la schiena, ed il corpo proiettato nella caduta in avanti, sono fin troppo eloquenti. L’avido sguardo dei due galeotti – che quasi “bucano” – il costretto spazio dell’inferriata, è compartecipativo espediente d’un proiettare la dinamica compositiva in un retrostante buio ed ignoto spazio.
E’ la proiezione compositiva della spada, del corpo del carnefice, di quello del Battista. Quasi a bilanciare quella drammaticità dell’anello che “parla”.
Elementi accessori della scena principale sono tre movimenti, tre “linguaggi”, tre artifici: Il barbuto carceriere che con gesto di comando indica il vassoio di Salomé; questa che s’affretta, avida di raccoglierne la testa dell’odiata vittima, a porgerlo. Il volto in penombra; il corpo nella parte superiore solo ritmato dall’avvolgersi delle pieghe della camicia nella raffica di luce.


Unici elementi d’umano, forse, d’un partecipativo, forse, di “misericordioso”, appunto, si hanno e nel gesto inorridito della vecchia che s’avvolge la testa fra le mani, e nelle fitte pieghe della fronte del carnefice stesso. Coerentemente con il raffigurato gesto, e con il descritto mezzo: il pugnale della “misericordia”, è nelle fitte rughe della fronte del carnefice che è dato riscontrare una grande attenzione a ben compiere il gesto. Ed essendo come si è detto il gesto l’affrettare il morire, quindi il far cessare inutili sofferenze, è uno dei pochi elementi umani e pietosi dell’intera scena.
L’insieme è potente. Come altrove, l'illuminazione è determinante: provenendo lateralmente, accresce l'esistenza volumetrica dei protagonisti, li stacca dall'ombra, concentra su di essi lo sguardo rendendo nota una tragica vicenda.


Sono  elementi compositivi che ritroviamo nel “Seppellimento di Santa Lucia”, riprendendo la stessa idea del muro retrostante, ne è ancora accresciuto il significato della mutata concezione compositiva in Caravaggio. (GP)



Contributi






Dell'Orrore. E della Misericordia.

Ma si puo' rimaner sobri dopo aver veduto simili Opere? E averne letto le parole che corredano un riassunto di sentimenti che, in quella fioca luce, la disperazione sopravvive incrociando un complesso gioco di sguardi?

Come proprio in quella Luce, quel frugarle dentro, la Grazia divina che congela posizioni ed espressioni. Fanno orrore queste scene di Morte. Eppure....eppure esercitano oltre che devastazione, una forza inconsueta, un fascino sovrumano. Forse che questo 'palcoscenico' su quale si consuma il Dramma, altro non è che rovesciarsi dalle Tenebre. Da quel buio dello Sfondo, perchè è da lì, che ogni cosa nasce, in quell'angoscia, in quell'impressionante lirismo, l'inquietudine. Padrona e assoluta. Ma stretta, meravigliosamente avvinta, tra le maglie del Destino di Ogni. Non ne possiamo sfuggirgli.

Bellissimo Scritto.


(S., 05.03.11)

Tullio Lombardo. Guidarello Guidarelli. Ravenna. Dormi, ora tu dormi. Vivi ora tu vivi della Morte il Grande tuo Sonno nella Città degli Ori Antichi ora di te resa Silente.


Tullio Lombardo, Monumento a Guidarello Guidarelli, Gisant. Ravenna.





Tullio Lombardo, Monumento a Guidarello Guidarelli, Gisant. Ravenna.




Dormi, Guidarello, il Grande tuo Sonno
nella Città degli Ori Antichi
ora di te resa Silente.

Ravenna, glauca notte rutilante d’oro,
sepolcro di violenti custodito
da terribili sguardi,
cupa carena grave d’un incarco
imperiale, ferrea, construtta
di quel ferro onde il Fato
è invincibile, spinta dal naufragio
ai confini del mondo,
sopra la riva estrema!

Ti loderò pel funebre tesoro
ove ogni orgoglio lascia un diadema.
Ti loderò pel mistico presagio
che è nella tua selva quando trema,
che è nella selvaggia febbre in che tu ardi.
O prisca, un altro eroe renderà l’arco
dal tuo deserto verso l’infinito.
O testimone, un altro eroe farà di tutta
la tua sapienza il suo poema.

Ascolterà nel tuo profondo
sepolcro il Mare, cui ’l Tempo rapì quel lito
che da lui t’allontana; ascolterà il grido
dello sparviere, e il rombo
della procella, ed ogni disperato
gemito della selva.
«È tardi! È tardi!»
Solo si partirà dal tuo sepolcro
per vincer solo il furibondo
Mare e il ferreo Fato.
(2)




Un'onta ti rapì. (3)
Avesti tu chi del vibrante affetto te ne reggèa la testa tremolante? (4)
E perchè bisbigliasti alla Vita, tu - anche, sì, tu, quel sì tuo ferale: quis?... (5)

Ravenna, Guidarello Guidarelli /
dorme supino con le man conserte /
su la spada sua grande. Al vólto inerte /
ferro, morte, dolor furon suggelli. /
Chiuso nell'arme attende i dì novelli /
il tuo guerriero. Attende l'albe certe /
quando una voce per le vie deserte /
chiamerà le virtù fuor da gli avelli. /
Gravida di potenze è la tua sera, /
tragica d'ombre, accesa nel fermento /
dei fieni, taciturna e balenante. /
Aspra ti torce il cor la primavera; /
e sopra te che sai passa nel vento /
come pòlline il cenere di Dante.
  (6)



Sii, Guidarello Guidarelli, sii
Omaggio, alla Vita.
Che nel d'Istante Bacio Sacrato ogni istante alla Vita riporti. Ti.



