mercoledì 24 aprile 2013

Italia. 1943 - 1945. Guerra Civile. 10. I.M.I. - Internati Militari Italiani.

LOSFELD
A CURA DI GIOVANNI PITITTO






ITALIA
1943 - 1945
GUERRA CIVILE





UN PERCORSO PER FONTI
A CURA DI
GIOVANNI PITITTO






Italia. 1943 - 1945. Guerra Civile.
Volti e scenari corrosi dal Tempo.
Di un'Italia dei Giorni dell'Odio.
Di un'Italia dei Giorni dell'Opposto Orrore.




La storiografia italiana è particolarmente carente sulla 'tipologia' degli I.M.I.  - Internati Militari Italiani e 'Categorie assimilate ed assimilabili': i cosiddetti "Schiavi di Hitler". Se pur presenti gli studi sul fenomeno in via generale, particolarmente settoriali - se non in molti casi carenti o del tutto assenti (rimozione ?) - risultano gli elenchi nominativi. Ma - pur senza voler mancare nei confronti di altri - è del tutto doveroso segnalare che si sottraggono a questa carenza alcune particolarmente encomiabili iniziative che, per la massa dei dati così come per l'impianto straordinariamente scientifico di alcune, offrono livelli particolarmente significativi all'esigenza di sottrarre all'Oblio della Memoria il triste destino degli Schiavi di Hitler.
Di esse - e per particolare merito - si segnalano: Ministero della Difesa: Commissariato "Onorcaduti"; Archivio Segreto Vaticano: "Inter Arma Caritas"; Generale Acquaviva; Commissione Vigoni.
(segue)


"Gli Internati Militari Italiani ”
Dalla prefazione di Giorgio Rochat: “La rivendicazione della Resistenza antifascista si è ridotta per decenni al dibattito politico sulla guerra partigiana. Negli ultimi anni registriamo il recupero di una dimensione più ampia. Contiamo la Resistenza contro i tedeschi delle forze armate all’8 settembre. Poi la guerra partigiana e la deportazione politica e razziale nei lager di morte. La partecipazione delle forze armate nazionali alla campagna anglo-americana in Italia. E infine la Resistenza degli IMI (ndr. Internati Militari Italiani) nei lager tedeschi: le centinaia di migliaia di militari che invece della guerra nazifascista scelsero e pagarono la fedeltà alle stellette della patria. Le stellette a cinque punte sul bavero della divisa (piccoli pezzi di metallo povero o un quadratino di stoffa) sono il simbolo tradizionale dei militari italiani. La fedeltà alle stellette fu la motivazione più comune e diretta della grande maggioranza dei 650.000 militari italiani che preferirono la prigionia nei lager tedeschi al passaggio dalla parte nazifascista. Questi 650.000 prigionieri erano degli sconfitti che avevano vissuto il fallimento del regime fascista, la misera fine delle guerre di Mussolini, lo sfacelo delle forze armate all’8 settembre. Tutti avevano ragione di sentirsi traditi dal Re e da Badoglio, che li avevano abbandonati senza ordini agli attacchi tedeschi. Ciò nonostante, una grande maggioranza di questa massa di sbandati preferì la fedeltà alle stellette e la prigionia nei lager”.

(Da: http://www.anpi.it/gli-internati-militari-italiani/)
(Si intende la prefazione di Giorgio Rochat al libro di Avagliano - Palmieri; ved. in questa pagina: Bibliografia).



Molti degli internati militari hanno vissuto il ritorno a casa sotto il segno dell'offesa. Per loro non ci sono attestati o benemerenze. Anzi sono circondati da indifferenza e fastidio. Stranieri in patria. Ignorati e respinti da un paese che non li riconosce e in cui non riescono o non vogliono riconoscersi. Si sentono, e in qualche modo lo sono davvero, gli ultimi involontari ostaggi di una guerra senza memoria e senza narrazione pubblica. Una guerra che l'Italia antifascista rinnega e che larga parte degli Italiani aspira a dimenticare. Più che eroi appaiono come i resti dell'esercito regio, travolti dall'umiliazione e dalla disgregazione dell'armistizio. Di fatto viene negato il loro essere 'volontari dei lager', l'aver fatto scelte fondate su decisioni individuali non facili e accettato i rischi conseguenti. Rischi ampiamente commisurabili con quelli del partigiano di montagna. (ved. BORZANI. 2013. Luca Borzani, La guerra di mio padre / Luca Borzani ; postfazione di Donald Sasson, Genova, Il Melangolo, 2013).







2007. Claudio Sommaruga, UNA STORIA “AFFOSSATA”
"Avevano poco più di vent’anni, erano più di 700.000 sparsi per mezza Europa, cintati da filo spinato, sottoposti a fame, malattie, schiavitù, violenza, minaccia delle armi e al lavoro forzato, eppure quasi tutti, soli con la coscienza e abbandonati da tutti, seppero dire per venti mesi NO a Hitler e a Mussolini: 50.000 morirono... gli altri furono ignorati in patria!



"LA GELIDA ACCOGLIENZA IN PATRIA - Gli IMI, reduci dai Lager, non si sentivano eroi - erano tanti e gli eroi non possono che essere eccezioni - ma erano fieri di aver compiuto fino ai limiti umani il proprio dovere patriottico, leali all’Esercito e allo Stato legalitario.
Ma a guerra finita, il ritorno di questa marea apolitica e traumatizzata di reduci fu accolto con gioia da milioni di mamme, spose, fidanzate, parenti e amici e con imbarazzo generale dagli italiani: con diffidenza dai politici (fascisti e antifascisti, monarchici e repubblicani, resistenti e attendisti, socialcomunisti e laico/cristiani) e con diffidenza e apprensione dalle autorità, tanti più che gli IMI, per venti mesi, erano stati camuffati dalla propaganda repubblichina come ”collaboratori” e, dall’agosto 1944, come “lavoratori liberi” volontari!
Com’erano visti dunque gli IMI ? Per i tedeschi e gl’italiani, nei lager e dopo i lager, gli IMI erano un rebus di difficile soluzione: di fronte ai tedeschi si dichiaravano “soldati leali di Sua Maestà il Re d’Italia” e ripudiavano coraggiosamente la loro gioventù fascista, ma in cuor loro i più giovani, dopo l’abbandono sabaudo / badogliano dell’“8 settembre”, covavano risentimenti verso la monarchia e segrete simpatie repubblicane! Gli italiani del Centro - Nord, ora tendenzialmente repubblicani, vedevano i reduci come relitti di un esercito monarchico, reo d’aver combattuto guerre perse fasciste!
I 560.000 reduci, ex IMI non optanti (l’86%, coi caduti, degli IMI del ‘43), furono accolti da 28 milioni d’italiani (sopra 17 anni) in un’Italia sinistrata e ingarbugliata, irriconoscibile da come la ricordavano e l’avevano sognata, tutta in macerie da ricostruire, come pure gl’italiani e amalgama di quattro Italie trasversali e di uno Stato ibrido, con vecchi apparati e funzionari in transizione da una monarchia a una repubblica, collassato da una guerra calda vinta e già coinvolto in una guerra fredda! Un guazzabuglio che vale la pena di chiarire!

1) Un’Italia monarchica, con forse 5.000.000 milioni d’italiani segretamente monarchici al Centro - Nord e 9.000.000 palesemente monarchici al Sud (per tradizione borbonica e sabauda), questi ultimi indifferenti agli IMI di cui conoscevano ben poco! Per i monarchici, se gli IMI erano i soldati fedeli del Regio Esercito, ora erano pure i testimoni imbarazzanti di guerre fasciste e tanto risentiti, verso il re e Badoglio che li avevano abbandonati e dimenticati, dall’ “8 settembre”, al punto che molti, tanto più i giovani, covavano ora simpatie repubblicane!

2) Un’Italia repubblicana fascista degli ex repubblichini, ostile al re e agli IMI traditori e nemici, con forse quasi 1.500.000 militanti (militari, GNR, “ragazzi di Salò”, ex IMI optanti, nostalgici, congiunti e molti ex prigionieri fascisti, degli Alleati (con l’attenuante di non aver vissuto, in Italia, il post “25 luglio” ).

3) Un’Italia repubblicana partigiana, anch’essa con forse 1,500.000 di militanti (partigiani, gappisti, patrioti, IMI, combattenti del CIL, civili superstiti delle stragi tedesche, ex cittadini delle 17 repubbliche autonome partigiane...). Per i partigiani, “resistenti con le armi”, gli IMI erano i fratelli minori ”resistenti senz’armi” ma anche dei potenziali concorrenti, ben più numerosi e da controllare che non facessero ombra, sulla scena, ai mitici partigiani, politicamente egemoni! Ma gli IMI, coi loro “NO!” fin dall’”8 settembre”, erano i pionieri monarchici della Resistenza, seguiti dalla prima resistenza armata del Regio Esercito seguita in ordine cronologico dalla resistenza partigiana, armata, popolare e repubblicana avviata, addestrata e armata, all’inizio, da unità e militari sbandati del Regio Esercito! Per di più, i soldati e soprattutto gli ufficiali, erano accusati grossolanamente di avere consegnate le armi delle caserme ai tedeschi, senza combattere e dopo averle negate burocraticamente ai civili!

4) Un’Italia attendista, al Centro Nord, degli americani, della fine dei bombardamenti e della guerra: la “maggioranza silenziosa”, neutra, di 16.000.000 di persone mimetizzate nella RSI, tutte famiglia, lavoro, casa sfollata e borsa nera, non compromesse coi tedeschi e i fascisti, poco coinvolte con la Resistenza, congiunti e amici di internati e prigionieri e magari coi figli imboscati, o internati in Svizzera, per evitare la ”leva Graziani” senza compromettersi coi partigiani e, per dessert, politicamente incerte o indifferenti, tra una monarchia compromessa e lontana, forse coi giorni contati ed una eventuale repubblica che avrebbe ricordato quella di Salò, da dimenticare! La scelta plateale degli IMI veniva a contrapporsi, imbarazzante, con la non scelta degli attendisti, maggioranza degli italiani, che accolsero gli IMI con indifferenza, fastidio, complessi, zittendoli e ignorandoli!

5) Uno Stato, amalgama di tutti, burocrate e apprensivo, con strutture e funzionari transitati indenni dal fascismo del “ventennio”, all’ex fascismo di Badoglio, al neo fascismo repubblichino e al post fascismo democratico del dopo guerra! Cambiavano i governi, ma i “servitori ||10|| dello stato” erano sempre quelli e fu la fortuna dell’Italia, che non precipitò nel caos: dalle anagrafi alle pensioni e ai distretti militari, dai treni alle poste/telegrafi, dai telefoni all’elettricità! Le autorità poi temevano i reduci, ricordando quelli della Grande Guerra, complici della “marcia su Roma” e dell’ “impresa di Fiume”, o gli “elmetti d’acciaio” tedeschi che avevano tenuto a battesimo il nazismo!
Il ritorno degli IMI si svolse quindi nella generale incomprensione, diffidenza e disinteresse degli italiani, freschi di venti mesi di propaganda repubblichina che camuffava gli IMI da collaboratori!
“Ma chi sono mai? - si chiedeva il governo - fascisti... comunisti... gli avranno lavato il cervello... forse saranno da rieducare... e magari sono anche repubblicani. e come voteranno?” - in una monarchia traballante che li aveva inguaiati l’ 8 settembre”! - “E che cosa mai rivendicheranno? Ma, insomma... chi gliel’ha fatto fare di non firmare... di non voler lavorare. Almeno mangiavano!”.
Così il governo non sollecitò il rimpatrio dei suoi prigionieri (o addirittura lo ritardò, come per quelli dalla Romania, sospettati comunisti!), con sorpresa degli Alleati assillati dagli altri paesi per il rimpatrio dei propri concittadini. Il rimpatrio degli IMI si svolse un po’ alla spicciolata, per i meno distanti dalla frontiera e, per gli altri, grazie alla Pontificia Commissione di Assistenza.
Poi gli IMI erano troppi, concorrenti privilegiati nel mercato del lavoro in un’Italia collassata, piena di disoccupati e si sommavano agli altrettanti ex prigionieri degli Alleati: erano apolitici e non interessavano i politici, per i media non facevano notizia come i partigiani, l’olocausto e l’ARMIR, la scuola li ignorava perché nessuno gliene parlava e l’insegnamento della storia si fermava alla Grande Guerra, evitando il “ventennio” imbarazzante e infine, la gente, dopo anni di guerra, non voleva confronti e rievocare tristezze!
Ma allora gli italiani non avevano capito nulla del perché e del duro prezzo dell’ “altra resistenza”! E se quella marea di 700.000 “NO!” fosse stata invece di 700.000 “SI” dando, fin dall’ “8 settembre, il sostegno politico e militare a Hitler e a Mussolini, quanti sarebbero stati i partigiani, con quali armi, addestrati da chi e con quali prospettive? Gli Alleati avrebbero vinto lo stesso la guerra, ma che storia si sarebbe scritta con un’avanzata alleata rallentata, dando per esempio fiato ai tedeschi nella corsa alle armi missilistiche e atomiche ?
I pregiudizi degli italiani offesero e avvilirono gli IMI che finirono, già traumatizzati dai Lager, a ghettizzarsi tra loro, apolitici ma antifascisti, a rimuovere la memoria del Lager e della loro scelta, buona o meno buona e forse inutile ed a chiudersi in sé stessi, anche in famiglia!
Così la storia degli IMI fu psicologicamente, politicamente e colpevolmente affossata da tutti, IMI delusi, non IMI diffidenti e dallo Stato, amalgama di tutti!



"LA ”RIMOZIONE” NEGLI IMI, TRAUMATIZZATI. IGNORATI E BEFFATI ! - C’era poi la “guerra fredda”, tra un occidente democratico filo americano e una Russia comunista, neo zarista e totalitaria, un conflitto con radici ancor prima della fine della guerra. In questo clima, i governi italiani imbavagliarono per decenni la storia degli IMI perché non riaffiorassero le atrocità dei tedeschi, ora partner nella Nato e in Europa e meta, nel primo dopoguerra, di nostri emigranti! Così l’epopea di Cefalonia, pagina eroica della nostra storia e con la quale il Regio Esercito innescò la ”resistenza armata” precedendo quella partigiana, fu affossata per mezzo secolo, con tante altre tragedie e epopee non ancora dissotterrate, come quella della “Garibaldi”, unica divisione invitta del Regio Esercito, nei Balcani, dall’“8 settembre”!
Come si è detto, il 90% degli IMI rimosse dal 1946, anche in famiglia e con gli amici, la memoria traumatica dei Lager, per di più complessata dal dubbio di una scelta continua, a conti fatti forse inutile o sbagliata! Alcune migliaia di diari clandestini, annotati nei Lager, per lo più da ufficiali e a futura memoria di una storia altrimenti incredibile e rischiosamente salvati in Italia, finirono al macero o sbiadirono nei cassetti dei ricordi, rifiutati dall’editoria commerciale. Se si prescinde dai best seller autobiografici di Giovannino Guareschi e di Primo Levi e di quelli antologici di Giulio Bedeschi, offerti in libreria ad un vasto pubblico, nel dopo guerra sono stati pubblicati, per lo più tardi, in proprio e fuori commercio, non più di 500 memoriali e antologie, con tirature modeste (300-2000 copie per titolo). Con poco più di 300 saggi storici, si raggiunge una tiratura complessiva, di pubblicazioni sugli IMI, inferiore al numero dei reduci: meno d’un libro a testa e non è detto poi lo leggessero!"
(Da: 08 aprile 2007. Claudio Sommaruga, Una Storia affossata, [in: Quad.3-Storia affossata - 2° ed - 2007).



Ma, nonostante, la fenomenologia e complessa variegata diversità delle Resistenze Italiane al Nazifascismo stentò e molto ad essere accettata in sede di divulgazione. Soltanto ad "una" ben distinta formazione ideologico-politica si pretendeva astringere la definizione - e per di più esclusiva - di Resistenza.

Per lunghi decenni degli oltre 650.000 deportati militari e civili italiani che, successivamente agli eventi dell'8 settembre 1943, a nessun costo si piegarono a migliorare la penosa personale situazione optando per la scelta che con mezzi estremamente coercitivi veniva loro presentata: prigionia e fame e vessazioni e brutali percosse sistematiche e lavoro in condizioni di schiavitù o inquadrarsi nell'esercito germanico o nelle formazioni fasciste della R.S.I., nessun cenno.
Non erano e per alcuni non sono resistenti.
Non
erano e per alcuni non
hanno fatto parte della Resistenza.
Infatti sino a tempi vergognosamente recentissimi mai una certa storiografia - con ciò stesso risultante faziosa e di parte -  volle accorgersi di loro.
Necessitavano i recenti studi pioneristici e di grande spessore, ma anche di grande coraggio, di cui ora fortunatamente si dispone?
Necessitava l'ulteriore contrasto sociale - in una Comunità che ambisce definirsi Europa - di una Germania che prima riconosce agli I.M.I. il diritto morale ad un simbolico indennizzo e immediatamente dopo lo svuota di ogni significato?
Necessitavano le pur varie e nel complesso tutte meritevoli di attenzione Commissioni binazionali di studio, sul fenomeno?
Ove non assolutamente inutile, chiederemmo: Perché?
Ce ne asteniamo.
Non è quella degli I.M.I. una pietosa Categoria della Storia.
E', se mai, una immensa moltitudine di umani oppressi da altri umani, resi da questi schiavi in nome di allucinanti deviazioni della Storia.
Meritavano attenzione.
Non l'ebbero.
  

SOMMARIO
AJA. 1907. XIII Convenzione dell'Aja 1907, concernente i diritti e i doveri delle Potenze neutrali in caso di guerra marittima. - Conchiusa all’Aja il 18 ottobre 1907.
AMBROSINO. 2001. Guido Ambrosino, Lavoro coatto, a Berlino non cade il muro - Ennesimo rifiuto di indennizzo agli internati italiani da parte della "Fondazione" tedesca (12 ottobre 2001).
AMBROSINO. 2001. Guido Ambrosino, Vittime del Nazismo - Guerra scaccia guerra. (15 ottobre 2001).
AMBROSINO. [2001]. Guido Ambrosino, I lavoratori forzati del Terzo Reich - "Zwangsarbeiter", i sopravvissuti al lavoro coatto in Germania: prorogati i termini per chiedere l'indennizzo.
ARNING. 2001. Matthias Arning (Francoforte sul Meno), Quando i giuristi capovolgono la storia nazista - Lo storico Herbert rivendica i risarcimenti per gli Internati Militari Italiani da eseguire con il fondo per i lavoratori forzati (su: Frankfurter Rundschau -  10 ottobre 2001).

AUCIELLO. [2001]. Fiammetta Auciello, Lavoro coatto, memoria di carta - Le prove del ruolo del fascismo nelle deportazioni e nel reclutamento di operai per la Germania. In prefettura a Milano.
CUSTODERO. 2014. Alberto Custodero, Noi, perseguitati dai nazisti, senza giustizia da 70 anni - Dal reduce di Auschwitz che lotta per la pensione da deportato, alla centenaria col vitalizio revocato dall’Inps: così la burocrazia nega la storia - su La Repubblica, 26 gennaio 2014.
DI FEO. 2001. Gianluca Di Feo, Niente indennizzi ai deportati italiani - su "Il Corriere della Sera", 15 settembre 2001".
Junge. 2001. "Junge Welt", Perizia compiacente - La Fondazione per i lavoratori coatti vuole escludere le vittime italiane dai risarcimenti (11.10.01).
Neues. 2001. "Neues Deutschland", Lavoro coatto nazista: Per 319817 vittime solo 1,3 miliardi di marchi. (Edizione Internet (www.nd-online.de) - 12.10.2001).
NOVAZIO. 2001. Emanuele Novazio, "Berlino non vuole risarcire gli italiani schiavi di Hitler" -  Novantamila internati che furono costretti a lavorare per il Terzo Reich" (17 ottobre 2001).
Provincia (La) [Como]. 2001. Editoriale. "Il Prefetto accoglie gli Schiavi di Hitler" - Festeggiata ieri anche in città la "Giornata della responsabilità". Delegazione in Via Volta - Palazzo Adriano garantisce: massimo impegno con la Farnesina per le indennità.
ROSSI. [s.d. ma 2012] Luigi Rossi, Risarcimento agli ex schiavi di Hitler? dalla Gazzetta di Mantova
ROSSI. [s.d. ma 2012] Luigi Rossi, La mostra itinerante: 1939-1945: schiavi di Hitler - lavoratori coatti e internati militari italiani a Hagen e in Renania -Vestfalia. Il cammino di una mostra sui lavoratori coatti e internati  militari italiani.
STERN. 2001. Mario Rigoni Stern, Noi internati, schiavi del Reich (su: La Stampa - 7 marzo 2001).
Süddeutsche. 2001. "Süddeutsche Zeitung"  Cambio discutibile in zloty del denaro per il risarcimento. (Edizione a stampa - 11. 10. 2001).

TUTELA BC. 1935. Protection of Artistic and Scientific Institutions and Historic Monuments (15 April 1935).