Gaetano Donizetti, L'elisir d'amore (12 maggio del 1832) - Alfredo Kraus - Una furtiva lagrima (1990)
[Da: kraustrujillo | 07/mag/2007 || http://www.espacioblog.com/alfredokraus
 || Versión sensacional la que nos muestra Kraus en esta toma en directo en la plaza de toros de "Las Ventas" de Madrid en 1990. || In:



Dormi. Litico Assoluto. Sei.


Nella tua Spes
Riposi.
Baciato.
Ogni dì.




Note
(1) Img da: Franca Zava Boccazzi (a cura di), I Lombardo, Milano, Fabbri Editori, - I Maestri della Scultura -, 1966.


(2) Gabriele D'Annunzio, Elettra. Delle Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi - Le città del Silenzio - Ravenna, Roma, Newton, 1995.


(3) Guidarello Guidarelli (Ravenna, 1460 ca. – Imola, marzo 1501).Guidarello Guidarelli venne ucciso da tal Virgilio, romano.  Una cronaca del 1501 chiarisce che il mistero della sua morte sarebbe da attribuire ad una tragica lite per motivi non certo all'altezza della sua fama: « Miser Guidarelo da Ravena, soldato dignissimo del duca, abiando imprestato una sua camisa a la spagnola, belissima de lavori d'oro, a Virgilio Romano a Imola, per farsi mascara, e non je la volendo rendere e cruzatosi con lui, el ditto Virgilio lo tajò a pezzi e amazollo; el Duca fatollo pjare li fé tajare la testa. » (Giuliano Fantaguzzi, cronaca cesenate del 13 marzo 1501). - Il giallo venne chiarito dal paleografo Augusto Campana, nel 1930.

(4) Iliade, Lib. XXIII, Morte e funerale Patroclo "...di retro Achille con la man gli reggea la tremolante testa..."

(5)Virgilio, Georgicon, ripreso verbatim da Rilke, ove l'ultima parola di Euridice é quel sì disperante bisbiglio: quis?...


(6) D'Annunzio, Elettra, cit.



Apparati

Su Augusto Campana: - Erudito, filologo, paleografo italiano (Santarcangelo di Romagna 1906 - ivi 1995). Fondatore e presidente per alcuni anni della Società di studî romagnoli, scrittore della Bibl. Vaticana, poi (dal 1959) prof. univ., dapprima di paleografia e diplomatica a Urbino, quindi, a Roma, di letteratura umanistica (1965-74) e di filologia medievale e umanistica (1974-76); socio corrispondente dei Lincei (1987). Autore di numerosi saggi dedicati a manoscritti e biblioteche umanistiche, all'antico manoscritto ravennate di s. Ambrogio in semionciale (1958), a iscrizioni medievali e rinascimentali, oltre che alla storia degli studî di epigrafia classica. Alcune sue scoperte hanno rilievo anche per la filologia classica, come quella degli Epigrammata Bobiensia e del codice autografo di Poggio Bracciolini contenente le orazioni di Cicerone da lui ritrovate nel 1417. Tra i suoi meriti filologici, anche la scoperta e pubblicazione (1992) di una lettera latina di G. Boccaccio a D. Albanzani; i suoi studi sulle iscrizioni di Sangemini (1976) e su quelle del duomo di Modena (1984). Postuma è stata pubblicata una raccolta di suoi Profili e ricordi (1996).
[Da: http://www.treccani.it/enciclopedia/augusto-campana/ - Si ringrazia]