TESTIMONIANZE

Claudio Sommaruga, Deportati in Patria. Subito dopo la dichiarazione di guerra del Regno d’Italia al Reich, la Repubblica Sociale costituì, nell’ottobre 1943, le “4 divisioni di Graziani” e chiamò alle armi, col “bando Graziani”, i militari italiani sbandati dopo l’8 settembre e non catturati dai tedeschi, tutti gli abili alle armi e in particolare i ragazzi delle classi ’23, ’24, ’25 e ’26, col ricatto di rappresaglie ai parenti, fucilazione o dieci anni di carcere!
E’ significativa, tra le rare, la testimonianza di A. Sulfaro (in Archivio ANRP e “Archivio IMI” (di C. Sommaruga)), riguardante 2000 alpini rastrellati dopo l’ 8 settembre 1943, tra i quali vari AUC del LXII° Btg Alpini di Merano e che vennero inquadrati coi “gladi” repubblichini nel 4° Alpini della Caserma Testafochi di Aosta. Ma pochi giorni dopo, la Wehrmacht occupò la caserma e dopo schedatura degli Alpini ”con piastrina”, nel campo di smistamento della Bicocca di Milano e dopo alcune evasioni, le SS li deportano, coi “gladi” al bavero, la fame e “trasporto piombato”, in Germania, dove la massa si rifiutò di optare! !
Un’altra pagina di storia misconosciuta, riguarda i renitenti e i ritardatari della “leva Graziani” che non avevano potuto raggiungere i partigiani in montagna, imboscarsi o internarsi in Svizzera. In questi ragazzi, per lo più ideologicamente e politicamente immaturi, perché cresciuti nel clima fascista, la renitenza era spesso dovuta a stati emotivi e a sentimenti etici.
Delle 180.000 reclute previste se ne presentarono ai distretti solo 87.000 e in pochi giorni ne disertarono più di 10.000! Una buona parte dei renitenti e disertori incrementò le formazioni partigiane, ma 4000 o 5000 coscritti, rastrellati o ritardatari, vennero coatti, in punizione, in ”battaglioni di disciplina” del Genio Lavoratori, della R.S.I., con ufficiali repubblichini controllo di sotto ufficiali tedeschi!
Ritenuti indegni di addestramento alle armi e di fregiarsi coi “gladi” repubblichini, questi reprobi dovettero indossare, in dispregio, le vecchie divise grigio verdi con le ”stellette”, proprie dei badogliani e furono impiegati dapprima in Italia e poi, dal febbraio-giugno del ’44, in Germania. Qui non furono associati agli IMI, ma inquadrati come “ausiliari” nei battaglioni di ”lavoratori militarizzati” (Bau-Btl al seguito della Wehrmacht), frammisti anche ai volontari e con uno status indefinito simile a quello dei 21.000 KGF italiani senza tutele, catturati con le armi nella prima resistenza delle Ionie, Egeo, Grecia, Balcani e della “difesa di Roma”.
Tra le rare testimonianze reperite, è emblematica e puntuale, quella del “sottosoldato” Pier Luigi Facchin, come si definisce, pubblicata dopo mezzo secolo di avvilimento e rimozioni (cfr. P.L. Facchin, Sottosoldato. Deportato in patria, ed. Bressa, Brescia, 1995, pp. 93).
Nato a Verona nel 1924, il Facchin era già stato condannato, nel 1939, agli ”arresti domenicali in cella” per rifiuto di servizio militare. Precettato nell’ottobre 1943 dalla R.S.I. e imboscato per quasi quattro mesi, come operaio civile, all’Arsenale (militare) di Venezia, fu arrestato ed inquadrato, in grigio verde, senza mostrine e “gladi” ma con le “stellette”, nel 136° Regg. Genio Lavoratori, “di rigore” (Feldpost 38733, poi 80979) e “indegno di portare le armi, servirà la patria con piccone e badile”. Così, dal febbraio 1944, lavorerà a Orvieto, come un deportato, nelle retrovie del fronte, ma, per sua fortuna, eviterà il trasferimento in Germania, con una trafila d’ospedali, “coi gladi in tasca e le stellette al bavero”, fino alla liberazione, il 26 aprile 1945, rifiutandosi però di unirsi ai “partigiani dell’ultima ora”. Nel dopoguerra si dedicherà con abnegazione alla scuola e non parlerà per mezzo secolo del suo passato rimosso!
Altri renitenti, già inquadrati in Italia nei battaglioni di lavoratori, mi confermarono di essere stati trasferiti in Germania anch’essi con le “stellette”. Alla fine del ‘44 fu concessa anche a loro la facoltà di “optare” e di fregiarsi coi gladi, come gli ”ausiliari” repubblichini. Diversi aderirono per fame, ma conservando le stellette in tasca, con queste rimpatrieranno, nell’autunno 1945, frammisti agli ex IMI lavoratori. Ma, a guerra finita, non avendo ricevuto addestramento alle armi, dovranno prestare un secondo servizio militare, dal quale Facchin fu eccezionalmente esonerato nel 1952.
“Deportati in patria!”: confusi coi “badogliani” dai fascisti e coi “ragazzi di Salò” dagli antifascisti, nel dopoguerra saranno ripudiati da tutti, ignorati da tutti e offesi dallo Stato col dovere ripetere ingiustamente il servizio militare come i “ragazzi di Salò” e dal non riconoscimento simbolico del loro comportamento!
Per giustizia, avrebbero dovuto essere stralciati dalle statistiche dei combattenti delle FF.AA. di Salò e considerati “patrioti” della guerra di liberazione come noi, IMI, KGF e deportati dell’ “altra resistenza”!
(http://www.schiavidihitler.it/Pagine_documenti/archivio/Deportati_patria.htm)





1994
"Il rifiuto che la grande maggioranza dei 600000 soldati italiani internati in Germania dopo l'8 settembre '43 ha opposto all'offerta di libertà e di ritorno in patria in cambio della collaborazione con l'esercito tedesco, costituisce un fenomeno di massa di indubbia singolarità storica, ma poco indagato dalle scienze del comportamento. Il volume si propone di cercare elementi di spiegazione del fenomeno analizzando le testimonianze dirette di 429 protagonisti. L'ingresso dell'individuo nel campo di concentramento è infatti sempre caratterizzato da un'azione di distruzione della sua precedente identità, che conduce ad ottenere un certo grado di collaborazione. La ricerca vuole individuare le motivazioni che hanno spinto i soldati italiani a non concederla". [ved. CAFORIO. 1994. Giuseppe Caforio, "No!" i soldati italiani internati in Germania : analisi di un rifiuto / di Giuseppe Caforio e Marina Nuciari, Milano, Franco Angeli, c1994].


RASSEGNA STAMPA - RECENSIONI - STUDI


21 Febbraio 2001
Pietro Berra, Storie: Una ricerca liceale finisce in una maniera inedita: ieri consegna di 750 euro a testa per "cancellare la vergogna" - GLI STUDENTI "PAGANO" GLI EX INTERNATI -  Una scuola tedesca ha risarcito due comaschi schiavi di Hitler.

"Volerci bene è bello". E’ la frase con cui Aldo Moscatelli, classe 1921, internato militare italiano sfruttato nelle fabbriche del Terzo Reich, si congeda dal professore tedesco Bernhard Lehmann, che gli ha appena consegnato una busta con 750 euro, simbolico risarcimento per le angherie subite sessant’anni fa, messo assieme da una classe di 25 studenti del liceo "Paul Klee" di Gersthofen, una cittadina tra Augsburg e Dachau.
Ieri, nella sede dell’istituto di storia contemporanea "Pier Amato Perretta", quella che era cominciata nel 2001 come una ricerca scolastica di un gruppo di volenterosi diciassettenni, si è conclusa con una straordinaria lezione di civiltà.
I ragazzi hanno recuperato tra libri e archivi i nomi degli italiani che furono costretti al lavoro coatto nella loro città e, indignati per le sevizie inflitte loro da Hitler e lo sghetto legale (equipararli ai prigionieri di guerra) con il quale Schroeder nel 2002 li ha esclusi dai risarcimenti della Fondazione "Memoria, responsabilità e futuro", hanno voluto compiere "un gesto simbolico" con l’intento di "chiedere scusa per le sofferenze causategli dalla Germania".
"E’ una storia incredibile e commovente", afferma Maura Sala, consigliere dell’Istituto "Perretta" che ha fatto da interprete tra il docente teutonico, l’ex deportato canturino Moscatelli e il nipote di un altro, Angelo Marelli di Noverate, che ha 84 anni e una salute che non gli ha permesso di intervenire di persona. E’ una storia da film. Ci limitiamo a raccontare le scene clou. Come quando il sindaco di Gersthofen si rifiutò di fare accedere gli studenti alla documentazione relativa agli ex internati e persino di lasciargli vedere le tombe di alcuni russi che ci avevano rimesso la pelle. Il professor Lehmann lo trascinò in tribunale e vinse la causa, ma il primo cittadino se la legò al dito e non volle ricevere in municipio cinque lavoratrici coatte ucraine caparbiamente rintracciate dai ragazzi.
Non meno ostile è stato l’atteggiamento della Igs, l’industria chimica da cui dipende lo stabilimento Transehe di Gersthofen dove furono impiegati cento schiavi di Hitler italiani. "Abbiamo chiesto al manager – riferisce Lehmann – di dare un compenso ai due con cui siamo riusciti a metterci in contatto. “Ho già dato soldi alla Fondazione, ci ha risposto, non posso darli ai due Imi, altrimenti creo un precedente. Per noi il caso è chiuso”. E’ una vergogna, solo le vittime possono permettersi di
dichiarare chiusa la vicenda". Anche stavolta gli studenti non si sono persi d’animo.
Qualche famiglia era contraria all’iniziativa del professore, ma un nucleo di 5 – 6 fedelissimi ha trascinato gli altri. Lo scorso 28 febbraio hanno organizzato uno spettacolo di cabaret benefico, con il quale sono stati raccolti 20mila euro. Finora sono serviti per risarcire una ventina di “schiavi” ucraini e i due comaschi.
Doppio colpo di scena finale: ieri mattina, grazie ad alcuni documenti portati dal nipote, si è scoperto che Marelli fu internato in Sassonia e dunque è un omonimo di quello di Gersthofen, ma Lehmann gli ha dato comunque l’indennizzo”, sottolineandone il valore simbolico.
Infine nessuno dei due beneficiari ha accettato i soldi: Marelli li devolverà all’Unicef, Moscatelli alla vittima di un’altra guerra, molto più vicina nel tempo. La popolazione irachena.
SCHIAVI DI HITLER - L’OLOCAUSTO ITALIANO
"L’Olocausto italiano", così Ricciotti Lazzero, compianto presidente dell’Istituto "Perretta", definiva la tragedia dei 640.00 soldati rastrellati dai tedeschi dopo l’8 settembre del’43 e costretti al lavoro coatto nelle fabbriche del Terzo Reich. 50.000
non fecero più ritorno. Di recente la Germania li ha esclusi dagli indennizzi per gli “schiavi di Hitler”, equiparandoli ai prigionieri di guerra, anche se il dittatore non gli riconobbe questo status proprio per poterli sfruttare. "Lavoravo sette giorni su sette per preparare della cera che dicevano servisse per rivestire le bombe – ha raccontato ieri Aldo Moscatelli. Tiravamo avanti con una zuppa che era acqua sporca di cavoli e patate".
Pietro Berra, Storie: Una ricerca liceale finisce in una maniera inedita: ieri consegna di 750 euro a testa per "cancellare la vergogna", (su "La Provincia di Como", 21 Febbraio 2001)
(Da: http://www.schiavidihitler.it/Pagine_documenti/archivio/Lehmann.htm)
21 Febbraio 2001
Alberto Papuzzi, Partigiani in divisa - Ritrovate 364 mila schede dei militari italiani internati nei Lager dopo l'8 settembre. Storia dell'altra Resistenza.

364.000 vite di soldati italiani internati nel Terzo Reich giacciono dimenticate alla Deutsche Dienststelle, archivio di Berlino dello Stato tedesco. Si è scoperto uno schedario con 715 cassetti. Ogni cassetto conta 500 schede. Ogni scheda riassume la storia di un soldato italiano catturato dai tedeschi dopo l'8 settembre e inviato in un Lager: dati personali, reparti di provenienza, circostanze della cattura, condizioni di salute, trasferimenti nei campi di lavoro, eventuali cause di morte. Questa
enorme massa di documenti potrà finalmente fare luce sulla tragedia degli internati militari che è ancora un punto oscuro dell'ultima guerra. Potrà anche essere usata per avviare cause di risarcimento contro le ditte tedesche presso le quali gli internati furono costretti a lavorare. L'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (intitolato alla memoria di Ferruccio Parri, con sede a Milano in piazza del Duomo) ha inviato una nota al ministro della difesa (nonché a quello dei beni culturali) perché ci si occupi di questa giacenza, dietro la quale vengono a galla problemi che riguardano sia la conoscenza di una vicenda storica rimasta nell'ombra, sia i destini di persone due volte vittime: prima della guerra poi del silenzio.
"Abbiamo chiesto di avviare ricerche su questi giacimenti - dichiara la presidente Laurana Lajolo - offrendo la collaborazione di specialisti come Enzo Collotti, Giorgio Rochat, Carlo Gentile e Lutz Klinkhammer".
 L'Ambasciata italiana a Berlino ha appena chiesto le schede, in base a una norma della Convenzione di Ginevra. Quello degli internati militari è un gigantesco caso di rimozione. Si calcola approssimativamente che furono seicentomila i soldati italiani che, nel caos in cui il re e Badoglio lasciarono l'esercito dopo l'8 settembre, vennero fatti prigionieri e inviati nei Lager della Germania. Qui furono invitati ad aderire alla Repubblica Sociale: nonostante le martellanti pressioni dei fascisti, accettarono circa il 30 per cento degli ufficiali (cioè 7.500-8.000) e il 10 per cento dei soldati (qualche decina di migliaia). Su esplicito ordine di Hitler gli fu perciò negato lo status di prigionieri di guerra: non potevano appellarsi alla Convenzione di Ginevra e non avevano l'assistenza della Croce Rossa, con conseguenze devastanti sulle condizioni di prigionia. Soltanto negli anni ottanta si comincia a edificare una memoria dei lager militari.
In Germania le ricerche si incrociano con il dibattito sui crimini di Wehrmacht e Gestapo: nel 1982 il giornalista Erich Kuby spezza il silenzio con Il tradimento tedesco, dall'esplicito sottotitolo "Come il Reich rovinò l'Italia". Nel 1990 Gerhard Schreiber pubblica Verraten Verachtet Vergessen (Traditi, disprezzati, dimenticati), una ricerca sugli internati militari italiani che è stata tradotta dall'Ufficio storico dello Stato maggiore del nostro esercito. Altri spiragli sono aperti dalle ricerche dello storico Lutz Klinkhammer, noto per l'opera L'occupazione tedesca in Italia (Bollati Boringhieri 1993) e ricercatore presso l'Istituto storico germanico di Roma. La questione più aspra è quella del lavoro coatto. Presso quasi tutti gli Stalag (campi di prigionia) erano stati istituiti gli Arbeitskommandos (distaccamenti lavorativi), messi a disposizione soprattutto di fabbriche, come mano d'opera praticamente a costo zero: gli internati erano pagati con moneta valida soltanto nei loro campi, che al di fuori non aveva potere d'acquisto. L'orario di lavoro era spesso di dodici ore, il vitto era molto povero, se ci si rifiutava di collaborare fioccavano le punizioni. Nonostante la censura, le lettere ai famigliari documentano le condizioni di vita degli internati: "Da nove mesi non facciamo altro che bere al posto di mangiare. Bere acqua calda con un pezzo di carota o di rapa fradicia" (Stalag di Dortmund). "Forse non mi riconosceranno più... Sono irriconoscibile da quanto sono magro, solo le ossa e lo spirito mi sono rimasti (Stalag di Hemer).
Ma il 20 luglio 1944 si decise la cosiddetta civilizzazione, per ottenere più produttività: gli internati furono congedati d'autorità e acquisirono lo status di lavoratori civili, con una retribuzione minima. Le loro condizioni in parte migliorarono, pur restando sempre peggiori di quelle dei soldati americani e francesi, che godevano dello status di prigionieri di guerra. Un punto cruciale sono i risarcimenti, per gli schiavi del lavoro italiani (e non solo). Proprio nella prima settimana di febbraio la fondazione tedesca per le rivendicazioni degli ex deportati ha stabilito un tariffario: 15 milioni di lire per il lavoro nei Lager, 5 milioni per quello nelle imprese, 2 milioni per quello in agricoltura. I risarcimenti dovrebbero essere erogati dal governo tedesco con il contributo di tutto il mondo industriale, aggirando il problema delle singole e specifiche responsabilità delle ditte. "La questione dei risarcimenti è anche etica e riguarda il problema della colpa collettiva - spiega Klinkhammer -.
Numerose ditte non vogliono pagare perché non vogliono essere messe sullo stesso piano morale di giganti dell'industria come la Mercedes e la Volkswagen. Piccole aziende o aziende sorte dopo la guerra protestano di non avere niente a che fare con lo sfruttamento degli internati.
Lo spoglio delle schede della Deutsche Dienstelle è probabile fornisca un elenco inoppugnabile delle singole responsabilità". Per capire quanto sia importante lo schedario inesplorato, basta dire che non si sa esattamente quanti internati morirono nei Lager (un vecchio dato diceva ventimila, ma oggi sembra troppo basso). Queste schede possono coprire molti vuoti nella storia del nostro esercito, nell'albo d'oro dei caduti, nelle memorie locali e in quelle famigliari. Per ricostruire vite perdute nel
marasma della guerra. Per ritrovare pezzi di storia militare, compresi i sopravvissuti della strage di Cefalonia, per la quale oggi si chiedono pubbliche scuse alla Germania.
Nella "Biblioteca dell'Istituto storico germanico di Roma" è imminente la pubblicazione di un voluminoso studio di Gabriele Hammermann, ricercatrice presso il Museo di Dachau: una radiografia delle condizioni dei nostri prigionieri nei campi nazisti (impieghi, rancio, punizioni, salute), frutto di 10 anni di lavoro in 46 archivi. Quella degli internati militari è una pagina che si comincia a leggere soltanto ora.
(Alberto Papuzzi, Partigiani in divisa - Ritrovate 364 mila schede dei militari italiani internati nei Lager dopo l'8 settembre. Storia dell'altra Resistenza, (su "La Stampa", 21 Febbraio 2001)
(Da: http://www.schiavidihitler.it/Pagine_documenti/archivio/altra_resistenza.htm)






7 marzo 2001
Mario Rigoni Stern, Noi internati, schiavi del Reich.

Da qualche mese si risente parlare degli ex Imi, ossia degli Italiani Militari Internati in Germania, e di una legge del Parlamento tedesco entrata in vigore il 16 febbraio del 1999 che tratta in merito al «Risarcimento dei danni subiti dai cittadini europei occidentali deportati in Germania durante la Seconda guerra mondiale e sottoposti a lavoro coatto»; a questa legge era stato anche destinato il finanziamento di un bel mucchio di marchi. Ma era anche previsto che al risarcimento avrebbero avuto diritto solo i deportati civili, escludendo quindi i militari. In questi giorni si sta discutendo a livello di organizzazioni internazionali e nelle commissioni su cosa erano gli Imi.
Ma noi cosa eravamo?
Non ci consideravano prigionieri di guerra, e dalla Croce Rossa non si ebbe alcun aiuto; non ci consideravano nemmeno deportati e per i tedeschi eravamo solo traditori e badogliani.
Nell’ordine del «trattamento» venivamo considerati, dopo i giudei gli zingari e gli anormali, alla pari dei prigionieri sovietici.
Quante volte ci siamo sentiti dire che saremmo stati a lavorare per il Grande Reich fino alla fine dei nostri giorni, che per noi l’Italia era da dimenticare e che per loro sarebbe diventata terra di vacanze.
Eravamo stati catturati dopo l’8 settembre 1943, molti sulla via del ritorno a casa, altri in territori lontani: Jugoslavia,Grecia, Albania, isole dell’Egeo e dello Jonio, Francia. Quelli che avevano tentato di resistere,anche se abbandonati dai Comandi superiori, venivano fucilati come a Cefalonia, in Albania,nelle isole; o anche semplicemente uccisi per non voler buttare un’arma come capitò al cuciniere della mia compagnia che stava preparando il caffè per la mattina del 9 ( Che’l vulquel tugnì? E il tedesco gli sparò).
Per volontà di Mussolini e di Hitler non fummo né prigionieri di guerra né internati politici e quando ci diedero la possibilità di scegliere optando per i tedeschi o i fascisti più del 98% disse di no.
Finimmo deportati in lager anche molto lontani.
Subimmo sorti diverse ma pochi ebbero la fortuna di andare nei distaccamenti che lavoravano presso le grandi fattorie.
Fu molto duro battere la ghiaia sotto le traversine delle ferrovie verso l’Est dove infuriava la guerra, più duro ancora scavare fosse anticarro nel terreno gelato o difese campali sul fronte russo dove molti morirono anche fucilati prima delle «ritirate strategiche» della Wehrmacht sotto l’incalzare dell’Armata Rossa; morirono negli scavi sotterranei dove si dovevano fabbricare le V1 e le V2 che avrebbero bombardato l’Inghilterra; nello sgombero delle macerie delle città bombardate.
Un ricordo che non si cancella è quello di un gruppo di nostri italiani che incontrammo in un maledetto lager della Slesia polacca: erano appena usciti dalle miniere di carbone; magrissimi,neri di polvere, gli occhi di un bianco di morte. Capimmo dalle divise che erano nostri fratelli di sventura perché non avevano nemmeno il fiato di dire un breve saluto.
Li portarono a fare la doccia e andammo poi a raccoglierli cadaveri. Erano leggerissimi. Li seppellimmo nelle grandi fosse comuni dove in quei giorni della ventosa primavera del 1944 altri nostri compagni li raggiunsero.
Questo nel lager XVIII A, a Lamsdorf.550.000 eravamo nei lager di Germania e Polonia, altri 100.000 in quelli dei Balcani; sempre come «internati» in quanto sudditi, secondo la legge, della repubblica di Salò. Insomma potevamo sentirci traditi dal regime fascista e dalla monarchia e dal governo Badoglio; dai generali che non avevano saputo reagire alla crisi dell’armistizio. Quanta rabbia in corpo sentivo in quei primi mesi. Poi la fame...
Circa settantamila nostri compagni pagarono con la vita quella resistenza.
Ma queste cifre sono approssimative perché a distanza di cinquantasei anni non è ancora possibile fare i conti.Oggi siamo rimasti circa 25.000 e se dovesse venire accolta la richiesta di «deportati» a ognuno toccherebbero come «risarcimento» cinque milioni di lire.
Personalmente li rifiuto ma a qualche vecchio potrebbero fare molto comodo.
«Tornavamo dai lager / come torrenti in piena/ verso la terra del sole. // ... Un nembo solo di cenere avvolgeva morti e vivi / in cammino sulle strade d’Europa. // Non sapevamo, Signore, / quanto è terribile / essere liberi». (David Maria Turoldo, Salmo dei deportati ).
(Mario Rigoni Stern, Noi internati, schiavi del Reich - su: La Stampa, 7 marzo 2001)
(Da: http://www.schiavidihitler.it/Pagine_documenti/archivio/rigoni_stern.htm)










26 Maggio 2001
Emanuele Novazio,
Esclusi dai risarcimenti gli italiani schiavi di Hitler - Gli 80 mila superstiti si mobilitano: non ci interessano i soldi stanziati dalla Germania ma la verità storica - Portato al prefetto messaggio di ex internati in Germania".ROMA La stragrande maggioranza degli italiani vittime del lavoro forzato negli anni del Terzo Reich rischia di non ricevere indennizzi, nonostante l’approvazione definitiva dell’accordo con il quale banche, grandi aziende e governo tedeschi si impegnano a versare 10 mila miliardi di lire agli "schiavi di Hitler" sopravvissuti (una media di 15 milioni di lire a testa per un milione e mezzo di vecchi sparsi nel mondo). A lanciare l’allarme è l’"Organizzazione internazionale per le migrazioni",
l’Oim, una delle agenzie che il cancelliere Schroeder ha incaricato di gestire il programma di risarcimento: in Italia il 90% cento dei potenziali aventi diritto, forse 80 mila persone rimaste su un totale di 700 mila, è infatti rappresentato da militari deportati in Germania dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, e impiegati a forza nell’industria di guerra del Reich (il restante 10% era costituito da civili non soltanto ebrei). Il regime nazista li etichettò come "Imi" - INTERNATI MILITARI italiani - e non come prigionieri di guerra, privandoli così delle garanzie previste dalla Convenzione di Ginevra del 1929 e dell’assistenza della Croce Rossa. Ma la loro situazione viene assimilata oggi alla condizione di prigionieri di guerra, che la legge tedesca esclude dagli indennizzi previsti per i "lavoratori forzati". Una commissione istituita dal governo di Berlino si pronuncerà il 25 giugno sulla posizione degli "Imi". Ma il timore di un’esclusione è diffuso, in Italia: "Siamo preoccupati non tanto per i risarcimenti quanto per la verità storica", conferma il professor Enzo Orlanducci, segretario generale dell’Anrp, l’Associazione nazionale reduci e prigionieri di guerra che organizza oggi una manifestazione in tutte le Prefetture d’Italia per "sollecitare l’inclusione degli internati nel programma di indennizzo". "Se considereranno gli Imi come prigionieri di guerra entreremo nella nuova Europa con il piede sbagliato", avverte Orlanducci. "La differenza è chiara: gli internati erano privi di tutele internazionali e obbligati arbitrariamente e unilateralmente al lavoro in campi di punizione", si legge in un documento Anpr. Il problema è complicato dalla mancanza di una anagrafe dei reduci - nonostante lo sforzo dell’Oim e dei responsabili degli Istituti di Storia della Resistenza di numerose città - e dal disinteresse del governo italiano che, accusa Orlanducci, si è limitato finora a sollecitare un incontro di un rappresentante della Farnesina e un funzionario della Difesa con i responsabili della Fondazione tedesca incaricata della raccolta dei fondi. Anche i partiti - con l’eccezione del Pdc di Cossutta e della Lega, che hanno ottenuto l’interessamento del presidente Ciampi - hanno ignorato un problema che va al di là del fattore economico ma investe uno capitoli più oscuri della storia recente. "Chiediamo la verità. Lotteremo e se sarà necessario faremo causa alla Germania", avverte il presidente dell’Associazione reduci. Per ottenere gli indennizzi e - nei casi in cui le imprese tedesche pagarono, paradossalmente, i contributi su un lavoro coatto e non retribuito - "per ottenere il ricongiungimento di quei versamenti ai contribuiti accumulati successivamente dai reduci". Come dire che si annuncia anche una causa di lavoro, accanto a una denuncia di dimensione ben più vasta e dai contorni storico-morali. Anche se il tempo stringe: il termine per la richiesta d’indennizzo - una scheda con 120 domande - scade l’11 agosto, ma all’Oim sono arrivate finora soltanto le risposte di 12 mila persone su un totale di 76 mila contatti.
Emanuele Novazio, Esclusi dai risarcimenti gli italiani schiavi di Hitler - Gli 80 mila superstiti si mobilitano: non ci interessano i soldi stanziati dalla Germania ma la verità storica - Portato al prefetto messaggio di ex internati in Germania", (su "La Stampa", 26 maggio 2001)
(Da: http://www.isc-como.org/schiavi_di_hitler/Documenti/Stampa/stampa_articoli.htm)
26 Maggio 2001
Emanuele Novazio,
Portato al prefetto messaggio di ex internati in Germania.SAVONA. Anche l’associazione IMI (INTERNATI MILITARI italiani) del Savonese ha preparato un messaggio da rivolgere al prefetto. Questa mattina, alle 10,30 di fronte al palazzo del governo di piazza Saffi, così come accadrà in tutti gli altri capoluoghi di provincia, ci sarà una delegazione dell’IMI, guidata dal referente provinciale, il cengese Pietro Bagnasco, che sarà poi ricevuta dal prefetto Luigi Serra al quale consegnerà la richiesta di "giusto riconoscimento" in nome degli INTERNATI MILITARI italiani in Germania. Al messaggio sarà unito un mazzo di rose bianche, simbolo della lotta contro il nazismo. Quello che i delegati dell’IMI chiedono, è che i prefetti si attivino nei confronti della Germania e dell’Austria perché venga riconosciuto il lavoro e la dignità dei tanti italiani che, durante la seconda guerra mondiale, furono deportati nei campi di lavoro. L’aspetto economico ha, naturalmente, la sua rilevanza: ciò che muove l’associazione, tuttavia, non è il semplice risarcimento materiale, ma l’edificazione di un sistema nel quale "Memoria, responsabilità e futuro" sia un reale punto di partenza per rendere giustizia alle immani sofferenze patite da questi uomini, che mai potranno essere cancellate da compensi economici. Le autorità tedesche competenti non hanno ancora debitamente valutato tutti gli aspetti ed i risvolti del problema.
Emanuele Novazio, Portato al prefetto messaggio di ex internati in Germania, (su "La Stampa", 26 maggio 2001)
(Da: http://www.isc-como.org/schiavi_di_hitler/Documenti/Stampa/stampa_articoli.htm)
26 Maggio 2001
La testimonianza: "Mia madre moriva nel lager, le Ss ballavano a casa nostra"
"La mia mamma aveva una pensione a Firenze, sette camere da letto, in centro. Fu deportata. Come me, mio padre, mia nonna, mio fratello, mia cognata... Di dieci membri della mia famiglia arrestati e mandati nei lager, sono tornato soltanto io. Ho poi saputo che in quelle sette stanze una signora organizzava festini per i nazisti".
Nedo Fiano porta impressa sul braccio una matricola, nel cuore e nella mente un dolore che non si può cancellare. È uno delle migliaia di ebrei italiani perseguitati, espropriati, deportati. Uno di quelli di cui si è occupata la Commissione Anselmi. Uno di quelli a cui lo Stato ancora deve un risarcimento. Di tutto ciò che la sua famiglia possedeva è riuscito a recuperare soltanto uno scrittoio. Al rientro dal campo, non è andato a caccia dei suoi beni, perché la poca energia che gli era rimasta l'ha dovuta spendere "per tentare di riprendersi la vita" e l'unica cosa che in tutti questi anni ha continuato a cercare "è stato il volto della mamma, nei sogni". Oggi dice che quanti stanno tentando di appurare la verità sulle persecuzioni e le spoliazioni antiebraiche in Italia "fanno un lavoro santo", ma spiega di "non avere fiducia" nel fatto che davvero riparazioni e restituzioni arriveranno.
La fiducia nello Stato Fiano l'ha persa il 6 febbraio del '44 quando un suo concittadino, un agente in borghese, lo avvicinò in una strada di Firenze con una pistola in pugno: "Tu sei Nedo Fiano, sei ebreo disse Seguimi o sparo". Fu portato a Fossoli e da lì cominciò un'odissea nei campi di concentramento da Auschwitz a Buchenwald dove fu liberato l'11 aprile del '45 dall'Armata Rossa.
"Prima la stessa sorte era toccata a mio fratello, poco dopo a mia madre e mio padre. Mia nonna la andarono a prelevare in ospizio, aveva 83 anni. La riconobbi tra gli altri deportati quando arrivò anche lei ad Auschwitz, volevo andare ad abbracciarla, ma svenni. Fu subito uccisa".
"Dopo la liberazione, fui portato all'Accademia di Modena, insieme agli altri ex internati. Me ne stavo con la testa tra le mani. A chi mi rivolgeva la parola rispondevo solo con qualche monosillabo in tedesco". "Una famiglia ebbe pietà di me. Mi offrì un vestito, un alloggio". "Mi fermai da loro tre settimane. Poi cercai di tornare alla vita. Il lavoro è stato la medicina che mi ha guarito".
"I beni di famiglia? Allora non avevo neanche la testa per mettermi a cercare quello che mi avevano preso. A Firenze non sono voluto tornare, ad ogni angolo di strada mi sembrava di vedere i visi di mamma e papà". "Certo, più tardi ho provato a presentare delle domande di indennizzo, ma senza risultato. Tutto quello che ho dallo Stato è un abbonamento annuale alla metropolitana e un vitalizio di 750 mila lire al mese".
(La testimonianza: "Mia madre moriva nel lager, le Ss ballavano a casa nostra", (su: La Repubblica, 26.05.2001)
(Da: http://www.schiavidihitler.it/Pagine_documenti/archivio/mia_madre.htm)
27 Maggio 2001
Stefania Di Lellis, La Germania ci umilia di nuovo - In piazza gli ex schiavi italiani di Hitler: Indennizzi a rischio - Protestano a Roma davanti all'ambasciata tedesca gli "internati militari" costretti a lavorare per l'industria bellica.

ROMA - "All'ingiustizia ora si aggiunge la beffa". Fa caldo in via San Martino della Battaglia a Roma, troppo caldo per questi ottantenni in giacca, cravatta e distintivo da reduci sul bavero. Protestano, sudano, uno ha perfino un malore. Ma nessuno molla lo striscione: "Verità storica e giustizia per gli Imi, gli internati militari italiani". Sono venuti anche da lontano per manifestare davanti all'ambasciata tedesca e chiedere ancora una volta, a distanza di più di mezzo secolo, di non essere ignorati dal paese che li sfruttò come schiavi al servizio della guerra di Hitler e non li ha mai risarciti. "E invece non ci hanno neanche ricevuti", si lamentano. "L'ambasciatore non si è degnato di affacciarsi, si è limitato a mandare l'addetta culturale al portone a prendere il nostro messaggio e un mazzo di rose bianche, il simbolo del nostro movimento, così come lo fu degli studenti di Monaco che ebbero il coraggio di opporsi al nazismo".
Rose bianche sono state portate ieri dagli ex lavoratori coatti anche ai prefetti di altre 104 città: una "Giornata della responsabilità" per ricordare il passato e chiedere sostegno per il futuro.
Entro il mese di giugno, il governo tedesco dovrà pronunciarsi sugli italiani che furono costretti ai lavori forzati in Germania durante il nazismo. Dovrà dire, insomma, se i nostri militari fattiprigionieri dopo l'8 settembre del ‘43 e portati in Germania a lavorare rientrano tra gli ex "schiavi" che hanno diritto al risarcimento che verrà approvato definitivamente il 30 maggio dal Bundestag.
Tutto cominciò quando, dopo l'armistizio, i tedeschi cominciarono a rastrellare italiani civili, ma soprattutto militari. "Quei soldati non vennero chiamati prigionieri di guerra per privarli dell'assistenza della Croce Rossa e dei benefici della Convenzione di Ginevra - spiega Enzo Orlanducci, segretario dell'Associazione reduci della prigionia, dell'internamento e della guerra di Liberazione - Oggi invece li vogliono far diventare ex prigionieri di guerra, per escluderli dai risarcimenti".
L'Anrp, con altre organizzazioni, sta comunque cercando di aiutare gli italiani "schiavi" di Hitler a presentare la complicata documentazione richiesta dal governo tedesco per aspirare all'indennizzo. Finora ce l'ha fatta con 14 mila dei 76 mila potenziali aventi diritto (quanti restano di un esercito di "schiavi" italiani composto da 770 mila persone). "I termini per la domanda scadranno ad agosto. Berlino, però, scioglierà la riserva sugli Imi solo a fine giugno: se avessimo dovuto aspettare il verdetto non avremmo fatto in tempo a raggiungere nessuno", sottolinea Orlanducci.
Qui tra i reduci venuti a manifestare a Roma la delusione per non essere stati ricevuti dall'ambasciatore tedesco è tangibile. "Mi sembra che abbiano voluto far capire fin d'ora cosa risponderanno agli Imi", dice Orlanducci. E avverte: "Questo schiaffo ci spinge a intentare causa al governo tedesco e non soltanto per i 76 mila superstiti o morti da poco, ma per tutti e 770 mila gli ex schiavi italiani e i loro eredi".
Stefania Di Lellis, "La Germania ci umilia di nuovo", (su "La Repubblica", 27 Maggio 2001).
(Da: http://www.isc-como.org/schiavi_di_hitler/Documenti/Stampa/dopo_26_maggio.htm

27 maggio 2001
Stefano Mariantoni, Il nodo - Ieri in Prefettura - Ex deportati in Germania: oltre 60 mila ex militari rischiano di non essere risarciti. Incontro col Prefetto.
ROMA - Al fine di valutare la posizione degli Imi (Internati militari italiani) la Germania ha istituito una commissione che si pronuncerà entro giugno. La decisione finale spetta comunque al Governo tedesco. Si dovrà decidere tenendo conto di un pezzo di storia: dopo l’8 settembre 1943 le autorità naziste inquadrarono infatti come Imi i militari italiani rastrellati, in modo da privarli dell’assistenza della Croce rossa e delle garanzie offerte dalla Convenzione di Ginevra del 1929 sul trattamento dei prigionieri di guerra. Oggi, invece, la situazione dei reduci dai lager viene assimilata proprio alla condizione dei prigionieri di guerra. Questa categoria è stata esclusa dal risarcimento previsto dalla legge tedesca per indennizzare i lavoratori coatti del Terzo Reich. Il Governo tedesco ha stanziato 10 miliardi di marchi, pari a 10 mila miliardi di lire. Secondo un calcolo dell’Anrp, a ogni italiano dovrebbero andare dai 4 ai 15 milioni di lire. Alla sede di Roma dell’Oim (Organizzazione internazionale delle migrazioni) sono arrivate 76 mila domande, ma i moduli debitamente compilati e restituiti da parte di chi richiede l’indennizzo sono finora solo 12 mila.
Stefano Mariantoni, Il nodo - Ieri in Prefettura - Ex deportati in Germania: oltre 60 mila ex militari rischiano di non essere risarciti. Incontro col Prefetto, (su "il Messaggero", 27 maggio 2001)





27 Maggio 2001
Stefano Mariantoni, Ieri in Prefettura - I reduci dei campi nazisti: Dai tedeschi solo promesse.
Restano solo promesse i risarcimenti dei governi di Germania ed Austria per i reatini lavoratori forzati del terzo Reich. Se n'è discusso ieri in prefettura, in una manifestazione a cui hanno partecipato i sindacati pensionati e patronati di Cgil, Cisl e Uil, tesa a sensibilizzare tramite il parlamento italiano, i governi dei due paesi che non hanno ancora chiarito i contenuti dei programmi di indennizzo. Cinquemila marchi (cinque milioni di lire) a chi dimostri, con tanto di documenti ufficiali, la propria esperienza da lavoratore forzato nel regime di Hitler: a tanto ammonta il risarcimento simbolico che spetta ad oltre un milione di reduci (più di un centinaio i reatini), mentre per chi venne sottoposto al regime di schiavitù (è il caso degli ebrei) si prospetta una somma di 15 mila marchi (15 milioni di lire).
La manifestazione, organizzata dall'"Associazione nazionale reduci della prigionia", ha visto una nutrita partecipazione di pensionati e patronati delle tre diverse sigle sindacali, guidate dal referente provinciale Alberto Ciancarelli. Il simbolo della giornata è stato il fascio di rose bianche che due pensionate hanno consegnato al prefetto Marisa Troise Zotta, insieme ad un messaggio della delegazione che ha strappato la promessa del maggiore rappresentante del governo locale per un forte
impegno in difesa dei diritti degli ex internati.
Nella scorsa estate fu lo stesso sindaco di Rieti Antonio Cicchetti a rivolgersi al ministero degli Affari esteri per ottenere chiarimenti sui modalità e criteri di accoglimento delle richieste che saranno soddisfatte grazie ad un maxi fondo di 10 miliardi di marchi: spesa equamente divisa tra governi e grandi aziende (tra cui i colossi della Volkswagen, Siemens e Daimler).
Stefano Mariantoni, Ieri in Prefettura - I reduci dei campi nazisti: Dai tedeschi solo promesse, (su "il Messaggero", 27 maggio 2001)





27 maggio 2001
"Il Prefetto accoglie gli Schiavi di Hitler" - Festeggiata ieri anche in città la "Giornata della responsabilità". Delegazione in Via Volta - Palazzo Adriano garantisce: massimo impegno con la Farnesina per le indennità.
Le associazioni che si occupano dei lavoratori forzati del nazismo hanno celebrato ieri in tutti i capoluoghi di provincia italiani la "Giornata della responsabilità".
Delegazioni di rappresentanti degli Schiavi di Hitler hanno consegnato mazzi di rose bianche, simbolo dell'antinazismo tedesco, ai prefetti e chiesto loro di sollecitare un intervento del ministero degli Esteri affinché agli internati militari italiani venga riconosciuto dalla Germania il diritto al risarcimento per i due anni di lavoro dal 8 settembre 1943 alla fine della guerra, prestato gratuitamente nelle fabbriche tedesche, tra le quali figurano alcune grandi multinazionali operanti oggi sul mercato mondiale.
Anche a Como una delegazione composta dal direttore dell'Istituto di Storia Contemporanea, Valter Merazzi, dal Presidente provinciale e da quello onorario dell'Associazione Nazionale Ex Internati, Alberto Annoni e Tonino Bertuzzi, e dai rappresentanti dei sindacati, delle Acli e dell'Anpi, è stata ricevuta dal Prefetto Guido Palazzo Adriano.
Questi, dopo aver ascoltato le richieste avanzate dagli interlocutori, ha garantito il proprio impegno personale affinché la Farnesina predisponga un pressing diplomatica sulla Germania perché riconosca le istanze sollevate dagli italiani, classificati formalmente come prigionieri di guerra, ma di fatti trattati come mano d'opera impiegata nelle industrie del Reich senza retribuzione.
La Fondazione tedesca che si occupa delle cause di lavoro dei prigionieri di tutto il mondo, infatti non ha mai voluto riconoscere agli italiani alcuna titolarità al risarcimento e ha nominato una commissione di storici, rigorosamente tedeschi, che entro la fine di giugno dovrà dirimere la questione, stabilendo se gli italiani dovranno essere considerati prigionieri di guerra, secondo la definizione propria della Convenzione di Ginevra, e come tali non suscettibili di tale risarcimento, oppure debba essere loro riconosciuto lo status di lavoratori forzati, e in tal caso aventi titolo per chiedere il pagamento delle somme mai percepite.
Editoriale, "Il Prefetto accoglie gli Schiavi di Hitler", (su "La Provincia" - Como - del 27 maggio 2001)





28 luglio 2001
Guido Ambrosino - Berlino
I lavoratori forzati del Terzo Reich - "Zwangsarbeiter", i sopravvissuti al lavoro coatto in Germania: prorogati i termini per chiedere l'indennizzo.
Una buona notizia per gli Zwangsarbeiter, i sopravvissuti al lavoro coatto nella Germania nazista: i termini entro i quali possono chiedere gli indennizzi previsti dalla legge tedesca sono stati prorogati: non scadranno più l'11 agosto di quest'anno, ma il 31 dicembre. Il Bundestag ha approvato all'unanimità questa modifica il 28 giugno, la camera dei Länder - il Bundesrat - l'ha accettata il 13 luglio. A breve seguiranno la ratifica del presidente della repubblica e la promulgazione sulla gazzetta ufficiale.
I deportati costretti a lavorare in Germania, e il coniuge o i figli di quanti sono morti dopo il 16 febbraio 1999 (data dell'intesa internazionale sugli indennizzi), prendano subito carta e penna e chiedano alla Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), scelta come "partner" della fondazione tedesca per gli italiani non ebrei, l'invio del formulario. Potranno poi rispedirlo compilato alla Oim entro la fine di dicembre. Questo l'indirizzo: via Nomentana 62, 00161 Roma, tel. 800.598859 oppure 06.44250020.
I sopravvissuti ebrei potranno invece chiedere i moduli alla Unione delle comunità ebraiche italiane, Lungotevere R. Sanzio 9, 00153 Roma, tel. 06.5803667, e poi inoltrare le domande alla Claims Conference, Sophienstr.44, D-60487 Frankfurt am Main (Rft).
Restano esclusi dagli indennizzi quanti sono partiti volontariamente per la Germania, a meno che nel corso della loro odissea non siano poi finiti in campi di rieducazione al lavoro o in altri gironi dell'universo concentrazionario.
Dovrebbero avere invece diritto a un rimborso gli internati militari. Rimane da stabilire se il periodo di internamento rientri nei criteri previsti dalla legge. All'articolo 11 vi si dice che "la prigionia di guerra non dà diritto a prestazioni". Ma lo status di "prigionieri di guerra" fu negato dal Reich agli italiani, insieme alle tutele e alle garanzie che avrebbe comportato).
Comunque, a partire dall'estate del '44, gli ex-soldati che non avevano optato per le formazioni armate della repubblica di Salò vennero tutti costretti a lavorare come "civili", tranne alcuni ufficiali di carriera.
Restarono uno dei gruppi peggio trattati. Dovrebbero quindi rientrare in quella categoria di lavoratori formalmente liberi - perché non rinchiusi dietro reticolati - ma costretti a vivere in condizioni "particolarmante aspre", cui secondo la legge spetta un compenso fino a 5.000 marchi. Lo storico Ulrich Herbert, autore di studi fondamentali sul lavoro coatto, non ha dubbi in proposito: "La situazione dei lavoratori dell'est, e dall'estate 1943 anche degli italiani (sottolineatura nostra), era caratterizzata da cattive condizioni per il vitto, la retribuzione, l'alloggio e il vestiario, da orari di lavoro protratti oltremisura, da una carente assistenza medica" (Ulrich Herbert, Fremdarbeiter, Bonn 1999, p. 410).
Sulla questione se gli "internati militari italiani" vadano equiparati ai prigionieri di guerra, e quindi esclusi - almeno per il periodo di internamento - dagli indennizzi, il governo tedesco ha chiesto un parere al professor Christian Tomuschat, ordinario di diritto internazionale alla Humboldt-Universität di Berlino.
Il giurista ha ricevuto il 27 giugno una delegazione di esperti italiani, composta dall'esperta di diritto internazionale Maria Rita Saulle, dallo storico Luigi Cajani, da Max Giacomini, presidente dell'Anei (associazione degli ex internati, da Enzo Orlanducci, responsabile del coordinamento tra le associazioni italiane interessate, e da Valter Merazzi, rappresentante del coordinamento italiano presso la consulta dell'Oim a Ginevra. Christian Tomuschat presenterà le sue conclusioni alla fine di luglio. Una decisione sugli internati militari non sarà presa dalla fondazione tedesca prima della fine di agosto.
Finora 87.000 persone si sono rivolte all'Oim di Roma per chiedere i formulari che consentono di avviare le procedure di rimborso: si tratta per i quattro quinti di ex internati militari. Sempre all'Oim sono già tornate 50.000 domande compilate.
E' un ordine di grandezza che travolge completamente gli striminziti preventivi della fondazione tedesca. Otto Lambsdorff, incaricato dalla cancelleria di condurre i negoziati che hanno portato alla legge di indennizzo, contava di "cavarsela" in Italia con due-tremila domande dei sopravvissuti ai lager delle Ss e di pochi altri. Le tabelle preparate per lui dallo storico Lutz Niethammer non prendevano in considerazione né la discriminazione negativa per tutti gli italiani dopo l'8 settembre 1943, né gli internati militari.
(La categoria di "internati" nemmeno compare nei formulari dell'Oim. Consigliamo di correggere la formulazione della domanda: "Siete stati prigionieri di guerra?" inserendovi il termine "internati militari").
Fatto sta che i soldi ora stanziati non basterebbero in Italia nemmeno a garantire i versamenti della "prima rata" degli indennizzi: 7.500 marchi per i sopravvissuti ai Konzentrationslager, 1.750 marchi per gli altri.
Fortunatamente i politici tedeschi hanno cominciato a accorgersi, anche se in ritardo, della drammaticità del caso italiano. Alcuni ritengono necessario rifinanziare la legge. Tra loro il deputato Volker Beck, portavoce del gruppo parlamentare verde per le questioni di politica giudiziaria: "Dobbiamo respingere ogni tentativo di 'ridurre' il numero delle vittime con criteri antistorici e cavilli giuridici. La questione dell'inclusione degli internati militari italiani deve essere risolta indipendentemente dai condizionamenti finanziari, a partire da una considerzione obiettiva del loro status giuridico e tenendo conto della loro sorte".
(Guido Ambrosino, "I lavoratori forzati del Terzo Reich" - su "Il Manifesto", 28 luglio 2001)