Su Giuliano Fantaguzzi, cronista XVI. - Nacque da Gaspare a Cesena (od. prov. di Forlì) il 1° ag. 1453. - Non è sostenuta da prove documentarie la tradizione locale che lo vorrebbe studente fino al terzo anno dì diritto a Bologna, contraddetta, nelle opere del F., dall'assenza di interessi per la materia giuridica. Nel 1479 entrò nel Consiglio dei novantasei, ricoprì le cariche di conservatore e di anziano (che duravano ciascuna un bimestre), negli anni 1484-88, 1494-95, 1497, 1505, 1511, 1513, 1517, e ricevette altri incarichi pubblici cittadini negli anni 1496, 1508, 1511, 1519, ma mai compiti di ambasceria al di fuori della città. Lo si ritiene fondatamente morto nel 1521, perché a quella data si interrompe la sua produzione scrittoria e le fonti archivistiche non forniscono più notizie su di lui.
Patrizio appartenente al partito conservatore, ostile cioè all'apertura ai "popolari", inaugurata quando Cesena nel 1465 passò dalla signoria di Malatesta Novello allo Stato della Chiesa, il F. disapprovò la politica dei pontefici da Innocenzo VIII ad Alessandro VI, a Giulio II e a Leone X. Al primo, che accusò di aver regnato "asai vilmente", rimproverò appunto la politica antioligarchica e probabilmente di aver tolto alla Comunità cesenate i privilegi fiscali concessi dal primo governatore di Cesena, Lorenzo Zane; ad Alessandro VI, di aver pervertito i fini della Chiesa; a Giulio II, un espansionismo che costò a Cesena gravose imposizioni fiscali; a Leone X, il rischio che Cesena entrasse a far parte dello Stato del nipote, duca di Urbino. Gli umori politici del F. ci sono noti dalle sue due opere principali, entrambe autografe: la prima reca il titolo di Caos di meser Iuliano Fantaguzzi, la seconda Occhurentie et nove notate per me Iuliano Fantaguzo cesenate.
Giunte a noi in un unico codice (Cesena, Bibl. comun. Malatestiana, ms. 164.64), nella prima, che nella tradizione storiografica ha dato il titolo di Caos all'intero codice ("questo libro è chiamato dagli istorici il Caos del Fantaguzzi: Verdoni, p. 107), sono contenuti abbozzi, copie di passi ricavati da letture di vario ordine. Il F. lesse epitomi di Livio, Floro, Giustino, oltre ad opere che trovava a Cesena nella biblioteca costituita da Malatesta Novello: le Genealogie deorum gentilium del Boccaccio, il Doctrinale di Alessandro di Villedieu, l'Almagesto dì Giabir Ibn Aflah, nella volgarizzazione di Gherardo da Cremona. Al di fuori della biblioteca malatestiana, una sua fonte fu una stampa di larga diffusione: il Supplementum chronicarum (1483) di Iacopo Filippo Foresti. Nel Caos si trovano inoltre preziose trascrizioni di cronache cesenati, appunti su avvenimenti del proprio tempo, riguardanti ogni particolare della vita cittadina e le vicende italiane ed europee.
Quest'ultimo materiale di appunti sul proprio tempo confluì, rimaneggiato, ordinato ed ampiamente integrato, nelle Occhurentie et nove, secondo un ordine cronologico ("diligentissimus fuit scriptor chronologicus": Manzoni, p. 145) ed al tempo stesso tematico. Alla stesura delle Occhurentie et nove, che giungevano fino al 1521, il F. si dedicò in età matura, mantenendo alla propria scrittura un tono cronachistico, ispirato dalla volontà di fornire un'informazione puntuale anche su particolari che non sarebbero stati assimilati in una narrazione organica e dalla interiorizzata accettazione dell'obbligo di non riferire sulle deliberazioni della propria Comunità. Quell'obbligo prevedeva anche pene severe, come la requisizione dei beni. Si veda ad esempio la formula usata nell'accoglimento di un nuovo consigliere (Sez. di Arch. di Stato di Cesena, Riformazioni 58, c. 84v), e il F. era presente a quella riunione del Consiglio. Se perciò il F. non derogò mai a quella norma, tuttavia ci vengono dal suo manoscritto notizie decisive sul suo tempo, ricavate dalle relazioni che con lui ebbero personalità provenienti da ambienti diversi di diverse città. Alla stesura di quest'opera il F. considerò dedicata la propria esistenza, che al disbrigo degli affari cittadini, cui lo chiamava il proprio nome, non appariva particolarmente inclinata, se egli assisteva silenzioso alle discussioni nei Consigli o, come dimostra una rara documentata sua occasione di intervento (allorché una sua opinione fu preliminarmente respinta: ibid. c. 167r), non godendo di particolare considerazione. La sua sorte di storiografo della città fu annebbiata dalla sua ostilità ai vari papi, che non riuscì e talvolta non volle dissimulare, oltre che dal pregiudizio umanistico della sua età e di quelle successive verso quell'annalistica in volgare, priva di politezza formale e nutrita di interessi eterodossi rispetto alla cronachistica illustre e all'historia rerum gestarum.
Nel 1598 una breve storia della città, scritta da Cesare Brissio e offerta a Clemente VIII di passaggio per Cesena, non lo nominava neppure fra i letterati cittadini. Scipione Chiaramonti, nella sua Caesenae historia (1641), attingeva a piene mani alle Occhurentie et nove, senza mai citare la fonte e definendo l'autore uno scrittore "rozzo" (p. 730). Nel Settecento le Occhurentie furono saccheggiate da un altro cesenate, Ercole Dandini, che aveva avuto da G. B. Graeve l'incarico di scrivere le cose più notevoli della storia della città. Dandini scelse il periodo borgiano, dicendo di aver ricevuto da un cesenate un diario scritto in quel tempo. A quel diario egli attinse elaborando le notizie in forma narrativa e volgendo quel volgare in lingua latina per un pubblico europeo (In Caesaris Brixii urbis Caesenae descriptionem adnotationes Herclei Dinundae, in J.G. Graevius, Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae, IX, 8, Ludguni Batavorum 1723, coll. 65-77). L'occultamento del nome del F. ha fatto parlare, ancora ai nostri giorni, di un "anonyimous diarist of Cesena" (E. Cochrane, Historians and historiography in the Italian Renaissance, Chicago 1981, p. 164). Quando nel 1848 il manoscritto fu donato alla Biblioteca comunale Malatestiana di Cesena, l'opera fu sottratta all'esclusivo circuito privato dei patrizi cultori di storia patria. Nella stessa Malatestiana è conservato un apografo del manoscritto del F. compiuto in gran parte da Arnaldo Bocci ("164.63, Fantaguzzi Giuliano, Caos ... copia del manoscritto originale, fatta nella massima parte dal Sig. Arn. Bocci, nel 1893", in A. Loli-Piccolomini, Catalogo dei manoscritti... finito di compilare il 12 marzo 1897, p. 37).
Il primo ad affrontarne un'edizione fu Oreste Vancini, che nel 1909 pubblicò a Bologna un'introduzione, la parte iniziale delle Occhurentie et nove fino all'anno 1494 (trascurando il Caos e dando all'opera il titolo di Caos. Cronache cesenati). L'iniziativa di Vancini si interruppe e nel 1915 Dino Bazzocchi, presso una tipografia cesenate, la continuò impossessandosi del lavoro di Vancini senza dichiararlo. La stampa di Dino Bazzocchi (Caos. Cronache cesenati del secolo XV) trascriveva, sulla scorta quasi esclusiva della copia di Bocci, le Occhurentie et nove fino all'anno 1510.
Fonti e Bibl.:
- Ravenna, Bibl. com. Classense, ms. 468: Iul(ian)i Fantaguci [Epi]taphia reperta et de antiquis;
- Cesena, Bibl. com. Malatestiana, ms. 164.47 (sec. XVII):
- M. Verdoni, Cronologia di Cesena, p. 107; Ibid., ms. 164.36 (sec. XVIII):
- D. de Vincentiis, Bibliotheca Caesenatensis illustrium scriptorum, cc. 224v-225v;
- Ibid., ms. 164.35: C. A. Andreini, Mem. di Cesena cavate da monumenti antichi. Delli uomini illustri di Cesena. 1799, p. 362;
- Ibid., cart. mss. XXXI, 13 (secc. XVIII-XIX): C. A. Andreini, Notizia di tutti li uomini illustri della città di Cesena;
- Ibid., ms. 164-34 (sec. XVIII): Id., Notizie delle famiglie illustri di Cesena, III, p. 194;
- Ibid., ms. 164.63: copia incompleta del ms. 164.64, compiuta in gran parte da Arnaldo Bocci (1893);
- S. Chiaramonti, Caesenae historia, Caesenae 1641, p. 730;
- B. Manzoni, Caesenae chronologia, Pisis 1643, p. 145;
- J. M. Muccioli, Catalogus codicum manuscriptorum Malatestianae Caesenatis Bibliothecae, I, Caesenae 1780, p. 125 n.;
- N. Trovanelli, Tra le vecchie famiglie di Cesena. Casa Fantaguzzi, in Il Cittadino, 20 genn. 1901; - L. Piccioni, Di Francesco Uberti umanista cesenate. De' tempi di Malatesta Novello e di Cesare Borgia, Bologna 1903, pp. 195-197;
- G. Gasperoni, Storia e vita romagnola nel secolo XVI (1519-1545), Iesi 1906, pp. 23 s.;
- O. Vancini, Per il "Caos" di G. F. cesenate, in La Romagna, IV (1907), pp. 600-602;
- A. Carlini, Intorno ad alcune fonti stor. dell'eccidio di Cesena operato dai Brettoni nel 1377, Cesena 1910, pp. 10, 39, 44, 49;
- A. Campana, The origin of the word "Humanist", in Journal of the Warburg and Courtald Institutes, IX (1946), p. 62;
- C. Riva, G. F. e il suo "Caos", in Studi romagnoli, XXII (1971), pp. 251-274;
- A. Moroldo, Remarques sur les "Occhurentie et nove" de G. F., ibid., XXIV (1973), pp. 415-445; - G. Ortalli, Gli "Annales Caesenates" tra la cronachistica trecentesca e l'erudizione storiografica quattrocentesca, in Boll. dell'Ist. storico ital. per il Medio Evo, LXXXVI (1976-1977), pp. 302 s., 310-320, 359-375;
- P.G. Fabbri, Cesena nelle cronache di G.F. dal 1507 al 1509, in Studi romagnoli, XXXVIII (1987), pp. 233-245;
- P. Lucchi-L. Righetti, Storie d'amore e di sesso nelle "Occhurentie et nove" G. F., in Romagna arte e storia, VII (1987), 21, pp. 23-42;
- P. G. Fabbri, Ilgoverno e la caduta di Cesare Borgia a Cesena (1500-1504) nella cronaca G. F., in Nuova Riv. storica, LXXII (1988), pp. 341-388;
- Id., Giulio II a Cesena, in Critica storica, XXVI (1989), pp. 176-204;
- Id., Cesare Borgia a Cesena. Istituzioni, vita politica e società nella cronaca di G. F. dal 1486 al 1500, in Arch. storico ital., CXLVIII (1990), pp. 69-102;
- Id., Il "Caos" di G. F., in Quaderni di storia, XVI (1990), pp. 103-120;
- Id., Cesena tra Quattro e Cinquecento. Dai Malatesta al Valentino a Giulio II, la città, le vicende, le fonti, Ravenna 1990, passim;
- A. Vasina, F. G., in Repert. della cronachistica emiliano-romagnola (secc. IX-XV), Roma 1991, pp. 86-90;
- S. Sozzi, Cesena valentiniana, in Il Lettore di provincia, XXII (1991), pp. 91-94;
- Repert. fontium historiae Medii Aevi, IV, pp. 427.
[Da: http://www.treccani.it/enciclopedia/giuliano-fantaguzzi_(Dizionario-Biografico)/ - Si ringrazia]