28 luglio 2001
Fiammetta Auciello
Lavoro coatto, memoria di carta - Le prove del ruolo del fascismo nelle deportazioni e nel reclutamento di operai per la Germania. In prefettura a Milano.
Nelle fatiscenti cantine, in via di ristrutturazione, del palazzo della Prefettura di Milano sono stati trovati pacchi di schede di italiani ingaggiati per andare a lavorare nella Germania nazista. Erano passate inosservate, nelle precedenti ispezioni, fra i tanti mucchi di carte che costituivano l'archivio di uno dei più importanti uffici pubblici della città: giacevano disordinate, polverose e imbrattate, poco onorevole testimonianza della dolorosa vicenda che aveva coinvolto circa 100 mila persone, in tutta Italia, dimenticate quanto quelle carte.
 Al momento del ritrovamento, la legge tedesca sugli indennizzi ai lavoratori forzati era ancora di là da venire e non si pensava che i documenti, pur valutati in tutto la loro importanza storica, avrebbero potuto assumere una più contingente utilità.
 La registrazione dei lavoratori civili, a opera della Confederazione fascista per l'industria, era stata effettuata con la redazione di due distinti moduli: una scheda anagrafica degli operai e una ricevuta d'ingaggio bilingue, entrambe con la data di partenza e di rimpatrio e, non di rado, la ditta presso la quale prestavano la loro opera. Le prime schede risalgono al 1940 e riguardano uomini e donne della provincia di Milano che volontariamente avevano accettato un contratto di lavoro temporaneo in Germania, spinti dalla disoccupazione e invogliati da un trattamento economico non molto inferiore a quello garantito ai tedeschi. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, come è risaputo, tutto cambia. I volontari sono costretti a rimanere a ben altre condizioni: non pagati, con poco cibo, vestiti in modo inadeguato al clima, rinchiusi in campi (i più sfortunati sono inviati a Dachau, Flossemburg, Buchenwald). Ironia vuole che qualcuno ancora scelga liberamente di emigrare, forse convinto dalla campagna pubblicitaria condotta sui quotidiani dalle grandi aziende tedesche e dagli accattivanti volantini della Repubblica Sociale. L'Ufficio del lavoro germanico, nel Palazzo di Giustizia, smista i lavoratori, coordina le segnalazioni dei giovani renitenti alla leva o dei rastrellati dalla polizia fascista e decide dove inviarli.
 Nel dicembre del 1944 un accordo italo-tedesco relativo all'impiego di lavoratori italiani in Germania, affida alle "Autorità Militari" la scelta dei cittadini da utilizzare, e dispone che "gli elementi destinati al trasferimento in Germania dovranno essere riuniti in appositi centri di raccolta in Italia ove verranno controllati e selezionati, ai fini del loro impiego, dai competenti organi italiani di concerto con i corrispondenti organi germanici".
 Sulle schede, che in questa fase si riferiscono a persone provenienti anche da altre province e a qualche straniero, compaiono annotazioni che illuminano sul motivo della deportazione. In alcuni casi vengono allegate note della legione Muti, dell'ufficio matricola del carcere di San Vittore, richieste di informazioni dei familiari, alcuni libretti di lavoro. La documentazione, attualmente, si trova all'Archivio di Stato di Milano ed è raggruppata in circa 40 faldoni; suddivisa secondo la tipologia - schede anagrafiche di volontari emigrati tra il '40 e il '43, schede di lavoratori coatti deportati dal '43 al '45, ricevute d'ingaggio - è ordinata alfabeticamente e quindi facilmente rintracciabile. I dati provenienti da quattro faldoni sono già stati immessi in un data base e riguardano circa 2000 lavoratori, fatte quindi le dovute proporzioni, a lavoro ultimato si dovrebbe disporre, forse, di 15 mila nominativi. Alcune schede saranno andate sicuramente perdute nel corso dei trasferimenti: alla fine della guerra l'archivio fu rilevato dal nuovo Ministero dell'assistenza postbellica e utilizzato per organizzare i rientri dei profughi, i magri sussidi loro concessi e le informazioni alle famiglie. E' comunque una ragguardevole cifra, rapportata all'area milanese.
 Probabilmente questo materiale non verrà ritenuto sufficiente a dimostrare l'effettiva prestazione di lavoro a vantaggio del Terzo Reich, ma in Archivio di Stato (dove Fiammetta Auciello lavora come archivista, ndr) ci si è posti il problema di immedesimarsi nei sopravvissuti e nei loro familiari: persone avanti con gli anni, non tutte in possesso di strumenti culturali e finanziari tali da potersi muovere agevolmente tra i vari uffici e organizzazioni italiani e germanici in cerca di prove delle quali, forse, si erano disfatte, nel corso della loro lunga vita, mai più pensando che un giorno sarebbero tornate utili. Questa ragione, unita a un più generale senso di gratificazione ricavato dal poter fare qualcosa di tangibilmente utile (risvolto non sempre così immediato nella professione di archivista), ci ha convinti a diffondere, per mezzo della stampa, la notizia dell'esistenza di tali carte e ad aprire, presso la sede dell'Archivio, uno "sportello" ad hoc, separato rispetto ai normali servizi prestati dall'Istituto, per semplificare e accelerare la ricerca dei documenti e il rilascio di copie autenticate.
 A un mese dalla comparsa dell'articolo sul giornale la Repubblica e dalla pubblicazione sul sito della pagina milanese del primo, e per il momento unico, elenco di duemila nomi, sono arrivate molte telefonate e richieste, ma meno forse di quelle che ci si sarebbe aspettati. I più numerosi sono stati gli ex Imi, gli internati militari italiani, per i quali purtroppo la probabilità di trovare traccia fra le schede è piuttosto remota e strettamente collegata alla loro personale vicenda. La nostra pur recente esperienza con utenti non consueti in un archivio, frequentato di solito da storici di professione, ricercatori, laureandi, ha fra l'altro dimostrato quanto sia tuttora forte il desiderio, da parte dei protagonisti di quelle vicende (o delle mogli, dei familiari) di raccontare la propria storia dopo quasi sessant'anni di silenzio. Scoprire interlocutori interessati, anche per motivi professionali, ai loro ricordi li lascia piacevolmente stupiti, soprattutto quando si rendono conto che, a volte, neanche ai figli o ai nipoti hanno avuto il tempo e la possibilità di raccontare. Una giovane donna ci ha scritto che con sorpresa aveva trovato il nome di suo nonno nell'elenco pubblicato dal sito di Repubblica: non sapeva nulla di quella parte della sua vita. Un ex militare che aveva preso parte alla campagna di Russia e a piedi era riuscito a ritornare a Milano, dopo mesi di disoccupazione - era ben difficile trovare un lavoro per un militare sbandato - nel maggio del 1944 si era rivolto all'organizzazione Todt, nell'illusione di essere impiegato in Italia, come accadeva a molti. Invece venne inviato a Berlino dove gratuitamente lavorò fino al crollo della Germania nazista. Allora, ancora a piedi, ritornò in Italia. Per lui, ormai ottantenne e con tanta strada nelle gambe, la speranza di ricevere, più che un magro indennizzo, un riconoscimento che gli fu negato alla fine della guerra, rappresenta una nuova fonte di vitalità: ci ha ringraziato.
 Fra i civili, meno nota la presenza femminile: una ex lavoratrice forzata è venuta in Archivio accompagnata dalla figlia, nata in un campo in Germania; giovane donna, era stata fermata senza alcun motivo dalla polizia fascista sul tram, al ritorno dal lavoro. Nel campo aveva conosciuto un volontario italiano e si erano sposati.
 Sembrano racconti straordinari, ma forse ogni storia delle 15 mila persone, i cui nomi sono scritti nelle asettiche schede anagrafiche, lo è: basterebbe ascoltarle.
Le Schede anagrafiche dei lavoratori partiti per la Germania e le Ricevute d'ingaggio sono all'Archivio di Stato di Milano, Via Senato n. 10. Si può telefonare allo 02-7742161, 774216220, mandare un fax allo 02-774216230, una e-mail all'indirizzo asmi@cilea.it o si può venire di persona. Lo sportello seguirà fino alla fine di luglio i seguenti orari: lunedì e mercoledì 15-17,30, giovedì 9,30-12 e 15-17,30, sabato 9,30-12. In agosto: martedì e giovedì 9,30-12 e 15-17,30. Per il periodo successivo, si darà tempestiva comunicazione. L'elenco di 2000 nomi e altre informazioni si possono leggere sul sito www.repubblica.milano.it. L'elenco e gli orari aggiornati si possono trovare anche nel sito www.archivi.beniculturali.it, nella pagina relativa all'Archivio di Milano.
(Fiammetta Auciello, Lavoro coatto, memoria di carta - Le prove del ruolo del fascismo nelle deportazioni e nel reclutamento di operai per la Germania. In prefettura a Milano - su "Il Manifesto", 28 luglio 2001)





1 agosto 2001
Manifesto (Il) - Editoriale - FRANCOFORTE - Anti-global a Francoforte - Occupata (pacificamente) la Borsa; iniziative tutta la settimana.
Una clamorosa anche se breve occupazione della Borsa di Francoforte, il tempio della finanza tedesca ed europea, è stato ieri il segnale d'avvio di una settimana di passione che dovrebbe segnare la ripresa del movimento europeo contro la globalizzazione, dopo Genova. A Francoforte da ieri è in funzione un "campo base" del movimento, attrezzato anche con un centro stampa, nel quale sono permanentemente oltre mille persone impegnate in forum di discussione e preparazione di iniziative.
L'assalto alla Borsa, in effetti, si è svolto in modo relativamente pacifico, senza scontri seri con la polizia, senza feriti e danni gravi (l'unico ferito è stato un giovane che si è fatto male durante un parapiglia alla stazione della metropolitana, dove la polizia ha cercato di contenere una piccola folla che voleva salire su un treno). Circa duecento manifestanti sono riusciti, in mattinata, a penetrare di sorpresa nell'edificio, dopo aver dipinto di rosa la classica statua dell'orso e del toro che regna davanti a diverse borse mondiali. Una ventina di giovani hanno raggiunto la galleria che circonda i recinti delle "grida", lanciando volantini e spargendo noccioline, per simboleggiare i "ridicoli" indennizzi promessi dalle grandi corporation tedesche ai lavoratori-schiavi degli anni nazisti ancora sopravvissuti.
La protesta di ieri era in effetti finalizzata a questo - in Germania sono ancora molto forti le polemiche sull'accordo governo-industriali-rappresentanti degli ex-schiavi, accordo che in totale ha promesso 10mila miliardi, con compensi individuali non superiori ai 30 milioni. Ieri pomeriggio, poi, un'altra manifestazione di protesta si è svolta sotto la sede del partito socialdemocratico del cancelliere Schröder, accusato di aver taciuto sui fatti di Genova e di non aver condannato la brutalità esibita dalle autorità italiane.
Ma si tratta come detto solo dei primi atti di una catena di iniziative che nei prossimi giorni vedranno coinvolti soprattutto obiettivi legati alla politica anti-immigratoria del governo tedesco: il gruppo che anima questo tipo di proteste è "Nessuno è illegale", che sostiene l'apertura delle frontiere e leggi più permissive sull'immigrazione. Molti esponenti del gruppo erano a Genova: la violenza della repressione - hanno detto alcuni di loro - ha moltiplicato il numero dei partecipanti al programma iniziato a Francoforte: "Genova è stato un momento di svolta decisivo nelle coscienze".
Le proteste dovrebbero culminare sabato in una marcia sul centro di detenzione per immigrati illegali che è in funzione presso l'aeroporto internazionale di Francoforte.
Manifesto (Il) - Editoriale - FRANCOFORTE - Anti-global a Francoforte - Occupata (pacificamente) la Borsa; iniziative tutta la settimana, (su "Il Manifesto", 1 agosto 2001)





15 settembre 2001
Alessandro Mondo,
Tutti gli schiavi di Hitler - Il vitalizio arriva dopo la morte - Era il risarcimento per due anni di lager nazista. Quando è mancato, nel luglio del ‘90, si è portato nell’estremo viaggio fotografie, lettere, persino le tessere dei lager che avevano segnato per sempre tanta parte della sua vita. In una parola, la documentazione originale nella quale era riassunta la sua condizione di internato e testimone delle atrocità naziste, a fronte della quale non aveva ottenuto nemmeno lo straccio di un vitalizio.
Chissà cosa penserebbe oggi il signor Giuseppe Giordana, classe 1922, sapendo che ad oltre dieci anni di distanza dalla sua scomparsa lo Stato ha fatto ammenda. Perché sarà anche vero, come spiega pacatamente il figlio, che la decisione di portare con sé quei documenti nasceva dal desiderio di tumulare simbolicamente orrori vissuti in prima persona e troppe volte riapparsi nei suoi incubi. Ma è difficile non pensare che sulle estreme volontà non abbia pesato l’amarezza per la «distrazione» di uno Stato scordatosi troppo in fretta dei sopravvissuti al naufragio dell’ultima guerra. Ed è solo grazie alla pietosa disobbedienza di uno dei figli, che ha fotocopiato le carte più significative, se oggi la testimonianza del signor Giuseppe non è andata persa insieme a lui. Oggi che la Corte dei conti di Torino ha riconosciuto agli eredi - assistiti dall’avvocato Luca Procacci - il vitalizio. Qualche centinaio di migliaia di lire al mese, negate per decenni a chi ne avrebbe avuto veramente diritto da uno scherzo del destino: lo smarrimento della pratica per la distrazione di qualche impiegato, seguito dieci anni dopo dal riesame del caso e oggetto di un rimpallo fra i ministeri della Difesa e del Tesoro.
Vicenda che riporta sotto i riflettori un fenomeno dibattuto tardivamente nei tribunali, recuperato all’attenzione del pubblico dalla controversia fra i governi italiano e tedesco sull’inserimento degli ex internati militari nel risarcimento disposto dalla Germania per chiudere i conti con una memoria che ritorna. Più di quanto si credesse, a Roma come a Berlino, e nonostante sia l’età avanzata dei reduci a chiudere sempre più spesso le partite in sospeso.
Non che il signor Giordana - decorato nel 1954 con la croce al merito di guerra e destinatario di un diploma d’onore «al combattente per la libertà d’Italia-internato militare non collaborazionista» firmato nell’84 dal presidente Pertini - contasse più di tanto sul vitalizio. Alla sua prima ed unica richiesta, presentata nel marzo di quell’anno al ministero della Difesa, non era mai seguita risposta. Aveva preferito lasciar perdere, accontentandosi della pensione minima maturata negli anni di lavoro
seguiti al suo ritorno dall’inferno. Era il 23 settembre del ‘43 quando venne catturato dalle truppe tedesche vicino a Zara con i camerati arruolati nella sua divisione di fanteria. Prima destinazione: lo «Stammlager IX C» di Bad Sulza, in Polonia, campo di sterminio diretto dalle «SS», «dépendance» del più tristemente noto Buchenwald. Vi restò per circa sei mesi, costretto a «mansioni» di ogni genere salvo crollare tutte le sere nelle baracche infestate dai pidocchi sopravvissuti agli ebrei polacchi che le avevano occupate prima degli italiani. «Nonostante fosse molto restìo a parlare di queste cose ne ho sentite di tutte i colori - racconta il figlio Michele -: malnutrizione, docce collettive all’aperto, completamente nudi anche d’inverno, punizioni ingiustificate, lavori pesanti o rivoltanti che solo la pietà rendeva possibili». Come trasportare su carriole e scaricare nelle fosse comuni i cadaveri irrigiditi dei «gasati», ebrei e non, resi incredibilmente leggeri dagli stenti patiti in vita.
Era molto riservato su certe cose, il signor Giuseppe, per quanto il muro di silenzio che aveva costruito intorno a questi orrori venisse incrinato a sorpresa da disgusti o inquietudini facilmente interpretate da quanti conoscevano il suo passato: il categorico rifiuto delle patate in tavola o gli incubi che ne tormentavano il sonno.
Dalla Polonia alla Germania: questa volta a Friedrichrosa, presso il campo di lavoro «Staplak I A» diretto dalla Wehrmacht. «Ho passato settanta giorni peggio che l’inferno - si legge in una delle testimonianze fotocopiate -. Qui il lavoro era poco ma il vitto era niente: sono diventato un’ombra, pesavo non più di 45 chili...». A spezzare quella vita da larva, proprio nel giorno del suo ventitreesimo compleanno, l’arrivo dei russi nel luglio del ‘45. Evento raccontato dal signor Giordana con un’obiettività ed una pietà che le vessazioni subite non avevano compromesso: dal sollievo dei prigionieri liberati al raccapriccio per le rappresaglie contro i civili tedeschi da parte dei barbari liberatori con licenza di stuprare, mutilare e razziare a piacimento. Ci vollero mesi prima che tornasse ai campi della sua Pianezza, dove divenne agricoltore, poi marito e padre. Ci sono voluti decenni prima che un vitalizio post mortem rendesse finalmente omaggio alle sofferenze e allo spirito di sopravvivenza di un uomo.
Alessandro Mondo, Tutti gli schiavi di Hitler - Il vitalizio arriva dopo la morte - Era il risarcimento per due anni di lager nazista, su La Stampa, 15 settembre 2001.





15 settembre 2001
Alessandro Mondo, Tutti gli schiavi di Hitler - La Germania dice no ai militari prigionieri.
Conto alla rovescia per presentare nella sede prevista la richiesta di indennizzo da parte degli schiavi di Hitler, le persone ridotte in schiavitù o costrette al lavoro forzato nei lager nazisti, altra cosa rispetto al vitalizio erogato dallo Stato italiano: mancano poco più di tre mesi alla scadenza, inizialmente fissata ai primi di agosto e poi prorogata al 31 dicembre con decisione unanime del Parlamento tedesco.
Decisione da leggersi alla luce delle difficoltà organizzative e di accertamento che comporta l’elevato numero di richieste - oltre 116 mila quelle già inoltrate a vario titolo (lavoro forzato, lavoro in stato di schiavitù, danni alla salute, perdita di un figlio), la quota prevista supera le 200 mila - ma soprattutto della trattativa finora improduttiva sul destino degli ex militari (Imi). Se da un lato i tedeschi continuano a sostenere che - in quanto prigionieri di guerra - non hanno diritto al risarcimento, il fronte delle associazioni degli ex internati mobilitate da tempo rispondono di poter ampiamente dimostrare come a questa categoria di prigionieri sia stato riservato dopo l’8 settembre un trattamento uguale se non peggiore a quello dei civili.
Risarcibili a tutti gli effetti, quindi, senza alibi dell’ultima ora. Un braccio di ferro che si consuma da tempo e che nemmeno la proroga della scadenza sembra aver avviato ad esito positivo. Al contrario, fino ad oggi, la Germania si è mostrata tetragona nel secco «no» opposto agli ex Imi o ai loro congiunti.
In ballo, c’è il fondo di 10 miliardi di marchi (10 mila miliardi di lire) istituito dal Parlamento tedesco come forma di risarcimento da dividere fra vittime ebree e non ebree dei vari paesi. Ad occuparsi della raccolta delle richieste, seguite dai necessari e complessi accertamenti, l’Organizzazione internazionale per le Migrazioni (Oim) delegata dalla Germania. Fra le novità legate alla proroga della scadenza, già segnalate dalla Stampa, ce n’è una che merita di essere ricordata: il Parlamento tedesco ha infatti stabilito che - nel caso in cui un richiedente sia deceduto dopo aver presentato regolare domanda di risarcimento - i suoi eredi, entro sei mesi, potranno inoltrare una nuova richiesta.
Alessandro Mondo, Tutti gli schiavi di Hitler - La Germania dice no ai militari prigionieri. Il vitalizio arriva dopo la morte, (su "La Stampa", 15 settembre 2001).