Tra Marfisa e Parisina - Ferrara e Ravenna nell'opera di Gabriele D'Annunzio
di Michele Santoro

Gli interessi - storici, letterari, artistici - di Gabriele D'Annunzio per le città di Ferrara e Ravenna paiono concentrarsi nel torno di tempo che va dal 1898 al 1913. Sono gli anni che vedono il D'Annunzio effettuare un'accurata visita alla città estense, i cui ricordi, fissati nei Taccuini, sono poi poeticamente rielaborati nella prima delle Città del silenzio e rivissuti in lunghi stralci delle Faville del maglio, ma è anche il periodo nel quale l'autore è a Ravenna in cerca di notizie per la sua Francesca da Rimini, finché‚ la Parisina, comparsa appunto nel 1913, non chiude il ciclo "padano" del poeta.

Né questi sono gli unici rapporti intrattenuti dal D'Annunzio con i luoghi dell'Emilia Romagna: basti pensare infatti al suo trionfale ingresso a Faenza, quando, al seguito del 14° Reggimento di Cavalleggeri cui è aggregato, riceve entusiastiche accoglienze dalla popolazione; oppure il celebre "sbarco" a Rimini dell'agosto 1887, poi rievocato nel Trionfo della morte laddove l'autore ricorda la visita ai maggiori monumenti riminesi, dal Tempio Malatestiano alla chiesa di San Giuliano.

Ma è Ferrara la città che - per lo splendore del suo passato, per la vivacità della cultura che seppe esprimere, per i fasti e gli intrighi della sua corte - più d'ogni altra pare affascinare e sedurre il D'Annunzio, proteso a ricercare, come di consueto, l'eccezionalità e l'eccesso. I ricordi e le sensazioni vissute nel viaggio che compie dal 6 al 9 novembre 1898, sono affidate ad appunti di straordinaria lucidità e precisione: sotto gli occhi del poeta rivive la storia della città, il passato di una delle più illustri e antiche signorie della penisola, risonante di fatti d'arme e illuminato dalle ottave dei poeti. Di volta in volta, lo sguardo trascorre dalla visione notturna del Castello al palazzo Schifanoia al palazzo dei Diamanti, dalla casa dell'Ariosto alla piccola chiesa di Santa Maria della Consolazione, soffermandosi in particolare sull'"arco de la porta minore (destra) " della Cattedrale, dove riconosce ed ammira "la testa di Madonna Ferrara".

La visita alla città, come si è detto, offre al D'Annunzio motivi di interesse anche per tutto ciò che di eccezionale e di eccentrico la signoria estense ha dato prova nel corso dei secoli: in particolare, gli eccessi della corte e le reiterate intemperanze erotiche di alcuni personaggi, primo fra tutti quel Niccolò III sul quale sorse il detto: "di qua e di l… dal Po, tutti figli di Niccolò". Ma è soprattutto nei confronti dei personaggi femminili che si rivolge l'attenzione del D'Annunzio nel suo peregrinare per vie e piazze di Ferrara: così la casa di Marfisa, la celebre nobildonna estense che, secondo la leggenda, "faceva innamorare e morire", precipitando gli amanti in pozzi irti di rasoi, gli si mostra di fatto come "la casa della magia e della voluttà; così la tomba di Lucrezia Borgia, nel silenzio del monastero del Corpus Domini, è sorvegliata da mute "clarisse con il volto coperto di panno", in simbolico contrasto col clamore del quale fu circondata in vita; e così pure si sofferma ad ammirare il ritratto di Laura Dianti, e si attarda a rievocare il miracolo di Santa Caterina Vegri che, chiamata alla preghiera, lascia per molte ore il pane nel forno e al suo ritorno lo trova, anziché‚ bruciato, "del color delle rose e odorifero e di sapore paradisiaco"; e vede affacciarsi, "presso la vecchia torre campanaria di S. Francesco", il tragico fantasma di Parisina, l'appassionata protagonista della vicenda di amore e morte che che alcuni anni dopo gli ispirerà il dramma omonimo.

Questa vasta messe di impressioni, di sensazioni, di ricordi ferraresi non s'arrestano alla registrazione del taccuino, ma assumono veste d'arte con la poesia Il silenzio di Ferrara, ed in seguito subiranno rielaborazioni ulteriori nelle Faville del maglio.

Il silenzio di Ferrara, poi entrato a far parte della prima sezione delle Città del silenzio, viene pubblicato sulla "Nuova Antologia" del 16 novembre 1899, ad un solo anno di distanza dalla sua visita, a testimoniare, se ancora ve ne fosse bisogno, il forte impatto prodotto dalla città estense sull'animo e sull'immaginazione del poeta.

Un elogio alla città era stato di recente tributato dal Carducci con l'ode Alla città di Ferrara, nella quale viene rievocata non solo la storia, ma anche la preistoria mitica e le caratteristiche psicologiche degli abitanti, non mancando cenni di color locale nei riferimenti ai personaggi più rappresentativi della dinastia, da "Leonora, matura vergine senz'amore" a "Parisina ardente del sangue natal di Francesca, / che del vago Tristano legge gli amori e l'armi".

Del tutto diversa la poesia dannunziana che, scevra del bagaglio di erudizione che informerà gli altri componimenti del gruppo, appare come una delle più ispirate e perfette fra le Città del silenzio.

Ferrara dunque, che nel passato è stata sempre piena di vita, che si è offerta agli occhi del mondo con grande copia di ricchezze, di balli, di cacce, di conviti, ora è deserta e silenziosa: tuttavia nei suoi palazzi, nelle sue strade, nelle sue piazze pare rivivere la magnificenza e la sontuosità di un tempo, ed il sottile fascino che promana da questi luoghi spinge il visitatore a celebrarne la malinconica bellezza. Per il poeta il volto della città si trasmuta nel volto mesto di una donna che sembra piegare il capo sul suo petto a rimemorare un tempo favoloso di remota felicità "O deserta bellezza di Ferrara, / ti loderò come si loda il volto / di colei che sul nostro cuor s'inclina / per aver pace di sue felicità lontane": un volto che sembra riflettersi nella "chiara sfera d'aere e d'acque", nella diffusa luce della grande pianura ferrarese attraversata dai molti fiumi che delimitano la città isolandola nella sua musicale "melanconia divina": E nella città che gli è apparsa in sembianza di donna ora gli si mostrano i fantasmi delle "donne morte", di quelle gran dame ferraresi, Marfisa, Eleonora, Meliadusa, che tanto avevano attratto l'interesse del D'Annunzio. E ad una di esse, a "quella che più gli piacque", va la lode particolare del poeta: se questa che il D'Annunzio loda senza nominare sia una donna realmente esistita, o un vago fantasma poetico, è un punto abbastanza difficile da chiarire, ma di cui forse lo stesso autore ha dato la soluzione quando, nelle Faville del maglio, scrive: "Tra tutti i nomi delle donne morte questo [Meliadusa] mi canta nella fantasia".

Infine, è la stessa città, con le sue "vie piane / grandi come fiumane / che conducono all'infinito" a subire un processo di trasfigurazione attraverso il quale essa può liberarsi dei suoi confini fisici e del suo attualità per situarsi in una regione di sogno: quel "sogno di voluttà" per cui ebbe fama la città degli Estensi e che oggi "sta sepolto sotto le pietre nude" delle tombe, insieme col suo glorioso destino.

E che la storia e la leggenda di Ferrara abbia agito in maniera decisiva sull'immaginario dannunziano, è testimoniato dalla successiva elaborazione che gli stessi ricordi i quali hanno dato vita alla prima Città del silenzio subiscono nelle Faville del maglio: queste brillanti prose non solo integrano e per alcuni versi chiosano i testi precedenti, ma mostrano che, a distanza di anni, è più che mai vivo l'interesse dell'autore per la città emiliana.

Fra i tanti ricordi che il D'Annunzio si porta dietro da quel novembre del 1898, uno dei più intensi è quello della "casa di Marfisa [...] in mano ai guastatori bestiali", tutti quei "fabbri, falegnami, calcinaiuoli, mercanti di canape, mercantuzzi di capecchio" che l'avevano invasa, per nulla rispettosi dell'antica maestà del luogo, così da spingere l'indignato poeta ad un insolito atteggiamento: "Preso a un tratto da non so che cattiveria tirannica, feci da padrone. Chiamai gli intrusi, comandai agli ottusi; che accorrevano da ogni parte". Entrato all'interno del palazzo, scorge tra assi rozze e annerite "una figura di donna dagli occhi seguaci, in veste rigida di pompa", e "l'uomo di fuliggine" che lo accompagna, attesta: "Questa è Marfisa [...] In questo luogo ci si sente".

Altre pagine delle Faville sono dedicate a persone, a luoghi e a leggende di Ferrara: il miracolo di Caterina Vegri, il vago fantasma di Parisina, i madrigali del Tasso per Marfisa: ma forse la più intensa e prelibata di tutte è la pagina dedicata ai "nomi canori", che conviene riportare per esteso: "A Ferrara i nomi delle donne estinte cantano. Canta Filippa della Tavola cittadina di Ferrara e innamorata di Nicolò da Este [...]. Canta la Vanna di Roberti 'per la quale fu facto el Paradiso e Belfiore e Schivanoglio'. Canta Alisia d'Antiochia, la terza moglie del sesto Azzo. Canta Cubitosa di Rainaldo 'vestita d'un mantello fiamengo di panno d'oro'. Canta perfin la Beatrice vedova di Nino giudice di Gallura [...] Ed ecco che un'altra gola s'aggiunge, come nei madrigali a sei voci [...] Canta la Verde dalla Scala? o Costanza Malatesta? O Mambilia o Meliadusa?".

Ma parallelamente a Ferrara, il D'Annunzio di questi anni pare affascinato da un'altra città di antiche tradizioni e di nobili virtù: Ravenna. Difatti, insieme alla poesia su Ferrara esce, nella "Nuova Antologia" del 16 novembre 1899, Il silenzio di Ravenna, anch'esso poi accluso al libro di Elettra.

Nella visione del poeta, anche Ravenna, al pari di Ferrara, non vive che nella rimemorazione del suo passato; e come nella città estense il ricordo è affidato alle "pietre nude", ai marmi spogli delle tombe in cui si cela l'antico "sogno di voluttà", così a Ravenna sono le tombe a custodire l'anima più profonda di una città che è stata testimone della fine di un impero e della nascita e del tramonto di nuove dispotiche dominazioni. Sono i sepolcri dei "violenti", cioè degli ultimi sovrani di Roma e dei primi re barbari, Galla Placidia e Teodorico, ma anche di condottieri rinascimentali come il celebre Braccioforte. Ravenna dunque viene celebrata dal D'Annunzio non solo per il "funebre tesoro" che conserva, ma anche "pel mistico presagio" di futuri eventi che il poeta avverte nello stormire delle fronde della vicina pineta di Classe, un presagio di future glorie affidato ad "un altro eroe" il quale, al pari di Dante che pure è sepolto a Ravenna, "tender… l'arco [...] verso l'infinito".