15 settembre 2001
Gianluca Di Feo, "Niente indennizzi ai deportati italiani - Berlino: dopo l' 8 settembre erano prigionieri di guerra, non schiavi del nazismo".
«Niente indennizzi ai deportati italiani» Berlino: dopo l' 8 settembre erano prigionieri di guerra, non schiavi del nazismo L' ultima beffa dell' otto settembre. Nel 1943 i soldati italiani che non si arresero ai tedeschi vennero considerati «banditi »: fucilati alle spalle come a Cefalonia. O deportati in Germania senza nessun diritto, costretti a lavorare nelle fabbriche e nelle fattorie del Reich in condizioni disumane. Un' epopea drammatica: su 650 mila militari catturati dalle forze germaniche, in venti mesi più di 50 mila morirono per fame, freddo e malattie. Sui loro cappotti logori una scritta con la vernice bianca li marchiava: Imi, sigla per «Internati militari italiani». Ma ora dopo 58 anni le autorità di Berlino hanno stabilito che quei 650 mila erano «prigionieri di guerra» e quindi non potranno ottenere i risarcimenti stanziati per gli «schiavi» del nazismo. Unica eccezione - recita il comunicato ufficiale - è per le persone che possono dimostrare di non essere state detenute nei campi di concentramento delle forze armate germaniche ma nei lager delle SS.
 Il verdetto cancella le ultime speranze di 60 mila italiani che hanno presentato la richiesta di risarcimento. Tutti hanno allegato alla domanda l' elenco delle mansioni che erano stati costretti a svolgere per il sistema produttivo del Reich. Speravano ancora di ottenere un indennizzo, più simbolico che concreto: una cifra compresa tra i 2.000 e i 15.000 marchi - da due a quindici milioni di lire, a seconda del tipo di lavoro e dei danni fisici - come compensazione per i soprusi subìti. Invece nulla. La «Fondazione Memoria, responsabilità e futuro» - creata un anno fa e che gestisce i fondi per conto del governo e delle imprese tedesche - ritiene che gli « Imi» siano stati dei semplici «prigionieri di guerra della Germania». «Esprimiamo la nostra solidarietà ai prigionieri italiani che hanno dovuto attendere tanto tempo per ottenere questa risposta - ha dichiarato Dirk de Winter, direttore dell' Iom, uno degli enti che curano i rimborsi in collaborazione con la Fondazione -. Ma non è possibile fare fronte a tutte le ingiustizie e le sofferenze inflitte durante l' era nazista».
La decisione di Berlino è destinata a far discutere. I reparti italiani catturati dopo l' 8 settembre 1943 dagli ex alleati tedeschi, in assenza di una dichiarazione di ostilità, sono da considerare prigionieri di guerra? All' epoca non solo le Ss naziste ma anche l' esercito, la Wehrmacht, non li ritenne tali e giustiziò tutti i soldati che opponevano resistenza. E quelli deportati nei campi della Germania, dell' Austria e della Polonia e poi sfruttati per rimpiazzare la manodopera tedesca?
 La Fondazione riconosce il diritto ai pagamenti solo nel caso di lavoro coatto o in condizioni di schiavitù nella macchina bellica hitleriana. Nulla invece è previsto per i prigionieri di guerra che - in base alla Convenzione di Ginevra - non erano tenuti al lavoro. Ma una perizia condotta dallo storico tedesco Gerard Schreiber ha evidenziato proprio le differenze fra il trattamento subìto dai prigionieri di guerra e quello inflitto gli Imi, affidati alla tutela della Repubblica di Salò mussoliniana ma di fatto
privati di ogni diritto. Sin dall' ottobre 1943 i «rinnegati badogliani» vennero obbligati a fare da operai, contadini e manovali, senza nessuna delle garanzie previste dai trattati internazionali. Nel luglio del 1944, poi, un patto tra Hitler e Mussolini li privò anche dello status di militari, classificandoli formalmente «lavoratori liberi» ma rendendoli di fatto poco più che «schiavi». Chi si rifiutava di collaborare - come nel caso di trecento giovani ufficiali nella fabbrica di paracadute di Koin Merheim -, veniva bollato quale «nemico dell' Europa» e perdeva tutti i diritti.
 Nulla di paragonabile alla situazione dei «veri» prigionieri britannici ed americani o a quella dei francesi «trattenuti» dopo la resa del ' 40. Ma l' Anrp, l' Associazione reduci della prigionia che assiste gli italiani interessati ai risarcimenti, temeva un verdetto del genere. La Fondazione infatti è stata concepita dai politici e dai grandi gruppi economici della Germania unita per chiudere il capitolo più nefasto del passato, privilegiando però le vittime ebre e e quelle provenienti dall' Europa orientale.
Solo il 5% dei 10 miliardi di marchi stanziati (diecimila miliardi di lire) è destinato ai Paesi occidentali. E se fossero state riconosciute le rivendicazioni degli Imi, agli italiani sarebbe andata metà di questi fondi. 
Di Gianluca Di Feo, "Niente indennizzi ai deportati italiani" - su "Il Corriere della Sera", 15 settembre 2001"






15 settembre 2001
Mario Pirani, Onorare i reduci prima che muoiano.

Dopo le stragi di questi giorni quelle del passato possono apparire ancora più remote. Se, però, conserviamo la consapevolezza del legame che unisce la lotta per la libertà e la democrazia, che fu alla base della seconda guerra mondiale, con la sopravvivenza della civiltà liberale, in gioco contro il terrorismo fondamentalista, allora riusciremo a conservare una memoria coerente tra passato e presente. Questa riflessione mi è venuta alla mente in occasione della rievocazione, apparsa su
«Repubblica» di ieri, della battaglia di Barletta e mi è tornata fra le mani la copiosissima corrispondenza che seguì un mio articolo su Cefalonia di due anni orsono. Tante testimonianze di cui non avevo potuto dar conto. Ancor più grave, però, la dimenticanza delle istituzioni (dalle Forze armate alle scuole) e della storiografia. Una aperta amarezza percorre, del resto, tutta questa corrispondenza, queste voci uscite dal silenzio, con la speranza, quasi sempre frustrata, che «memoria sia fatta».
Certo, il presidente della Repubblica ha operato moltissimo per ricostruire la nostra storia e, ad un tempo, calarla in quella europea.
Dobbiamo, però, riconoscere che non basta e che alcuni atti non sono stati compiuti. Anche Ciampi deve saperlo. Prima di elencarli vorrei, però, citare almeno qualcuna di quelle lettere. La prima è della signora Maria Trionfi, che scrive: «Mio padre, gen. Alberto Trionfi, durante la seconda guerra mondiale, comandava la base di Navarino (Pylos) nel Peloponneso. Caduto prigioniero dopo l'8 settembre fu deportato in Polonia e, poiché rifiutava di tradire il giuramento unendosi a quelli di Salò, fu chiuso nel lager 64Z. Durante una marcia di trasferimento, dovuta all'avanzare delle truppe sovietiche, fu trucidato dai tedeschi con un colpo di pistola alla nuca insieme ad altri cinque generali: Spatocco, Balbo Bertone, Vaccaneo, Andreoli e Ferrero.
Negli anni ‘70 mi sono battuta fino all'inverosimile, con l'aiuto di Simon Wiesenthal ma senza alcun appoggio da parte delle autorità italiane, per individuare il colpevole della strage. Non sono approdata a nulla». Un'altra lettera è dell'ing. Francesco Musio, classe 1922, che narra le vicende di 5000 allievi ufficiali di complemento, acquartierati in Puglia, entrati a far parte del ricostituito esercito «badogliano» dopo l'8 settembre e la proclamazione della dichiarazione di guerra alla Germania e della «cobelligeranza» a fianco degli Alleati: «Questi proposero di costituire con questi giovani alcuni battaglioni di bersaglieri con armamento inglese. I tedeschi si erano attestati in forze sulla linea Gustav, tra Termoli e il Garigliano e occorsero sei mesi - dal novembre ‘43 al maggio ‘44 - per smantellarla. Aspre battaglie furono combattute nel Salernitano e nel Beneventano, culminate nella distruzione di Montecassino. Il nostro battaglione fu impegnato in una serie di scontri sanguinosissimi a 12 km da Cassino. Oggi quella località è nota come Sacrario militare di Montelungo e raccoglie le salme di oltre la metà di quegli eroici miei compagni, allievi ufficiali di complemento della classe 1922. Avevano 21 anni. Durante la loro adolescenza avevano cantato gli inni di Mussolini e studiato a scuola «Mistica fascista». Ma poi erano morti in battaglia nella Guerra di Liberazione. Di loro nessuno parla più». La terza lettera è di Lando Mannucci, presidente della Associazione veterani della Divisione Garibaldi, di circa ventimila uomini, costituita in Montenegro (con i resti delle due Divisioni Venezia e Taurinense) che all'armistizio rifiutarono di arrendersi ai tedeschi e seguitarono a combattere assieme ai partigiani jugoslavi, ma pur sempre dipendendo dallo Stato maggiore italiano di Brindisi. La pubblicazione che Mannucci mi ha inviato comprende l'elenco dei 3469 caduti (ma mancano i nomi di molti dispersi) nei combattimenti che si protrassero per 18 mesi, durante i quali la Garibaldi seppe dimostrare «quanto potesse l'amor di Patria e la fedeltà al giuramento prestato». Ho ricordato questi esempi, tra i tanti che se ne potrebbero fare, per ribadire una richiesta che quando riemerse la vicenda di Cefalonia l'allora ministro della Difesa, Scognamiglio, prese a cuore, ma di cui non si parla già più: la concessione di una medaglia al merito a tutti quei militari che combatterono dopo l'8 settembre o resistettero nei lager. Se per la Guerra ‘15'18 venne istituito l'ordine dei Cavalieri di Vittorio Veneto, per l'ultima si potrebbe varare l'ordine dei Cavalieri di Cefalonia. Ma bisognerebbe farlo prima che siano tutti scomparsi.
(Mario Pirani, Onorare i reduci prima che muoiano, (su La Repubblica, 15 settembre 2001)
(Da: http://www.schiavidihitler.it/Pagine_documenti/archivio/linea_confine.htm)













10 - 12 ottobre 2001
1."Perizia compiacente", pubblicato su "Junge Welt"
2."Lavoro coatto nazista: Per 319817 vittime solo 1,3 miliardi di marchi", articolo pubblicato su "Neues Deutschland"
3."Cambio discutibile in zloty del denaro per il risarcimento", articolo pubblicato su "Süddeutsche Zeitung"
4."Quando i giuristi capovolgono la storia nazista" , articolo pubblicato su "Frankfurter Rundschau"

1. Frankfurter Rundschau - 10 ottobre 2001 - Quando i giuristi capovolgono la storia nazista - Lo storico Herbert rivendica i risarcimenti per gli Internati Militari Italiani da eseguire con il fondo per i lavoratori forzati (Di Matthias Arning - Francoforte sul Meno).
Il governo federale ha dato, secondo l'opinione dello storico Ulrich Herbert, l'incarico di effettuare una perizia allo scopo di impedire il pagamento del risarcimento agli Internati Militari Italiani. Se si seguisse l'argomentazione della perizia "si dovrebbe dedurre che tutte quelle misure del regime nazista che oggi sono da classificare contro il diritto internazionale, sarebbero da considerare come nulle, per cui decadrebbe il diritto al risarcimento".
 Dal momento che si può calcolare che molte più vittime dei nazisti di quante non fossero state previste faranno valere i loro diritti sul fondo per il risarcimento degli ex lavoratori coatti, il governo federale si adopera per mettere in dubbio le pretese degli allora Internati Militari Italiani. A tal fine si richiama ad una perizia, che il giurista di diritto internazionale Christian Tomuschat èstato incaricato di redigere. Per Tomuschat è fuor di dubbio che gli internati militari hanno mantenuto il loro status di prigionieri di guerra della Wehrmacht. Per legge però i prigionieri di guerra sono esclusi dal pagamento del risarcimento.
 Per questo caso specifico gli storici oppongono alcune argomentazioni di senso contrario: dopo la capitolazione dell'Italia nel 1943 la Wehrmacht fece prigionieri soldati, prima alleati, nelle zone da essa occupate, e li costrinse al lavoro - i soldati vennero ridotti a lavoratori forzati perché i tedeschi avevano trasformato le truppe italiane in semplici civili.
 Tomuschat invece sostiene: il diritto nazionale non può violare le norme internazionali e i tedeschi avevano sottoscritto la convenzione di Ginevra rispetto àlla tutela dei prigionieri di guerra. Un'argomentazione questa, che secondo il parere dell'esperto per la storia del lavoro coatto nella Germania nazionalsocialista, Ulrich Herbert, capovolgerebbe non poco: con questa visione, le violazioni del diritto internazionale compiute dai nazionalsocialisti sarebbero messe tutte in dubbio, tutti i diritti di avere un risarcimento decadrebbero, sostiene criticamente lo storico. L'argomentazione di Tomuschat è "palesemente insostenibile", si legge in una presa di posizione scritta presentata martedì da Herbert, di cui il consiglio di amministrazione della fondazione dei lavoratori forzati dovrebbe occuparsi nella seduta odierna: le ragioni apportate dall'esperto di diritto internazionale Tomuschat sono "troppo scorrette" per poter essere "base di una seria discussione".
 Herbert ricorda in merito che gli Internati Militari Italiani "fino alla fine della guerra restarono uno dei gruppi più maltrattati e malnutriti". Tra i lavoratori forzati dell'Europa occidentale essi ebbero, dopo gli ebrei e gli internati dei campi di sterminio, "il destino più terribile". Tra gli storici su tale questione non ci sono dubbi di sorta. Due anni fa si sono incontrati a Buchenwald per poter discutere, sotto l'egida del collega Lutz Niethammer, consigliere del governo federale nelle trattative per il risarcimento, sui criteri per l'assegnazione delle risorse destinate ai risarcimenti. Allora, lo sottolinea Herbert, gli storici hanno stabilito, di comune accordo, che gli Internati Militari Italiani sono tra le vittime del programma di sfruttamento nazionalsocialista, "il cui risarcimento è particolarmente urgente". Con i polacchi, durante le trattative, è stato trovato un accordo adeguato: ai lavoratori forzati, che caddero in mano dei tedeschi come prigionieri di guerra, il risarcimento non può essere rifiutato.

2. Articolo del "Junge Welt" - 11.10.01 - Perizia compiacente - La Fondazione per i lavoratori coatti vuole escludere le vittime italiane dai risarcimenti .
Se dipendesse dal volere del Ministro delle finanze Hans Eichel (SPD) e degli altri membri della presidenza della Fondazione Memoria, responsabilità e futuro, le 90000 vittime italiane del dominio nazista dovrebbero andarsene a mani vuote.
 Stiamo parlando dei militari italiani che sono ancora in vita. Questi ex soldati italiani, in tutto 730000, furono deportati, dopo la caduta di Mussolini nel luglio del 1943, come prigionieri di guerra in Germania e dall'estate del 1944, in violazione della convenzione di Ginevra, il loro status divenne quello di civili; quindi vennero schiavizzati nei campi di lavoro tedeschi come lavoratori coatti. 50000 non sopravvissero alle torture. Secondo il reperto di una conferenza internazionale di storici specializzati nella materia, riunita a Buchenwald nell'estate del 1999. gli Internati Militari Italiani ebbero "in sorte, tra i lavoratori forzati che allora vivevano nell'Europa occidentale, dopo gli ebrei e gli internati dei campi di concentramento, il destino più terribile". La conferenza, che a sua volta era stata incaricata di preparare le trattative sugli indennizzi dei lavoratori coatti, consigliò per questa ragione di trattare il risarcimento degli internati forzati italiani con particolare celerità. Nella risoluzione del parlamento federale del 12 agosto 2000 sull'istituzione della Fondazione "Memoria, responsabilità e futuro" si dice chiaramente che hanno diritto alle prestazioni della fondazione, per la legge, tutti quei prigionieri di guerra che "furono tradotti dai nazionalsocialisti obbligatoriamente nello status di civili ".
 Da quando però più di diecimila domande di risarcimento sono arrivate sul tavolo della Fondazione dall'Italia, il testo della legge non sembra più essere valido. E infondo come si fa a rispettare il diritto di un gruppo di vittime numericamente così grande, se i dieci miliardi di marchi faticosamente racimolati dai borselli dello Stato e dell'industria per il fondo dei risarcimenti rispetto ai lavoratori coatti dell'Europa occidentale, non è nemmeno lontanamente sufficiente?
 Non c'è voluto molto a trovare un accordo unanime tra i responsabili: ci si doveva sbarazzare elegantemente dei postulanti italiani. Un sostegno in tal senso l'ha dato l'esperto di diritto internazionale berlinese Christian Tomuschat, incaricato e pagato dal Ministero delle finanze. Costui ha confermato, come si desiderava, che l'obbligo di pagamento nei confronti dei gruppi che "furono obbligati a modificare il loro status da prigionieri di guerra in civili" semplicemente non esiste. Detto in parole semplici: Tomuschat ha riportato retroattivamente gli italiani da civili nello status di prigionieri di guerra, e questi sono generalmente esclusi dal regolamento per l'indennizzo. La sua motivazione pare addirittura assurda: il trasferimento nello status di civili, così argomenta Tomuschat, avvenne in violazione della convenzione di Ginevra ed è quindi nulla. Se si traggono le conseguenze ultime di una tale argomentazione, vorrebbe dire che tutte le misure del regime nazista che oggi sono da classificare come contro il diritto internazionale, sarebbero da considerare prive di effetto, "ragion per cui decade il diritto al risarcimento ", così lo storico Dr. Ulrich Herbert, che si è impegnato nell'associazione "Informazione e assistenza per i perseguitati dal nazismo" a rappresentare gli interessi degli italiani martedì a Berlino. Di fatto c'è da temere che "seguiranno tra breve argomentazioni simili per escludere dal diritto al risarcimento anche altri gruppi di ex lavoratori coatti ".
 Con la presa di posizione di Herbert in tasca, il presidente dell'associazione Lothar Evers ha fatto richiesta, nella seduta del consiglio di amministrazione della Fondazione Memoria, responsabilità e futuro di mercoledì, di ritirare le risoluzioni della presidenza in merito all'esclusione delle vittime italiane. Comunque si poteva contare su una decisione solo nella serata di mercoledì. Evers ha valutato le speranze di una mozione favorevole "non priva di chance".

3. Articolo del "Süddeutsche Zeitung" - Edizione stampata - 11. 10. 2001 - Cambio discutibile in zloty del denaro per il risarcimento - Il consiglio di amministrazione della Fondazione per le vittime del nazismo appoggia la presidenza "Incomprensione e indignazione" nei confronti della denuncia dalle proprie file / Dibattiti ulteriori per una soluzione - Di Marianne Heuwagen
 Berlino.
- Il consiglio di amministrazione della Fondazione "Memoria, responsabilità e futuro" ha dato la sua fiducia alla presidenza in merito al discutibile cambio dei pagamenti dei risarcimenti per i lavoratori coatti polacchi. I membri del consiglio di amministrazione avrebbero espresso unanimemente incomprensione e indignazione sul fatto che per tale ragione dalle fila del consiglio di amministrazione sarebbe venuta una denuncia, ha detto il presidente di essa, Dieter Kastrup, a conclusione di una seduta a Berlino. La procura indaga nei confronti del presidente della Fondazione, Michael Jansen, e del referente delle finanze. Il consiglio di amministrazione avrebbe invece dichiarato che non è in corso un'azione rilevante giuridicamente. L'immagine della Fondazione avrebbe subito danni dalla denuncia. Secondo Kastrup, "il grande gesto politico e morale" può essere screditato.
 La presidenza della Fondazione ha corrisposto in zloty, su espresso desiderio dei polacchi, il risarcimento per i lavoratori coatti polacchi, addirittura cambiato in un'unica volta tutta la prima rata dell'importo di 1,3 miliardi di marchi. L'avvocato berlinese Hans-Thomas Rosenkranz ha dichiarato per incarico della Fondazione polacco-tedesca per la riconciliazione, che non è stato preso accordo alcuno in merito al cambio di tutta la prima rata ad un certo punto. Con le perdite di valuta i lavoratori coatti polacchi hanno ricevuto meno soldi. Per questa ragione i polacchi pretendono una compensazione ai tedeschi. Il consiglio di amministrazione ha deciso che sia la fondazione tedesca che quella polacca devono adoperarsi per trovare una soluzione di comune accordo. A tal fine due membri del consiglio di amministrazione saranno al lato della presidenza della Fondazione come consiglieri. Qualora non si arrivasse ad un accordo, la fondazione polacca si riserva di intraprendere la via legale, ha dichiarato Rosenkranz.
 Il consiglio di amministrazione ha oltretutto discusso sull'esclusione dalle prestazioni degli Internati Militari Italiani (IMI), ha detto Kastrup. E si sarebbe arrivati alla convinzione che si tratta di una questione giuridica, la cui soluzione non sarebbe competenza del consiglio di amministrazione. L'esperto di diritto internazionale berlinese, Christian Tomuschat, ha avuto l'incarico del Ministro delle finanze di redigere una perizia, che è arrivata al risultato, secondo il quale, gli Internati Militari Italiani, in quanto prigionieri di guerra, non hanno diritto al risarcimento. Una tale interpretazione è stata nel frattempo contraddetta dallo storico di Friburgo, Ulrich Herbert. Herbert sostiene che la perizia sia stata fatta solo per evitare di pagare il risarcimento agli Internati Militari Italiani. Herbert, nella sua presa di posizione scritta, fa riferimento al fatto che gli IMI, come anche i polacchi, vennero privati del loro status di prigionieri di guerra. I prigionieri di guerra polacchi possono ricevere di conseguenza un indennizzo. Degli IMI invece devono essere indennizzati solo coloro che erano anche internati in un campo di concentramento tedesco.