Ad attestare che l'interesse per le storie e le vicende ravennati è più che mai vivo, tra il 1901 e il 1902 il D'Annunzio compone e porta in tournée per tutta Italia il dramma Francesca da Rimini, affidato alla interpretazione di Eleonora Duse. L'opera, che si rifà esplicitamente all'episodio dantesco del V canto dell'Inferno, mette sulla scena i membri delle famiglie dei Malatesta di Rimini e dei da Polenta di Ravenna, con una scenografia che intende riprodurre le vicende e il fasto della corte ravennate, in un linguaggio esemplato sui testi poetici del duecento e del trecento. Per la preparazione dell'opera il D'Annunzio non solo si documenta col consueto scrupolo sui commenti trecenteschi del famoso episodio dantesco, primo fra tutti il Comento di Boccaccio, ma effettua accurate ricerche in città, giovandosi anche della collaborazione dello storico e critico d'arte ravennate Corrado Ricci, allora direttore della Pinacoteca di Brera, con il quale da tempo il D'Annunzio ha instaurato vivaci rapporti epistolari.

Nel maggio 1901, il D'Annunzio è a Ravenna con Eleonora Duse. La visita alla città e ai suoi monumenti avviene, insolitamente, tra il discreto riserbo della popolazione; il D'Annunzio lascia un ricordo di sé‚ nel libro dei visitatori della Biblioteca Classense, firmandosi "Marco Fulgoso, Venezia", mentre al sepolcro di Dante non appone alcuna firma, ma scrive il motto "Per non dormire", e la data, 23 maggio 1901. Ma, fra una gita alla Pineta di Classe e una visita a San Vitale, è sempre il pensiero della Francesca a tener desta la sua attenzione. Come scriverà in una lettera al Ricci, ha "presa la febbre, una sera, nella pianura dove fermenta il fieno", ed insieme alla febbre è come se "tutto l'incanto della città fatale" fosse penetrato nel suo animo; richiederà pertanto all'amico "qualche libro di storia ravennate [...] qualche monografia sul periodo polentano", e anche "qualche notizia intorno a Samaritana, sorella di Francesca", in quanto "tutto quel periodo è oscuro", e la "sapienza" storica del Ricci può essergli di grande giovamento.

La prima del dramma, avvenuta a Roma il 9 dicembre 1901, avrà accoglienze contrastate sia per l'eccessiva lunghezza del testo, sia per il clamore delle scene di battaglia; Opportunamente sfrondata, si imporrà successivamente al giudizio del pubblico e della critica come una delle opere di maggior peso nel teatro dannunziano, tanto da subire una riduzione a libretto d'opera da Tito Ricordi e da essere musicata in chiave wagneriana da Riccardo Zandonai.

Né‚ con la realizzazione della Francesca s'interrompe l'interesse del poeta nei confronti di Ravenna e dei suoi illustri personaggi.

Difatti, in chiusura delle Città del silenzio, quasi a fare da cornice all'intera opera, sta un sonetto su Ravenna nel quale il poeta riprende i temi centrali della silloge: il silenzio delle antiche città, in contrasto con la potenza, il fasto e la ricchezza di un tempo, e l'auspicio che un giorno esse possano ritornare al passato splendore.

Il sonetto si apre con la raffigurazione di Guidarello Guidarelli, il celebre capitano di ventura ravennate che combattè al servizio del Duca Valentino e che da questi fu fatto uccidere a tradimento. La sua prematura fine, com'è noto, diede luogo a una serie di leggende e di poetiche celebrazioni; la famiglia ne fece scolpire le sembianze in una statua, che ora si riaffaccia alla memoria del D'Annunzio:

"Guidarello Guidarelli / dorme supino con le man conserte / su la spada sua grande. Al volto inerte / ferro morte dolor furon suggelli".

Racchiuso nell'armatura, l'eroe "attende i dì novelli", quando sarà richiamato in vita da una voce che "per le vie deserte / chiamerà [...] fuor degli avelli" gli spiriti più valorosi del passato. Nel simulacro di Guidarello sembra dunque compendiarsi l'intera città, che appare popolata di misteriosi presagi, "gravida di potenze [...] tragica d'ombre, [...] taciturna e balenante"; e su di essa, sulla sua storia millenaria, le ceneri di Dante sono come un balsamo che feconda e rigenera: "sopra te che sai, passa nel vento / come polline il cenere di Dante".

D'altra parte, quasi a voler sancire il legame che ha individuato fra le due città, ai primi di giugno del 1902 il D'Annunzio si reca a Ferrara per effettuare ricerche di "iconografia estense" presso la biblioteca Ariostea: tuttora affascinato dalla figura di Parisina ha in animo di scrivere un dramma, che dovrebbe costituire con la Francesca, il secondo momento della trilogia dei "Malatesti". Un anno dopo è nuovamente a Ferrara, per assistere, insieme ad Eleonora Duse, all'esecuzione del melologo Parisina del poeta Domenico Tumiati e del maestro Veneziani, che si tiene nel Castello Estense. Bisognerà però attendere dieci anni perché‚ la tragedia veda la luce: musicata dal Mascagni, la Parisina sarà eseguita per la prima volta nel 1913 alla Scala di Milano e pubblicata lo stesso anno.

La vicenda degli amori di Parisina Malatesta, moglie di Niccolò d'Este col bellissimo Ugo, e la tragica morte dei due amanti, ha avuto una straordinaria fortuna nella letteratura mondiale, essendo stata trattata da autori quali Lope de Vega e Byron e, ancor prima, da Matteo Bandello e dal Lasca.

L'opera del D'Annunzio, inserita come si è detto nell'incompiuto ciclo dei "Malatesti", riprende il tono ed il linguaggio della Francesca da Rimini, nella rappresentazione della quattrocentesca città estense e della sua corte.

L'intento del poeta è quello di riproporre il dramma dei due amanti di Ferrara, sottraendolo alle contingenze della realtà quotidiana e immergendolo in un clima favoloso ed onirico.