4. Articolo del "Neues Deutschland" - Edizione Internet (www.nd-online.de) - 12.10.2001 - Lavoro coatto nazista: Per 319817 vittime solo 1,3 miliardi di marchi.
Il consiglio di amministrazione ha discusso il cambio in zloty/ niente soldi per gli IMI Berlino (ND-Dümde). Per i 319817 lavoratori coatti sopravvissuti nel Reich nazista, la fondazione federale "Memoria, responsabilità e futuro" ha trasferito fino ad ora, in 15 trance, 1287269084,49 marchi alle organizzazioni partners. Entro la fine dell'anno devono seguire circa 1,24 miliardi di marchi per circa 280000 vittime. È stato comunicato ieri dal presidente della Fondazione Dr. Michael Jansen. La Fondazione ha conseguito più di 260 milioni di marchi d'interessi e mantenuto le fondazioni con 20,9 milioni di marchi.
 Il tema principale della seduta del consiglio di amministrazione, durata due giorni, è stata, secondo il membro Dr. Dieter Kastrup, il conflitto delle perdite per le vittime polacche dovute alla conversione delle risorse, previste per loro, in zloty, ad un cambio estremamente sfavorevole. Jansen le ha calcolate fin'ora per 40 milioni di marchi. La presidenza e la Fondazione polacca volevano cercare una soluzione di comune accordo, che "abbassasse le perdite". Vengono sostenute in questo dai membri del consiglio di amministrazione Dr. Max Stadler e Gerald Walter. Kastrup ha incontrato "incomprensione e indignazione " per la denuncia redatta dal membro del consiglio di amministrazione Lothar Evers. Con essa si corre "il rischio che il grande gesto politico e morale, che era alla base di questa Fondazione, venga screditato ". Un "dibattito intenso" sui diritti dei circa 90000 sopravvissuti tra i cosiddetti Internati Militari Italiani (IMI), che vennero deportati per il lavoro forzato nel Reich nazista, si è concluso secondo Kastrup con il risultato che la risposta a questa questione giuridica "non rientra tra le facoltà del consiglio di amministrazione". Il concetto del diritto del governo federale è "chiaro". Appoggiandosi alla perizia dell'esperto di diritto internazionale, Prof. Dr. Christian Tomuschat, rifiuta tutte le prestazioni. Ciò però non dovrebbe, secondo Kastrup, "costituire un giudizio di valore sul destino estremamente difficile" degli IMI. Il membro del consiglio di amministrazione Ulla Jelpke (PDS) ha dichiarato in merito: "Non sono disposta a respingere i giusti diritti dei sopravvissuti al lavoro forzato nazista per il budget insufficiente della Fondazione." Durante la votazione anche i rappresentanti del commissario dei rifugiati UN (UNHCR), dell'Organizzazione Internazionale Migranti (OIM), delle vittime del nazismo polacche e ceche nonché degli avvocati US non si sono associati al governo. Ciò nonostante il consiglio di amministrazione ha dato istruzione, con 18 voti, alla presidenza, di respingere le domande degli IMI. I quali saranno così costretti a far valere le loro richieste in procedimenti con il governo o in tribunale. Se dalla Russia o dal "resto del mondo" intero verranno presentate più domande di quelle che sono state previste, non è ancora detto secondo Jansen. Ciò nonostante anche l'OIM è stata autorizzata a pagare alle vittime il 50 percento della somma massima come prima rata. (ND 12.10.01)





12 ottobre 2001
Guido Ambrosino, Lavoro coatto, a Berlino non cade il muro - Ennesimo rifiuto di indennizzo agli internati italiani da parte della "Fondazione" tedesca.
La Fondazione "memoria, responsabilità, futuro", istituita per indennizzare i sopravvissuti al lavoro coatto nella Germania nazista, insiste nel negare ogni risarcimento agli internati militari italiani: i "traditori badogliani" che rifiutarono di arruolarsi nelle truppe di Salò, puniti con un trattamento che li relegava nei gironi più bassi dell'inferno concentrazionario.
 Il consiglio di amministrazione della Fondazione non si è nemmeno preso la briga di replicare ai fondatissimi argomenti esposti da una patrocinatrice d'eccezione delle ragioni degli "Imi", la professoressa Maria Rita Saulle, ordinaria di diritto internazionale alla sapienza di Roma. Si è limitato a togliersi pilatescamente d'impaccio, rinviando a "insuperabili" vincoli politici: "Ci dispiace tanto, ma la fondazione è sottoposta alla supervisione giuridica del ministero delle finanze: dal ministero ci è venuta la direttiva di escludere gli Imi, non possiamo farci niente".
 Questo discorsetto ha almeno il pregio di fare chiarezza sulla natura della Fondazione: il governo e le industrie tedesche dispongono della maggioranza dei 27 seggi del Kuratorium, il consiglio di amministrazione. Maria Rita Saulle, nel suo breve intervento, ha constatato che è perlomeno insolito decidere in modo unilaterale un problema di dimensioni così rilevanti come quello degli internati militari italiani: delle 90.000 domande di indennizzo pervenute alla sede di Roma dell'Organizzazione internazionale per la migrazione, la maggior parte vengono appunto dagli Imi.
 E ha proposto di far riesaminare la questione da una commissione di tre giuristi, un tedesco, un italiano e una terza personalità neutrale. Ma a favore di una "moratoria", in attesa del parere di una commissione di esperti, si sono pronunciati solo sei curatori: Lothar Evers, la deputata del partito del socialismo democratico Ulla Jelpke, e quattro rappresentanti di fondazioni dell'Europa centro-orientale.
 Dunque niente da fare. Il governo tedesco, e la sua filiale denominata "Fondazione memoria, responsabilità, futuro", continuano a aggrapparsi al salvagente messo a disposizione dal professore Christian Tomuschat, ordinario di diritto internazionale all'università Humboldt di Berlino. In un suo parere giuridico Tomuschat conclude che gli Imi furono, sin dalla loro cattura e fino alla loro liberazione, "prigionieri di guerra", sebbene per disposizione di Hitler questa denominazione gli venne negata a partire dal 20 settembre '43, insieme alle tutele previste dalle convenzioni internazionali, e nonostante a partire dall'estate del '44 si sia continuato a sfruttarli come "lavoratori civili". Come prigionieri di guerra andrebbero esclusi dagli indennizzi, perché la Germania non è disposta a aprire un capitolo di compensazioni su questo terreno. Con la professoressa Saulle era venuta a Berlino una piccola delegazione del Comitato italiano di coordinamento per il risarcimento delle vittime del nazismo, guidata dall'instancabile Enzo Orlanducci. Ne facevano parte Valter Merazzi, dell'istituto per la storia della resistenza di Como, e due Imi reduci da terribili "campi di punizione": l'81enne Raimondo Finati e l'80enne Michele Montagano. Finati, in una conferenza stampa tenuta a Berlino il 9 ottobre, ha pregato i giornalisti presenti di portare a Tomuschat i suoi ringraziamenti "per l'inattesa promozione al rango di prigioniero militare". "Peccato - ha proseguito Finati - che questo riconoscimento arrivi con 58 anni di ritardo".
( Guido Ambrosino, "Ennesimo rifiuto di indennizzo agli internati italiani da parte della Fondazione tedesca", su "Il Manifesto", 12 ottobre 2001)

15 ottobre 2001
Guido Ambrosino, Vittime del Nazismo - Guerra scaccia guerra.
Tra i guasti collaterali della crociata del "mondo civile" contro il terrorismo c'è l'amputazione delle nostre capacità percettive. Le macerie delle "Torri gemelle" di New York hanno sepolto sotto di sé anche pezzi di memoria. Un paio di problemucci affliggevano il pianeta già prima dell'11 settembre 2001, ma non li vediamo più. Né li vedono i media.
Capita che, per la smania di provocare nuovi danni con la terza guerra mondiale, non ci si accorga che non sono ancora stati indennizzati quelli della seconda. Accade che il cancelliere Schröder parli di una "nuova responsabilità" per la Germania, che ora le imporrebbe di non sottrarsi a raids militari "in difesa della libertà e dei diritti umani", se gli Usa lo chiedessero. E dimentichi l'impegno assunto solo 14 mesi fa da tutto il parlamento tedesco - quindi anche dal suo partito socialdemocratico - di rifinanziare la legge sui rimborsi alle vittime del lavoro coatto, qualora si fossero profilate differenze di trattamento tra i sopravvissuti a seconda del paese di residenza.
Il ministro delle finanze Eichel ha subito trovato tre miliardi di marchi per rafforzare la "sicurezza" del paese, con stanziamenti supplementari per la Bundeswehr, la polizia di frontiera e i servizi di intelligence. Ma per i soldati italiani catturati dopo l'8 settembre del 1943, e trattati come schiavi, non c'è un centesimo.
In questi tempi di crociata capita anche che la fondazione istituita per distribuire i dieci miliardi di marchi raggranellati nel 2000 per i sopravvissuti al lavoro coatto, intitolata "memoria, responsabilità e futuro", si dichiari irresponsabile per le sorti degli internati militari italiani: "Scusateci, non eravate previsti nei nostri plafonds". E rifiuti di ricevere due di loro, Raimondo Finati e Michele Montagano.
Per la Frankfurter Rundschau l'indecente discriminazione subita dagli Imi merita la prima pagina. Ma i giornali di casa nostra, tutti presi dalla nuova guerra, tacciono stoicamente per non disturbare il nuovo asse atlantico. Sebbene l'agenzia Ansa abbia inviato un dispaccio di cinquanta righe sulla conferenza stampa tenuta il 9 ottobre a Berlino da una delegazione di ex internati, la stampa italiana non ha trovato spazio per questo fastidioso strascico del passato.
E il nostro governo? Venuto recentemente a Berlino, Silvio Berlusconi ha sproloquiato sulla superiorità della civiltà occidentale su quella islamica: sugli Imi non ha speso una parola.
Finati e Montagano, reduci dai peggiori "campi di punizione" per gli ufficiali italiani che rifiutavano di collaborare coi nazisti, hanno ancora una speranza: forse della sorte dei loro compagni parlerà il presidente Ciampi, quando verrà a Berlino a novembre. Conoscendolo è verosimile che lo faccia. Ma i nostri media se ne accorgeranno?
(Guido Ambrosino, "Vittime del nazismo: guerra scaccia guerra", su "Il Manifesto", 15 ottobre 2001)

17 ottobre 2001
Emanuele Novazio, "Berlino non vuole risarcire gli italiani schiavi di Hitler" - Novantamila internati che furono costretti a lavorare per il Terzo Reich"
ROMA - "Il governo tedesco ha deciso di escludere 90 mila italiani dall’indennizzo per il lavoro forzato svolto durante il nazismo", denunciano. E "per ristabilire la verità storica" e "sanare una ferita che rischia di farci entrare nella nuova Europa con il piede sbagliato", gli ex "schiavi di Hitler" rappresentati dall’"Associazione nazionale reduci e prigionieri di guerra" si appellano a Carlo Azeglio Ciampi, che il 19 novembre sarà in visita a Berlino: Enzo Orlanducci, segretario generale dell’"Anrp", chiede al presidente della Repubblica di "far pressioni sulle autorità tedesche affinché il diritto al risarcimento venga riconosciuto a tutti gli internati nei lager, ai civili e ai militari".
 Il problema riguarda soprattutto questi ultimi, la stragrande maggioranza dei sopravvissuti: in Italia il 90 per cento dei potenziali aventi diritto agli indennizzi, le ultime decine di migliaia di persone rimaste su un totale di 700 mila, è infatti rappresentato da militari deportati in Germania dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e impiegati a forza nell’industria di guerra del Reich. Il regime nazista li etichettò come "Imi" - internati militari italiani - e non come prigionieri di guerra, privandoli così delle garanzie previste dalla Convenzione di Ginevra del 1929 e dell’assistenza della Croce Rossa. Ma la loro situazione viene assimilata oggi alla condizione di prigionieri di guerra, che la legge tedesca esclude dagli indennizzi previsti per i lavoratori forzati. "Un clamoroso falso giuridico e storico contraddetto dalle conclusioni unanimi degli studiosi della Repubblica federale, che considerano il contributo degli "Imi" alle fabbriche del Terzo Reich secondo soltanto a quello degli ebrei", denuncia Orlanducci. "La differenza è chiara: gli internati erano privi di tutele internazionali e obbligati arbitrariamente e unilateralmente al lavoro in campi di punizione". Il segretario dell’"Associazione reduci e prigionieri di guerra" è appena rientrato dalla Germania dopo aver depositato alla Corte Costituzionale tedesca un ricorso contro la legge istitutiva della "Fondazione Memoria Responsabilità e Futuro", che ha l’incarico di gestire i 10 mila miliardi di lire versati da banche, grandi aziende e governo tedeschi per indennizzare le vittime del lavoro forzato: "E’ indispensabile che il governo italiano assuma una posizione chiara e intervenga perché sia ristabilita la verità e si assicuri un giusto riconoscimento a tutti gli ex lavoratori forzati ancora in vita", insiste Orlanducci. Se "in primo piano" deve restare "la verità storica" e se prima di tutto va riconosciuto il contributo che gli internati italiani hanno dato "alla ricostruzione di un’Europa libera" - avverte il segretario dell’Anrp - "è altrettanto chiaro che gli indennizzi devono essere pagati a chi ha lavorato nelle fabbriche naziste".
L’impressione di Orlanducci è che il governo tedesco "abbia frenato perché ha sbagliato i conti e non se la sente di ripresentare una legge che preveda maggiori oneri di spesa". La somma raccolta dalla Fondazione - pari a 10 mila miliardi di lire - deve coprire gli indennizzi per tutti gli ex "schiavi di Hitler", la maggior parte dei quali vive oggi nell’Est europeo: per gli occidentali sono previsti soltanto 540 miliardi di lire. Una somma del tutto insufficiente, secondo Orlanducci: "Siccome mancano i soldi, si cominciano a escludere le categorie maggiori: nel nostro caso gli internati militari, che sono quasi il 90 per cento dei reduci italiani". Se la situazione non si sbloccherà, l’Associazione è decisa ad avviare migliaia di cause civili in Germania e a rivolgersi al tribunale internazionale dell’Aja. Per ottenere gli indennizzi e - nei casi in cui le imprese tedesche pagarono, paradossalmente , i contributi su un lavoro coatto e non retribuito - "per ottenere il ricongiungimento di quei versamenti ai contributi accumulati successivamente dai reduci". Accanto a una denuncia di dimensioni dai vasti contorni storico-morali si annuncia, forse, anche una causa di lavoro.
("Berlino non vuole risarcire gli italiani schiavi di Hitler". Di Emanuele Novazio. Apparso su "La Stampa", Mercoledì 17 Ottobre 2001)

8 novembre 2003
CAPIAGO INTIMIANO: Riconosciuti solo mille euro all'ex deportato - «Questo assegno è una beffa» - Rutilo: «Un'offesa alla dignità e alla memoria»
E' una battaglia infinita quella che il reduce di guerra Canio Rutilo, 82 anni, residente in via don Santini a Intimiano, sta combattendo per ottenere il riconoscimento di un indennizzo per gli anni passati nel campo di concentramento di Kastroprauxen, in Germania.
L'ultima puntata di quella che sta diventando una vicenda paradossale (il rischio, di questo passo, è che gli indennizzi vengano accordati quando i destinatari, tutti di età avanzata, saranno già passati a miglior vita) è la lettera che Rutilo ha ricevuto dal Ministro per i rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi: «II ministro - spiega l'ex deportato - mi ha scritto che la Commissione IV della Camera sta esaminando gli interventi in favore dei cittadini italiani vittime delle persecuzioni naziste. E rende noto, questa è la beffa, che l'indennizzo previsto nel nuovo testo unificato delle proposte di legge, è di soltanto mille euro, una cifra irrisoria che offende la dignità dei vivi e la memoria di chi è morto».
Rutilo, che vive con la pensione minima e ha seri problemi di salute, dice di non poter accettare che, dopo tanti anni, il Parlamento liquidi la questione degli ex deportati con un piccolo assegno che suona come un "contentino": «Se potessi muovermi, andrei a Roma davanti a Montecitorio e rimarrei lì giorno e notte a protestare.
E' un'indecenza che il Governo spenda tanti soldi per l'Iraq e sostenga finanziariamente le società calcistiche, e poi dia a noi ex prigionieri di guerra soltanto le briciole.
L'indennizzo di mille euro non è nemmeno cosa certa: Giovanardi, nella lettera, spiega che sul provvedimento ci sono problemi di quantificazione delle risorse e di copertura finanziaria e che proprio per questo, il 4 giugno scorso, ha provveduto a sensibilizzare il Presidente della Commissione Difesa per un più sollecito esame del provvedimento.
Sono passati 5 mesi ma la situazione, ancora una volta, non viene sbloccata.
(Editoriale su "La Provincia di Como" di mercoledì 8 novembre 2003)
(Da: http://www.schiavidihitler.it/Pagine_documenti/archivio/Rutilio.htm)




2002"
La tragedia dell'ARMIR nella campagna di Russia non fu dovuta solo al freddo e alle battaglie che l'esercito italiano dovette affrontare senza i mezzi e la preparazione necessaria. Da documenti d'archivio e ricostruzioni storiche emerge infatti che migliaia di militari trovarono una morte orrenda in seguito alle condizioni drammatiche della prigionia. In queste pagine gli autori, grazie a una lunga ricerca negli archivi dei ministeri russi, ricostruiscono la storia degli "ultimi 28", ventotto reclusi italiani "dimenticati" nelle carceri sovietiche il cui calvario durò fino al febbraio 1954". [ved. BIGAZZI - ZHIRNOV. 2002. Francesco Bigazzi - Evgenij Zhirnov, Gli ultimi 28 : la storia incredibile dei prigionieri di guerra italiani dimenticati in Russia, Milano, Mondadori, 2002].


2003. Donatella Actis e Federica Calosso
1939-1945: schiavi di Hitler, lavoratori coatti e internati militari in Renania e Westfalia è il titolo della mostra che ha iniziato il suo percorso italiano da Centallo (CN) nello scorso mese di ottobre e qui approderà nuovamente alla fine del 2004 - dopo essere stata esposta in otto diverse sedi in Italia - per diventare il nucleo centrale di un centro di documentazione. Realizzata dal Centro studi storici e dalla Gesamtschule F. Steinhoff di Hagen, con il supporto del Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale del Piemonte, dell’Associazione culturale “Centallo Viva” e da diversi Comuni e istituzioni italiane, la mostra presenta la realtà del lavoro coatto durante il regime nazionalsocialista. In particolare viene ricostruita l’esperienza dei 600 mila internati militari italiani schiavizzati nel territorio del Terzo Reich. Le testimonianze del cappellano militare Giuseppe Barbero e del medico Guglielmo Dothel, lettere, fotografie, documentazioni provenienti dal Nord Reno Westfalia, illuminano una realtà ancora poco conosciuta in Italia. Lido Riba, vicepresidente del Consiglio regionale del Piemonte, nell’introduzione alla pubblicazione scrive: “Credo ci si trovi di fronte a un’altra Resistenza, quella di chi venne internato, schiavizzato, costretto dalla violenza, dalla fame, dalle malattie, dal freddo, dalla dimenticanza delle istituzioni, considerato traditore dagli aguzzini per il solo fatto d’aver deposto le armi. La nostra Repubblica nacque in quei giorni di lotta e sofferenza. Questa iniziativa dimostra come sia possibile un corretto recupero storico tra diverse aree culturali e sociali, dove l’intervento dei giovani è garanzia per un futuro democratico basato sulla memoria”.
(Da: Avvenimenti - A cura di Donatella Actis e Federica Calosso, Notizie 26-01-2004 15:25 Pagina 38 - http://www.cr.piemonte.it/attivita/notiz_pub/Notizie2003/Nrp05_03/06_Avvenimenti.pdf)


[sulla Mostra, vedi anche (in questa pagina):
ROSSI. 2003. Luigi Rossi (a cura di) 1939-1945: schiavi di Hitler, lavoratori coatti e internati militari italiani in Renania e Vestfalia, Hagen – Torino 2003, con il patrocinio della Regione Piemonte [fa parte della mostra preparata nel 2002-2003, presentata anche in diverse località italiane - con il relativo quaderno: 52 pagine.
[s.d. ma 2012] Luigi Rossi, Risarcimento agli ex schiavi di Hitler? (dalla Gazzetta di Mantova )
[s.d. ma 2012] Luigi Rossi, La mostra itinerante: 1939-1945: schiavi di Hitler - lavoratori coatti e internati militari italiani a Hagen e in Renania -Vestfalia. Il cammino di una mostra sui lavoratori coatti e internati militari italiani.

2004
"Con l'armistizio dell'8 settembre 1943 e il conseguente rovesciamento delle alleanze, i militari italiani si ritrovarono nemici degli ex alleati tedeschi. Salvo i pochi che accettarono di affiancarsi alle truppe naziste, confluendo nell'esercito della neonata Repubblica di Salò, oltre mezzo milione di soldati italiani furono deportati in Germania. Basato su un'imponente ricerca in archivi italiani e tedeschi e su testimonianze dirette dei reduci, questo volume è una descrizione approfondita dell'esperienza degli internati militari italiani. La ricerca mette in luce l'atteggiamento dei tedeschi verso i prigionieri, le direttive per il loro sfruttamento come forza lavoro nell'industria bellica e le condizioni materiali di vita dei soldati italiani". [ved. HAMMERMANN. 2004. Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania : 1943-1945, Bologna, Il Mulino, 2004].

2008
"Testimonianze su una delle pagine meno note della storia italiana del Novecento. All'indomani dell'8 settembre 1943, oltre seicentomila militari italiani furono catturati dalle forze armate tedesche, e deportati nei campi di concentramento in Germania e Polonia. Una detenzione inumana costata sofferenze indicibili e la perdita di molte vite, eppure vissuta consapevolmente come rifiuto a proseguire la guerra in nome del nazifascismo". [FRIGERIO-CANAVERO. 2008. Luca Frigerio, Noi
nei lager : testimonianze di militari italiani internati nei campi nazisti : 1943-1945 / prefazione di Alfredo Canavero, Milano, Paoline, 2008].

2008
"Gino Marchesin è nato nel 1923 a La Salute di Livenza, in provincia di Venezia, dove tuttora vive. Dopo una difficile infanzia viene reclutato giovanissimo. Sorpreso dall'armistizio a Porto Edda in Albania, dove si trova militare, partecipa in seguito alla resistenza contro i tedeschi nell'isola di Corfù con gli uomini del reggimento del colonnello Bettini. Fatto prigioniero dopo la caduta dell'isola, inizia una lunga odissea nei territori sotto il dominio del Reich, trascorrendo lunghi mesi nel lager di Belgrado. La vicenda ripercorre in modo geografico-cronologico le tappe dell'odissea del testimone Gino Marchesin dopo la cattura: Corfù, Igoumenitsa, Joannina, Florina, Belgrado, Nis, Osijek, Radkersburg. Il libro raccoglie l'intera parabola del testimone, fino al reinserimento, dopo la guerra, nella vita sociale e lavorativa". [ved. MARCHESIN. 2008. Gino Marchesin, Io, schiavo di Hitler : l'odissea di un giovane militare da Corfù al lager di Belgrado / Gino Marchesin ; a cura di Ugo Perissinotto ; postfazione di Joze Pirjevec ; interventi di Graziella Bettini, Claudio Sommaruga Editore: Portogruaro Nuova dimensione 2008]

2009
"Dei 52 carabinieri della 56ª Sezione Motorizzata partita per il fronte russo nel novembre del 1942 solo uno tornò dalla prigionia: il brigadiere Dante Carnevale. Dopo quattro anni passati nei lager sovietici, viene rimpatriato nel marzo del 1946. Per i prigionieri italiani l'orrore comincia con l'estenuante cammino verso le linee russe subito dopo la cattura, che avrebbe portato gran parte di quei soldati a morire di fame, di freddo e di malattie, se non uccisi a raffiche di mitra per snellirne il numero; poi il viaggio in treno verso il lager, in un vagone blindato e mai aperto per un mese. E infine la prigionia, tra sofferenze fisiche e psichiche che li segnarono per tutta la vita nel corpo e nell'animo, con l'illusione di un intervento da parte del governo italiano dopo la Liberazione e la consapevolezza di essere stati dimenticati dalla patria, all'inferno. Persino il ritorno a casa è amaro: anziché festeggiare i reduci la gente inscena proteste sventolando bandiere rosse e la burocrazia militare nega aiuti e riconoscimenti. Trentadue anni dopo, di getto, con tragico realismo, il carabiniere Dante Carnevale scrive le sue memorie, ora raccolte dal figlio con alcuni documenti dell'epoca". [ved. CARNEVALE. 2009. Girolamo Carnevale - Giuseppe Mariuz (a cura di), Dimenticati all'inferno : un carabiniere nei lager sovietici 1942-1946 / Dante Carnevale, Milano, Mursia, 2009].