Col sacrificio di Ugo e Parisina si chiude il ciclo di opere che il D'Annunzio ha dedicato a Ferrara e Ravenna, ma non per questo cessa l'interesse, s'arresta la memoria: negli anni a venire l'autore rivivrà nelle Faville del maglio gli innumerevoli ricordi ferraresi, ma ancora nella Contemplazione della morte rievocherà quel giorno di novembre in cui si mosse da Ferrara "per cercare un'eco famosa".

Infine ad una tarda pagina di taccuino affiderà le ultime immagini ferraresi: l'immagine di Leonello d'Este effigiato dal Pisanello in "sette differenti medaglie"; l'immagine di Lucrezia Borgia; l'immagine di Laura Dianti e di "Alfonso I d'Este [...] principe artefice, a cui si deve l'invenzione del bianco allattato [...] per le ceramiche" e che "eccelleva anche nel fondere i cannoni e nel preparare un ottimo acciaio".

"Come Alfonso I" conclude il D'Annunzio "io fabbrico ogni mattina un bonissimo acciaio".




Bibliografia

OPAC SBN - Istituto centrale per il catalogo unico
Catalogo on-line
Ministero per i Beni e le Attività CulturaliDirezione Generale per i Beni Librari, gli Istituti Culturali ed il Diritto d'AutoreIstituto

Centrale per il Catalogo Unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche
Soggetto = tullio lombardo, guidarello guidarelli

Scheda: 1/1
Livello bibliografico Monografia
Tipo di documento Testo a stampa
Titolo Guidarello Guidarelli : interventi conservativi, nuovi studi e ricerche / a cura di Nadia Ceroni, Alberta Fabbri, Claudio Spadoni
Pubblicazione Ravenna : Mar, stampa 2009
Descrizione fisica 221 p. : ill. ; 24 cm.
Collezione Pagine del MAR ; 3

Nomi · Spadoni, Claudio
· Ceroni, Nadia
· Fabbri, Alberta
Soggetti Guidarelli, Guidarello - Congressi - 2009
Lombardo , Tullio . Lastra sepolcrale di Guidarello Guidarelli - Restauro - Congressi - 2009
Restauro - Congressi - 2009

Classificazione Dewey 730.92 (21.) SCULTURA. Persone
Localizzazioni
Biblioteca universitaria di Bologna - Bologna - BO
Biblioteca comunale - Imola - BO
Biblioteca Giuseppe Guglielmi dell'Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna - Bologna - BO
Biblioteca comunale dell'Archiginnasio - Bologna - BO
Biblioteca I.B. Supino del Dipartimento delle arti visive dell'Universita' degli studi di Bologna - Bologna - BO
Biblioteca della Fondazione Federico Zeri presso l'Universita' degli studi di Bologna - Bologna - BO
Biblioteca comunale Malatestiana - Cesena - FC
Biblioteca comunale Aurelio Saffi - Forli' - FC
Biblioteca nazionale centrale - Firenze - FI
Biblioteca Marucelliana - Firenze - FI
Biblioteca nazionale Braidense - Milano - MI
Biblioteca della Soprintendenza per i beni artistici e storici della Lombardia - Milano - MI
Biblioteche del Museo Poldi Pezzoli - Milano - MI
Biblioteca del Dipartimento di storia delle arti visive e della musica dell'Universita' degli studi di Padova - Padova - PD
Biblioteca d'arte dei Musei civici - Pesaro - PU
Biblioteca comunale Manfrediana - Faenza - RA
Biblioteca del Museo internazionale delle ceramiche - Faenza - RA
Biblioteca di storia contemporanea - Ravenna - RA
Biblioteca dell'Archivio di Stato di Ravenna - Ravenna - RA
Biblioteca del Centro dantesco - Ravenna - RA
Biblioteca comunale Classense - Ravenna - RA
Biblioteca dell'Amministrazione provinciale. Servizio biblioteche - Ravenna - RA
Biblioteca della Facolta' di conservazione dei beni culturali dell'Universita' degli studi di Bologna - Ravenna - RA
Biblioteca del Museo d'arte della citta' - Ravenna - RA
Biblioteca di archeologia e storia dell'arte - Roma - RM
Biblioteca centrale della Facolta' di architettura dell'Universita' degli studi di Roma La Sapienza - Roma - RM
Biblioteca del Dipartimento Storia Disegno e Restauro - Sezione Storia dell'architetture. Sapienza Universita' di Roma - Roma - RM
Biblioteca civica Gambalunga - Rimini - RN
Biblioteca d'arte del Museo civico Correr - Venezia - VE
Biblioteca Querini Stampalia - Venezia - VE
Biblioteca nazionale Marciana - Venezia - VE
Biblioteca del Dipartimento di storia dell'architettura-DSA- dell'Istituto universitario di architettura di Venezia - Venezia - VE
Biblioteche della Fondazione Giorgio Cini - Venezia - VE

Ved. anche Note






Filmografia - Il Tempo di Guidarello


The Borgias: The Borgias Trailer
Da: SHOWTIME | 06/dic/2010: Jeremy Irons stars as Rodrigo Borgias in a new Showtime original series The Bogias, coming soon.
[Da: http://www.youtube.com/watch?v=58hmD2sGV7Q&feature=BF&list=SL&index=16 ]













The Borgias: Kiss of Pleasure
Giulia Farnese teaches Lucrezia how to kiss.]
[ Da: http://www.youtube.com/watch?v=_j2o8up8DXI   SHOWTIME | 11/apr/2011]