2009
"La rivendicazione della Resistenza antifascista si è ridotta per decenni al dibattito politico sulla guerra partigiana. Negli ultimi anni registriamo il recupero di una dimensione più ampia. Contiamo la resistenza contro i tedeschi delle forze armate all'8 settembre. Poi la guerra partigiana e la deportazione politica e razziale nei lager di morte. La partecipazione delle forze armate nazionali alla campagna anglo-americana in Italia. E infine la resistenza degli Imi nei lager tedeschi: le centinaia di
migliaia di militari che invece della guerra nazifascista scelsero e pagarono la fedeltà alle stellette della patria. Le stellette a cinque punte sul bavero della divisa (piccoli pezzi di metallo povero o un quadratino di stoffa) sono il simbolo tradizionale dei militari italiani. La fedeltà alle stellette fu la motivazione più comune e diretta della grande maggioranza dei 650000 militari italiani che preferirono la prigionia nei lager tedeschi al passaggio dalla parte nazifascista. Questi 650000 prigionieri erano degli sconfitti che avevano vissuto il fallimento del regime fascista, la misera fine delle guerre di Mussolini, lo sfacelo delle forze armate all'8 settembre. Tutti avevano ragione di sentirsi traditi dal re e da Badoglio, che li avevano abbandonati senza ordini agli attacchi tedeschi. Ciò nonostante, una grande maggioranza di questa massa di sbandati preferì la fedeltà alle stellette e la prigionia nei lager". (Dalla prefazione di Giorgio Rochat) [ved. PALMIERI-ROCHAT. 2009. Avagliano Palmieri, Gli internati militari italiani : diari e lettere dai lager nazisti : 1943-1945, Torino, Einaudi, 2009].

[s.d. ma 2012] Luigi Rossi, Risarcimento agli ex schiavi di Hitler?
Si terrà martedì, in Tribunale a Mantova, la prima udienza del processo intentato da 44 reduci dalla prigionia contro il Governo tedesco. Gli ex schiavi di Hitler, tutti militari italiani catturati dopo l'8 settembre 1943, chiedono un risarcimento per i due anni trascorsi a lavorare nelle fabbriche naziste, tra umiliazioni, stenti e privazioni di ogni genere. Il giudice dovrebbe limitarsi a prendere atto che nel procedimento si è inserito anche il governo italiano, citato da quello tedesco. Per questo il Tribunale virgiliano dovrebbe dichiarare la propria incompetenza a decidere sulla causa e annunciare il trasferimento del procedimento al Tribunale di Brescia. Sarà in questa sede, dunque, che tra qualche mese, riprenderà il processo. Un punto a favore degli ex schiavi di Hitler è arrivato con la costituzione in giudizio dell'avvocatura dello Stato contro il governo tedesco che aveva chiamato in causa quello italiano. Come si ricorderà, alla citazione in tribunale presentata dai 44 reduci mantovani, la Merkel aveva risposto di aver già versato i danni all'Italia, nell'ambito del trattato di pace; per questo i militari avrebbero dovuto rivolgersi all'Italia per avere ulteriori soldi. L'avvocatura dello Stato, invece, sostiene che la Germania ha sì versato all'Italia delle somme in base all'accordo del 1961, ma solo per coprire «partite commerciali e finanziarie» e non per risarcire il lavoro coatto degli ex soldati deportati in Germania. «Per noi questa è una prima vittoria» commenta Spartaco Gamba, ispiratore del ricorso.
(dalla Gazzetta di Mantova ) (per saperne di più : http://www.schiavidihitler.it")

[s.d. ma 2012] Luigi Rossi, La mostra itinerante: 1939-1945: schiavi di Hitler - lavoratori coatti e internati militari italiani a Hagen e in Renania -Vestfalia. Il cammino di una mostra sui lavoratori coatti e internati militari italiani.
I quasi 600.000 IMI, internati tra l'8 settembre 1943 e la fine del secondo conflitto mondiale, sono costruttori di pace ed elemento necessario per la rinascita della Patria, libera e democratica. Le loro sofferenze, il martirio, la schiavizzazione, l'anelito alla Pace, lo scontro con i volontari e la subdola propaganda di regime che cercava di riportarli nelle schiere nazionalsocialiste e della Repubblica di Salò, ci dicono che si è di fronte ad un'Altra Resistenza che conta oltre 50.000 morti. Una particolare ignoranza del dramma dei lavoratori coatti e internati militari italiani regnava nella città in cui vivo e lavoro: lavoratori coatti e internati militari italiani a Hagen, grande centro industriale alle porte di Dortmund? La risposte erano: non ne sappiamo niente. Non crediamo. Lager per IMI e lavoratori coatti nella nostra città? Chi sa, forse. Risaltava la mancanza di studi e indagini, anche locali, sul tema, almeno fino alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso. Spiccava l'assenza di progetti, non solo tedeschi, diretti all'incontro con IMI e lavoratori coatti sopravvissuti per raccogliere testimonianze e documentazioni.
 A partire dall'autunno del 1999, per Hagen e la Ruhr, veniva alla luce una documentazione sorprendente: diari, testimonianze orali, fotografie, lettere. Dall'archivio della città risultò una lista di 52 italiani deceduti il 2.12.1944 durante un bombardamento inglese: una morte orrenda. I resti furono cremati e inumati nel cimitero di Hagen-Delstern in una fossa comune con vittime di altre nazioni. Tra i materiali rinvenuti in Italia: le memorie di padre Giuseppe Barbero, allora giovane cappellano militare incaricato di assistere gli IMI nei Lager della Ruhr, stampate già tra il 1945-1946; i suoi appunti originali; l'elenco degli internati che egli sostenne nel momento del trapasso, con le cause del decesso; fotografie... Documenti conservati con amore dai coniugi Pettiti di Centallo e messi a disposizione. Inoltre: le memorie del medico Guglielmo Dothel, forlivese, impegnato nei Campi di Lavoro per Italiani di Dortmund, Wetter e Hagen; la registrazione del Lager 341-Schmiedag di Hagen con ben 461 nominativi completi di luogo di nascita, residenza e stato di famiglia, grado e incarico nell'Arbeitslager; i racconti di alcuni ex-IMI che, nel marzo del 2001, vennero a farci visita e a raccontare ai nostri studenti, e alla cittadinanza di Hagen, quel che allora successe.
Sulla base di questa documentazione che denunciava contemporaneamente la situazione nelle altre città della Ruhr (Dortmund, Bochum, Witten Recklinghausen, Essen.) o della Marca (Iserlohn), i responsabili dell'Istituto scolastico nel quale opero si convinsero ch'era necessario confrontarsi con il passato. Si creò un Gruppo di Lavoro composto da studenti e insegnanti che iniziò ad organizzare particolari occasioni per attirare l'attenzione su quell'epoca di dolore. Il primo passo fu la lettura e la traduzione di alcune pagine delle memorie di padre Giuseppe Barbero, stampate a Torino tra il 1945-1946 (l'imprimatur è del Natale 1945). La croce tra i reticolati è un libricino intenso, umano e di denuncia, forse la prima opera memorialistica e accusatoria dei crimini commessi sugli IMI. La lettura, fatta da studenti di origine italiana e dalla signora Marianne Hahn (che un anno più tardi presenterà al pubblico tedesco la traduzione dell'opera completa del cappellano centallese), si tenne negli spazi del Centro Studi Storici di Hagen.
Ero rimasto colpito dalla sincerità e schiettezza di questo giovane prete. Dalla descrizione del dolore e della morte. Dalle denunce rivolte a ufficiali (e qualche cappellano) italiani, ai civili tedeschi, ai responsabili dei Lager. Alle crude descrizioni dei Campi di Lavoro per italiani, polacchi e russi e francesi: cibo, igiene, violenza, morte, vendetta e pietà e fede. Quando mi capitarono nelle mani i quaderni sui quali trascrisse i dati degli IMI che aiutò nel trapasso, annotandone anche le cause della morte, rimasi scioccato. Ero di fronte al calvario di migliaia di soldati che avevano deciso di deporre le armi e di non combattere più. Essi affrontarono la morte per fame, per freddo, le percosse, polmonite, tubercolosi e meningite: dimenticati da tutti, massimamente odiati in quanto ritenuti traditori da questi e da quelli. Mi posi la domanda, con don Barbero: come può, chi depone le armi e sceglie definitivamente la Pace, venir considerato traditore?
La lettura al Centro Studi Storici fu il primo e decisivo passo. Il secondo, nel frattempo, stava maturando. Grazie alla lista completa dei 461 IMI internati nell'Arbeitslager 341 - Schmiedag di Hagen, ci mettemmo in contatto con 4 ex-internati e li invitammo per il marzo 2001 a visitare la nostra scuola e città, i luoghi del calvario, vale a dire l'acciaieria Schmiedag, ancora oggi in piena attività, a parlare con i nostri studenti, a incontrare la cittadinanza e il borgomastro. I signori Ivo Mantovani (Calderara di Reno, Bologna), Vinicio Mesturini (Senigallia, Ancona), Mario Ortombina (Bovolone, Verona) e Anselmo Magnanini (Ficarolo, Rovigo) accettarono di buon grado. Per malattia solo il signor Magnanini dovette rinnuciare. Gli altri tre, con le mogli, furono nostri ospiti per una settimana. Giorni intensi dedicati alla memoria. Rimasero, quei giorni, indimenticabili per la città e la nostra scuola.
Mentre il nostro Istituto procedeva al ricupero del passato della nostra città, il Centro Studi Storici avviava ricerche ufficiali che sarebbero approdate alla mostra 1939-1945: lavoratori coatti a Hagen e nella Renania-Vestfalia. Si tratta della mostra che, integrata da capitoli che riguardano la realtà IMI, sta percorrendo l'Italia con il titolo Schiavi di Hitler, lavoratori coatti e internati militari italiani a Hagen e nella Renania - Vestaflia. Essa venne inaugurata nel settembre del 2002 e rimase esposta, con oggetti, documentazioni e ricostruzioni, fino al marzo del 2003 su uno spazio di 500 metri quadrati.
Per la città e la Regione venne alla luce una realtà incredibile: milioni di lavoratori coatti russi, polacchi, italiani, francesi, olandesi. furono schiavizzati e martirizzati nell'epoca del nazionalsocialismo. Hagen, come le altre città, era un unico Lager retto dalla violenza e da ferree direttive. La cittadinanza riconobbe che l'Inferno era sotto casa e che le baracche dei Lager, in molti casi, ospitarono centinaia d'immigrati nei primi due decenni che seguirono il secondo conflitto mondiale.
Nell'inverno-primavera del 2003 si decise di unire gli sforzi del nostro Istituto e del Centro Studi Storici. Si chiese ai Comuni italiani che collaborarono sin dal primo momento, tra questi Centallo, il paese di don Barbero, se desideravano partecipare al progetto che prevedeva di portare la mostra in Italia. Nel frattempo si prese contatto con altre Istituzioni italiane che accettarono di ospitare l'iniziativa. Tra le Istituzioni vorrei ricordare l'Istituto di Storia Contemporanea "P.A. Perretta" di Como che agli IMI ha dedicato e dedica molte energie e il Consiglio Regionale del Piemonte, con il Comitato Resistenza e Costituzione di Torino.
La tappa di Como vede in primo piano l'Istituto di Storia Contemporanea "P.A. Perretta", impegnato da anni nella rivalutazione e documentazione delle sofferenze e del martirio degli IMI. Il sito internet dell'Istituto, i dati d'archivio sul tema, ne hanno fatto una tappa obbligata. Siamo sicuri che l'Istituto saprà completare nel miglior modo ciò che è stato realizzato a Hagen. Aggiungo che tutto ciò non è nato per caso. La Gesamtschule F. Steinhoff è stato uno dei primi Istituti a far sì che la lingua di una minoranza, l'italiano, diventasse materia d'insegnamento. Da quasi 25 anni il nostro idioma viene insegnato, con successo, come seconda lingua straniera. Da qui sono partite iniziative didattiche e di ricerca che mettono in primo piano la persona, la cultura e la storia. Viaggi studio, progetti e ricerche storiche accompagnano la didattica quotidiana. Per dieci anni è stato scandagliato il passato alla ricerca dell'origine della presenza italiana nel Nordreno-Vestfalia: indagine approdata nel 1997 alla mostra Bella Forma, peltro e acciaio dal Piemonte che presentava le vicende dei peltrai piemontesi attivi nell'area di lingua e cultura tedesca tra 1500 e 1900.
Nel 2000 toccò al progetto Gelato & Gelatieri, in collaborazione con la Provincia di Belluno e l'Ente Fiere di Longarone. L'iniziativa Internati militari e lavoratori coatti italiani ha interessato gruppi di studio del nostro Istituto per il periodo 1999-2003. Le collaborazioni che hanno portato alla realizzazione e al tour italiano di 1939-1945: schiavi di Hitler, fanno ben sperare per un comune e responsabile futuro europeo. Un messaggio che viene affidato ai giovani e che viene da lontano: dalla Resistenza e dalla Pace originata dall'abbandono delle armi.
Luigi Rossi




17 gennaio 2012
Voci dal lager. Diari e lettere di deportati politici 1943-1945 - Al Palazzo della Provincia la presentazione di un libro sulla Resistenza di Mario Avagliano e Marco Palmieri per Einaudi.
Nella storia della Resistenza italiana e della Guerra di Liberazione dal nazifascismo c'è una pagina importante che spesso viene trascurata e che nella memoria collettiva di quegli anni e di quegli eventi, nonché nelle celebrazioni ufficiali, non sempre ha avuto il posto che merita. È la storia dei deportati politici, contraddistinti da un triangolo rosso cucito sulla tuta a strisce. Si tratta di circa 24 mila italiani  -  la ricerca per approdare a cifre definitive è ancora in corso  -  che tra il 1943 e il 1945 furono arrestati con l'accusa o il semplice sospetto di essere antifascisti e aver preso parte alla Resistenza o agli scioperi nelle fabbriche, tra cui un considerevole numero di 1.500 donne. Alla fine della guerra, quando i russi o gli Alleati aprirono i cancelli dei Konzentrationslager nazisti svelandone l'orrore, circa 10.000 di loro vi avevano perso la vita.
Alla loro vicenda è dedicato il libro Voci dal lager. Diari e lettere di deportati politici 1943-1945 (Einaudi, pp. XLIV  -  419, € 14), di Mario Avagliano e Marco Palmieri, che avevano già raccontato la storia degli Internati Militari Italiani e degli ebrei italiani perseguitati a partire dal 1938 attraverso questa fonte diretta rappresentata dagli scritti coevi, annotati nel vivo degli eventi. Grazie a questo saggio, in libreria da oggi, è stato possibile raccontare per la prima volta "dal basso", cioè dal punto di vista delle vittime, con la loro voce, le loro emozioni, le loro paure e le loro ingenue speranze annotate giorno per giorno in presa diretta in centinaia di diari, lettere e biglietti la storia di quei drammatici giorni.
Il libro sarà presentato il 18 gennaio alle 17.30 alla Provincia, nella Sala Liegro di Palazzo Valentini. Il programma prevede i saluti del presidente della Provincia Nicola Zingaretti, del presidente dell'Aned di Roma Maurizio Ascoli e del presidente dell'Anpi Roma Lazio Vito Francesco Polcaro. A seguire gli interventi del giornalista e saggista Aldo Cazzullo, dello storico Mauro Canali, dell'ex deportata Vera Michelin Salomon, del vicepresidente nazionale dell'Anpi Massimo Rendina. Letture di brani del libro a cura degli attori Silvia Catalano e Franco Sciacca e canti dal lager a cura di Chiara Casarico, Massimo Chionne e Massimo Lella. Modera Umberto Gentiloni, delegato alla Memoria.
(Editoriale: La Repubblica, Archivio> la Repubblica.it > 2012> 01 > 17> http://roma.repubblica.it/cronaca/2012/01/17/news/voci_dal_lager_diari_e_lettere_di_deportati_politici_1943-1945-28305916/?ref=search)



04 febbraio 2012
Andrea Tarquini, Stragi naziste in Italia: no agli indennizzi.
BERLINO - La ragion di Stato vale più dei diritti umani; l' immunità degli Stati, in questo caso della Germania di oggi, fa premio sulle ragioni delle vittime della Germania di ieri. Ecco il senso della grave sentenza emessa ieri dalla Corte internazionale di giustizia dell' Aja. Che ha deciso a favore della Germania e contro l' Italia nel contenzioso sui risarcimenti alle vittime dei crimini di guerra della Wehrmachte delle Ss e sulla possibilità di processare quei loro responsabili ancora in vita. Il verdetto spacca l' Europa, come se non bastasse la tempesta dell' euro. E pone un precedente pericolosissimo a livello mondiale, denuncia Amnesty international: «È un grosso passo indietro, gli interessi degli Stati vengono anteposti alla difesa dei diritti dell' uomo». Immediate le reazioni in Italia, in forte contrasto con la soddisfazione del ministro degli Esteri federale, Guido Westerwelle. Il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha accettato la sentenza, notando però che non riconosce le motivazioni italiane e auspica trattative immediate. Il suo predecessore e oggi responsabile esteri del Pdl, Franco Frattini parla di «pesante frusta per le vittime». Protesta l' Anpi: i diritti umani non sono negoziabili, nota il presidente Carlo Smuraglia. E per il procuratore militare Marco de Paolis, il verdetto «frustra le legittime attese» di centinaia di familiari delle vittime dei nazisti. Lo scontro oppone da anni Italia e Germania. Sia sulle stragi, sia sulla tragica sorte di migliaiae migliaia di internati militari italiani. Cioè prigionieri deportati nel Reich e usati come "forzati", tra i milioni di "schiavi di Hitler" di tutta l' Europa occupata: lavoravano in condizioni bestiali, denutriti e spesso torturati, nell' industria militare della tirannide. La Cassazione nel 2008 riconobbe che la Germania nazista aveva violato diritto internazionale e diritti umani, e affermò la legittimità di richieste d' indennizzo e di indagini sui criminali ancora in vita. A Berlino lo sdegno unì la Cdu dell' attuale cancelliera Angela Merkel e la socialdemocrazia. Linea bipartisan tedesca dal dopoguerra è infatti la difesa dell' immunità degli Stati contro cause di singole persone. «È un fondamento della nostra visione del diritto internazionale», ha ribadito ieri Westerwelle, pur dicendosi «pronto al dialogo con l' Italia». E Berlino resta fedele al suo divieto di estradare propri cittadini, che consente una vita tranquilla e libera a molti criminali nazisti. Il caso concreto riguardava massacri compiuti dalla "Divisione Hermann Goering" (dal nome del folle e cocainomane alto gerarca nazista, capo della Luftwaffe) a Civitella, in Toscana, e in cittadine vicine. 250 civili inermi, anche donne e bambini, furono trucidati dopo che in uno scontro a fuoco con la resistenza tre soldati tedeschi erano caduti. Luigi Ferrini non fu ucciso, ma deportato in Germania, internato in un Lager e sfruttato come schiavo del Reich. Solo gli Stati possono negoziare indennizzi a loro vittime del passato, l' individuo non ha diritto di parola, afferma in sostanza l' Aja. Anche in Germania, si levano voci critiche. Spiegel online nota che la sentenza «si fa carico del Diritto internazionale ma non della giustizia». E denuncia il gravissimo, vergognoso pericolo del precedente posto ieri: non solo le vittime italiane del Reich, ma i civili di tutto il mondo adesso sono più indifesi contro i crimini di guerra d' ogni dittatura che li opprime, o di ogni occupante.
(Andrea Tarquini, Stragi naziste in Italia: no agli indennizzi, (su: La Repubblica, Archivio> la Repubblica.it > 2012> 02 > 04>: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/02/04/stragi-naziste-in-italia-no-agli-indennizzi.html?ref=search)

30 gennaio 2013
Roma - TESTIMONIANZE Dalle 17 alle 20 incontro "La Resistenza non armata ma non inerme degli Internati Militari Italiani (I.M.I.) nei Lager nazisti" con la proiezione di "I soldati italiani nelle prigioni di Hitler" a cura di Stefano Munafò e Walter Preci. Presenta il prof. Luciano Zani, partecipa Michele Montagano. Casa della Memoria e della Storia.
(Editoriale: La Repubblica, Archivio> la Repubblica.it > 2013> 01 > 30> appuntamenti: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/01/30/appuntamenti.rm_043.html?ref=search)



2013
"Molti degli internati militari hanno vissuto il ritorno a casa sotto il segno dell'offesa. Per loro non ci sono attestati o benemerenze. Anzi sono circondati da indifferenza e fastidio. Stranieri in patria. Ignorati e respinti da un paese che non li riconosce e in cui non riescono o non vogliono riconoscersi. Si sentono, e in qualche modo lo sono davvero, gli ultimi involontari ostaggi di una guerra senza memoria e senza narrazione pubblica. Una guerra che l'Italia antifascista rinnega e che larga parte degli Italiani aspira a dimenticare. Più che eroi appaiono come i resti dell'esercito regio, travolti dall'umiliazione e dalla disgregazione dell'armistizio. Di fatto viene negato il loro essere 'volontari dei lager', l'aver fatto scelte fondate su decisioni individuali non facili e accettato i rischi conseguenti. Rischi ampiamente commisurabili con quelli del partigiano di montagna." [ved. BORZANI. 2013. Luca Borzani, La guerra di mio padre / Luca Borzani ; postfazione di Donald Sasson, Genova, Il Melangolo, 2013].






8 ottobre 2013
Sidorova, una fisarmonica entra alle Nuove Show speciale della Fondazione Giubergia
Torino - IL MUSEO del carcere Le Nuove ospita fino al 6 dicembre una mostra su "Gli internati militari italiani" allestita in occasione del 70° anniversario dell' 8 settembre: proprio nel Museo si terrà, stasera e domani, un concerto organizzato dalla Fondazione Renzo Giubergia con la fisarmonicista Ksenija Sidorova come protagonista. La Fondazione Giubergia, dallo scorso anno, organizza concerti che abbiamo come protagonisti giovani musicisti e sceglie come "sala da concerto" luoghi di particolare interesse culturale e artistico di Torino: stasera e domani alle 21 tocca alla Rotonda delle Nuove (Via Paolo Borsellino 3). L' ingresso ai concerti, organizzati in collaborazione con la De Sono, è gratuito, ma bisogna prenotare telefonando al 334/6666089. La venticinquenne fisarmonicista di Riga suonerà pagine di Bach, Vassiliev, Rachmaninov, Mendelssohn, Piazzolla, Schnittke.
Editoriale, (su: La Repubblica, 8 ottobre 2013: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/10/08/sidorova-una-fisarmonica-entra-alle-nuove-show.html?ref=search)




20 gennaio 2014
Torino - SEICENTOMILA NO
Seicentomila No. La Resistenza degli internati militari italiani” curato dall’Archivio nazionale cinematografico della Resistenza e dall’Associazione nazionale ex internati, sezione di Torino è il volume che si presenta alle 18 nella Sala Viglione di Palazzo Lascaris in via Alfieri 12 con il presidente del Consiglio regionale, Valerio Cattaneo.
Editoriale, (su: La Repubblica, 20 gennaio 2014: http://torino.repubblica.it/cronaca/2014/01/20/news/venezia_per_lum_ninotchka_di_lubitsch_mandragola_a_ciri_il_canto_delle_sirene-76421249/?ref=search)




26 gennaio 2014
Torino - UNA LUNGA ODISSEA
Una lunga odissea. Gli internati militari italiani nella storia nazionale e nella memoria collettiva” è il titolo della conferenza che si tiene alle 15 al Museo della Resistenza in corso Valdocco 4, in occasione della mostra temporanea “Disegni di prigionia. Luigi Carluccio 1943 - 1944 – 1945”. Info 011/4420780.
Editoriale, (su: La Repubblica, 26 gennaio 2014: http://torino.repubblica.it/cronaca/2013/03/27/news/salute_donne_recital_di_grasso_requiem_ground_zero_europa_galante-55437338/?ref=search)


26 gennaio 2014
Alberto Custodero, Noi, perseguitati dai nazisti, senza giustizia da 70 anni - Dal reduce di Auschwitz che lotta per la pensione da deportato, alla centenaria col vitalizio revocato dall’Inps: così la burocrazia nega la storia.

ROMA — Un ex deportato ad Auschwitz che non riesce a dimostrare di essere stato nel campo di sterminio. Una donna di 104 anni che lotta da anni contro l’Inps che le ha sospeso la pensione da perseguitata razziale. A causa di una burocrazia allucinante, a 76 anni dalle leggi razziali, a 71 dalla caduta del fascismo, in Italia sono ancora centinaia i contenziosi tra le vittime ultranovantenni dell’Olocausto e delle persecuzioni politiche, e lo Stato. E lo Stato è sempre pronto a dire no e a fare appello contro sentenze favorevoli agli ex perseguitati.
Incredibilmente, infatti, sono ancora in funzione due Commissioni interministeriali, istituite nel 1955, per valutare se assegnare vitalizi ai perseguitati politici e razziali. E alle vittime – o familiari - dei campi di sterminio nazisti. Le domande non ancora definite dalla prima commissione sono 568 (le pensioni attualmente in pagamento sono 5163), le cause pendenti presso la seconda sono 20, mentre le pensioni totali erogate durante l’anno scorso sono 2572. Quando le commissioni respingono le domande, le vittime si rivolgono alla giustizia ordinaria.
Alberto Custodero, Noi, perseguitati dai nazisti, senza giustizia da 70 anni - Dal reduce di Auschwitz che lotta per la pensione da deportato, alla centenaria col vitalizio revocato dall’Inps: così la burocrazia nega la storia, (per articolo completo ved.: La Repubblica, 26 gennaio 2014)




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APPARATI
(a cura di GP)


A)
FONTI
Cadorago › 1944 › Comune di Cadorago › Archivio - Unità compresa in: Servizi militari (e assistenza, associazioni) › Rimpatrio dei militari dalla Germania: domande di rimpatrio; elenchi nominativi dei dispersi; elenco dei militari internati in Germania. (1944)
Segnatura definitiva: cart. 36, fasc. 5; Busta registro: 36; Numero corda: 778.
Contenuto: Rimpatrio dei militari dalla Germania: domande di rimpatrio; elenchi nominativi dei dispersi; elenco dei militari internati in Germania.
Link risorsa: http://www.lombardiabeniculturali.it/archivi/unita/MIUD0CD3BD/


Comitato. 1945. Comitato di liberazione nazionale dell'Oltrepò Pavese - CLN › Unità compresa in: Assistenza internati e rimpatriati › Assistenza ex internati in Germania (1945 settembre 23 - 1945 ottobre 17)
Segnatura definitiva: cart. 01 - serie 003 - fasc. 07; Tipologia unità: Registro; Supporto: cartaceo; Formato: 300 x 210 x 5; Consistenza: ff. 38; Descrizione estrinseca: Registro cartaceo, ff. 38, mm 300 x 210 x 5, legatura originaria; Conservazione: buono; Data topica: Voghera; Note: a) Manoscritto; Numero corda: 203
Contenuto: Registro dell'assistenza ex internati in Germania dal 23 settembre 1945 al 17 ottobre 1945.
Link risorsa: http://www.lombardiabeniculturali.it/archivi/unita/MIUD0E3E81/




B)
FONTI LEGISLATIVE E NORMATIVE - TRATTATI

XIII Convenzione dell'Aja 1907, concernente i diritti e i doveri delle Potenze neutrali in caso di guerra marittima. - Conchiusa all’Aja il 18 ottobre 1907.


- Sua Maestà l’Imperatore di Germania, Re di Prussia;
- il Presidente della Repubblica Argentina;
- Sua Maestà l’Imperatore d’Austria, Re di Boemia, ecc., e Re Apostolico di Ungheria;
- Sua Maestà il Re dei Belgi;
- il Presidente della Repubblica di Bolivia;
- il Presidente della Repubblica degli Stati Uniti del Brasile;
- Sua Altezza Reale il Principe di Bulgaria;
- il Presidente della Repubblica del Chili;
- il Presidente della Repubblica di Colombia;
- Sua Maestà il Re di Danimarca;
- il Presidente della Repubblica Dominicana;
- il Presidente della Repubblica dell’Equatore;
- il Presidente della Repubblica Francese;
- Sua Maestà il Re del Regno Unito di Gran Bretagna e d’Irlanda e dei Territori Britannici al di là dei Mari, Imperatore delle Indie;
- Sua Maestà il Re degli Elleni;
- il Presidente della Repubblica del Guatemala;
- il Presidente della Repubblica di Haiti;
- Sua Maestà il Re d’Italia;
- Sua Maestà l’Imperatore del Giappone;
- Sua Altezza Reale il Granduca di Lussemburgo, Duca di Nassau;
- il Presidente degli Stati Uniti Messicani;
- Sua Altezza Reale il Principe di Montenegro;
- Sua Maestà il Re di Norvegia;
- il Presidente della Repubblica del Panama;
- il Presidente della Repubblica del Paraguay;
- Sua Maestà la Regina dei Paesi Bassi;
- il Presidente della Repubblica del Perù;
- Sua Maestà Imperiale lo Scià di Persia;
- Sua Maestà il Re del Portogallo e degli Algarvi, ecc.;
- Sua Maestà il Re di Romania;
- Sua Maestà l’Imperatore di Tutte le Russie;
- il Presidente della Repubblica del Salvador;
- Sua Maestà il Re di Serbia;
- Sua Maestà il Re del Siam;
- Sua Maestà il Re di Svezia;
- il Consiglio federale svizzero;
- Sua Maestà l’Imperatore degli Ottomani;
- il Presidente della Repubblica Orientale dell’Uruguay;
- il Presidente degli Stati Uniti del Venezuela,
nell’intento di diminuire le divergenze d’opinione che, in caso di guerra marittima, esistono ancora quanto ai rapporti tra le Potenze neutrali e le Potenze belligeranti, e di prevenire le difficoltà che tali divergenze potessero cagionare;
considerando che, se non si possono concordare fin d’ ora delle stipulazioni che si estendano a tutte le circostanze che si possono presentare nella pratica, vi è tuttavia un’incontestabile utilità di stabilire, nella misura del possibile, delle regole comuni
per il caso in cui scoppiasse disgraziatamente la guerra;
considerando che, per i casi non previsti dalla presente Convenzione, bisogna tener conto dei principi generali del diritto delle genti;
considerando che è desiderabile che le Potenze emanino delle prescrizioni precise per regolare le conseguenze dello stato di neutralità ch’esse avessero adottato;
considerando che è, per le Potenze neutrali, un dovere riconosciuto d’applicare imparzialmente ai diversi belligeranti le regole da esse adottate;
considerando che, in tale ordine d’idee, queste regole non dovrebbero, per principio, essere cambiate, nel corso della guerra, da una Potenza neutrale, salvo nel caso in cui l’ esperienza acquistata non ne dimostrasse la necessità per la tutela dei suoi
diritti;
hanno convenuto d’ osservare le regole comuni che seguono, le quali non possono, del resto, portar pregiudizio alle stipulazioni dei trattati generali esistenti, e hanno nominato a Loro Plenipotenziari:
(Seguono i nomi dei Plenipotenziari)
i quali, dopo aver depositati i loro pieni poteri, trovati in buona e debita forma, hanno convenuto quanto segue:


Art. 1
I belligeranti sono tenuti a rispettare i diritti sovrani delle Potenze neutrali e ad astenersi, nel territorio e nelle acque neutrali, da qualsiasi atto che costituisse, da parte delle Potenze che lo tollerasse, una violazione della loro neutralità.
Art. 2
Qualunque atto di ostilità, compresi la cattura e l’ esercizio del diritto di visita, commesso da una nave da guerra belligerante nelle acque territoriali di una Potenza neutrale costituisce una violazione della neutralità ed è strettamente vietato.
Art. 3
Quando una nave sia stata catturata nelle acque territoriali di una Potenza neutrale, questa deve, se la preda è ancora nella sua giurisdizione, usare ogni mezzo di cui dispone affinchè la preda venga rilasciata coi suoi ufficiali e col suo equipaggio, e affinchè l’equipaggio messo a bordo dal catturante venga internato.
Se la preda è fuori della giurisdizione della Potenza neutrale, il Governo catturante, su richiesta della medesima, deve rilasciare la preda coi suoi ufficiali ed il suo equipaggio.
Art. 4
II belligerante non può costituire alcun tribunale di preda su territorio neutrale o su di una nave nelle acque neutrali.
Art. 5
È vietato ai belligeranti di fare dei porti e delle acque neutrali la base delle operazioni navali contro i loro avversari e segnatamente di impiantarvi stazioni radiotelegrafiche o qualsiasi apparecchio destinato a servire come mezzo di comunicazione colle forze belligeranti su terra o su mare.
Art. 6
È vietata la consegna, a qualunque titolo sia, fatta direttamente o indirettamente da un Potenza neutrale a una Potenza belligerante, di navi da guerra, di munizioni o di qualsiasi materiale di guerra.
Art. 7
Una potenza neutrale non è tenuta ad impedire l’esportazione o il transito, per conto di uno o d’altro dei belligeranti, di armi, di munizioni e, in generale, di tutto ciò che possa essere utile ad un esercito o ad una flotta.
Art. 8
Un Governo neutrale è tenuto ad usare i mezzi di cui dispone per impedire nella sua giurisdizione l’equipaggiamento e l’armamento di qualsiasi nave, quando abbia ragionevoli motivi di credere che sia destinata ad andare in crociera o a concorrere ad operazioni ostili contro una Potenza con la quale esso si trova in pace. È altresì tenuto ad esercitare la medesima vigilanza per impedire la partenza fuori della sua giurisdizione di una nave destinata ad andare in crociera o a concorrere ad operazioni ostili e che sia stata, nella detta giurisdizione, adattata in tutto o in parte agli usi della guerra.
Art. 9
Una Potenza neutrale deve applicare in modo uniforme ai due belligeranti le condizioni, restrizioni o proibizioni, da essa decretate, concernenti l’ammissione nei suoi porti, nelle sue rade o acque territoriali delle navi da guerra belligeranti o delle loro
prede. Una Potenza neutrale può per altro proibire l’accesso nei suoi porti e nelle sue rade alla nave belligerante che non si sia conformata agli ordini e alle prescrizioni da essa decretati o che abbia violato la neutralità.
Art. 10
La neutralità di una Potenza non è compromessa dal semplice passaggio nelle sue acque territoriali delle navi da guerra e delle prede dei belligeranti.
Art. 11
Una Potenza neutrale può permettere che le navi da guerra dei belligeranti si servano dei suoi piloti patentati.
Art. 12
In mancanza di altre disposizioni speciali della legislazione della Potenza neutrale, è proibito alle navi da guerra dei belligeranti di rimanere nei porti, nelle rade o acque territoriali della medesima durante più di 24 ore, salvo nei casi previsti dalla presente Convenzione.
Art. 13
Se una Potenza neutrale informata dell’apertura delle ostilità viene a sapere che una nave da guerra di un belligerante si trova in uno dei suoi porti nelle rade o acque territoriali, essa deve intimare alla detta nave di partire nelle 24 ore o nel termine prescritto dalla legge locale.
Art. 14
Una nave da guerra belligerante non può prolungare il suo soggiorno in un porto neutrale oltre la durata legale, se non per causa di avarie o avuto riguardo allo stato del mare. Essa dovrà partire tosto che sia cessata la causa del ritardo.
Le regole sulla limitazione del soggiorno nei porti, nelle rade o acque neutrali non si applicano alle navi da guerra destinate esclusivamente ad una missione religiosa, scientifica o filantropica.
Art. 15
In mancanza di altre disposizioni speciali della legislazione della Potenza neutrale, il numero massimo delle navi da guerra di un belligerante che potranno trovarsi nello stesso tempo in uno dei suoi porti o rade, sarà di tre.
Art. 16
Quando navi da guerra delle due Parti belligeranti si trovino simultaneamente in un porto o una rada neutrali, devono decorrere almeno 24 ore tra la partenza di una nave di un belligerante e quella della nave dell’altro. L’ordine della partenza è determinato secondo l’ordine degli arrivi salvo che la nave arrivata la prima non si trovi nel caso in cui è ammesso, il prolungamento della durata legale del soggiorno. Una nave da guerra belligerante non può lasciare un porto o una rada neutrali meno di 24 ore dopo la partenza di una nave di commercio che inalberi bandiera nemica.
Art. 17
Nei porti e nelle rade neutrali, le navi da guerra belligeranti non possono riparare le loro avarie che nella misura indispensabile alla sicurezza della loro navigazione e non per accrescere, in qualsiasi modo, la loro forza militare. L’autorità neutrale accerterà la natura delle riparazioni da farsi, che devono essere eseguite il più rapidamente possibile.
Art. 18
Le navi da guerra belligeranti non possono servirsi dei porti, delle rade ed acque territoriali neutrali per rinnovare e aumentare i loro approvvigionamenti militari o i loro armamenti o per completare i loro equipaggi.
Art. 19
Le navi da guerra belligeranti non possono vettovagliarsi nei porti o nelle rade neutrali che per completare il loro approvvigionamento normale in tempo di pace.
Tali navi non possono, parimente, prendere se non il combustibile necessario per raggiungere il porto più vicino del loro proprio paese. Esse possono del resto prendere il combustibile occorrente per riempire il magazzino del carbone, quando si trovino nei paesi neutrali che hanno adottato tale modo di determinazione del combustibile che possono fornire.
Se, conforme alla legge della Potenza neutrale, le navi non ricevono il carbone che 24 ore dopo il loro arrivo, la durata legale del loro soggiorno è prolungata di 24 ore.
Art. 20
Le navi da guerra belligeranti, che abbiano preso del combustibile nel porto di una Potenza neutrale, non possono rinnovare il loro approvvigionamento in un porto della medesima Potenza che dopo tre mesi.
Art. 21
Una preda non può essere condotta in un porto neutrale se non perchè non più atta alla navigazione, o per motivo del cattivo stato del mare, o per mancanza di combustibile o di provvigioni.
Essa deve ripartire tosto che la causa, che ne abbia giustificata l’entrata, sia cessata. Se essa non lo fa, la Potenza neutrale deve notificarle l’ordine di partire immediatamente. Qualora essa non vi si conformasse, la Potenza neutrale deve usare i mezzi di cui dispone per liberarla con i suoi ufficiali ed il suo equipaggio e internare l’ equipaggio messo a bordo dal catturante.
Art. 22
La Potenza neutrale deve parimente liberare la preda che sia stata condotta fuori delle condizioni previste dall’articolo 21.
Art. 23
Una Potenza neutrale può permettere l’ accesso dei suoi porti e delle sue rade alle prede, scortate o no, quando siano condotte per essere lasciate sotto sequestro fino a quando il tribunale delle prede non abbia deciso. Essa può far condurre la preda in un altro dei suoi porti.
Se la preda è scortata da una nave da guerra, gli ufficiali e gli uomini messi a bordo dal catturante saranno autorizzati a passare nella nave di scorta.
Se la preda viaggia sola, il personale posto a bordo dal catturante sarà lasciato libero.
Art. 24
Se, malgrado la notificazione dell’autorità neutrale, una nave da guerra belligerante non lasci un porto in cui non ha diritto di restare, la Potenza neutrale ha il diritto di prendere le misure che stimerà necessarie per rendere la nave incapace di prendere il mare durante la guerra e il comandante dovrà facilitare tali misure.
Quando una nave belligerante sia ritenuta da una Potenza neutrale, gli ufficiali e l’ equipaggio sono parimente ritenuti.
Gli ufficiali e l’equipaggio possono essere lasciati sulla nave e alloggiati sia su di un’altra nave, sia a terra, e possono essere sottoposti alle misure restrittive che fosse necessario loro imporre. Bisognerà però sempre lasciare sulla nave le persone necessarie per custodirla.
Gli ufficiali possono essere lasciati in libertà, impegnandosi sulla loro parola di non abbandonare il terreno neutrale senza autorizzazione.
Art. 25
Una potenza neutrale è tenuta ad esercitare la vigilanza che consentano i mezzi di cui essa dispone, per impedire nei suoi porti e nelle sue rade e nelle sue acque ogni violazione alle precedenti disposizioni.
Art. 26
L’esercizio, da parte di una Potenza neutrale, dei diritti determinati dalla presente Convenzione non può mai essere considerato come atto poco amichevole da uno o l’ altro belligerante che abbia accettato gli articoli che precedono.
Art. 27
Le Potenze contraenti si comunicheranno reciprocamente, in tempo utile, tutte le leggi, ordinanze ed altre disposizioni che regolano presso di esse il regime delle navi da guerra belligeranti nei loro porti e nelle loro acque, mediante una notificazione diretta al Governo dei Paesi Bassi, e da questo immediatamente trasmessa alle altre Potenze contraenti.
Art. 28
Le disposizioni della presente Convenzione non sono applicabili che tra le Potenze contraenti e soltanto se i belligeranti fanno tutti parte della medesima.
Art. 29
La presente Convenzione sarà ratificata il più presto possibile.
Le ratificazioni saranno depositate all’ Aja.
Il primo deposito di ratificazioni sarà accertato da un processo verbale firmato dai rappresentanti delle Potenze che vi prendono parte e dal Ministro degli Affari Esteri dei Paesi Bassi.
I depositi ulteriori di ratificazioni si faranno per mezzo di una notificazione scritta diretta al Governo dei Paesi Bassi e accompagnata dall’istrumento di ratificazione.
Copia certificata conforme del verbale concernente il primo deposito di ratificazioni, delle notificazioni mentovate nel capoverso precedente e degli istrumenti di ratificazione, sarà subito rimessa per cura del Governo dei Paesi Bassi e in via diplomatica alle Potenze invitate alla Seconda Conferenza per la Pace, come pure alle altre Potenze che avranno aderito alla Convenzione. Nei casi previsti dal capoverso precedente, il detto Governo farà loro conoscere in pari tempo il giorno in cui ha ricevuto la notificazione.
Art. 30
Le Potenze non firmatarie sono ammesse ad accedere alla presente Convenzione.
La Potenza che desidera accedere notifica per iscritto la sua accessione al Governo dei Paesi Bassi, inviandogli l’atto di accessione, che sarà depositato nell’archivio di detto Governo.
Quest’ultimo manderà subito a tutte le altre Potenze copia certificata conforme della notificazione e dell’atto d’accessione, indicando il giorno in cui ha ricevuto la notificazione.
Art. 31
La presente Convenzione produrrà effetto per le Potenze che avranno partecipato al primo deposito di ratificazioni, sessanta giorni dopo la data del processo verbale di questo deposito e, per le Potenze che ratificheranno più tardi o che accederanno, sessanta giorni dopo che la notificazione della loro ratificazione o della loro accessione sarà stata ricevuta dal Governo dei Paesi Bassi.
Art. 32
Quando accada che una Potenza contraente voglia denunziare la presente Convenzione, la denunzia sarà notificata per iscritto al Governo dei Paesi Bassi, che comunicherà subito copia certificata conforme della notificazione a tutte le altre Potenze, indicando loro il giorno in cui l’ha ricevuta.
La denunzia non produrrà i suoi effetti che in confronto della Potenza che l’avrà notificata e un anno dopo che la notificazione sarà pervenuta al Governo dei Paesi Bassi.
Art. 33
Un registro tenuto dal Ministero degli Affari Esteri dei Paesi Bassi indicherà la data del deposito di ratificazioni fatto in virtù dell’articolo 29 capoversi 3 e 4, come pure il giorno in cui saranno state ricevute le notificazioni d’accessione (articolo 30 capoverso 2) o di denunzia (articolo 32 capoverso 1).
Ciascuna Potenza contraente è ammessa a prender notizia di tale registro e a domandarne estratti certificati conformi.
In fede di che, i Plenipotenziari hanno munito della loro firma la presente Convenzione.
Fatto all’ Aja, il diciotto ottobre mille novecentosette, in un solo esemplare che rimarrà depositato nell’archivio del Governo dei Paesi Bassi e di cui copie, certificate conformi, saranno rimesse in via diplomatica alle Potenze che sono state invitate alla Seconda Conferenza per la Pace.
(Seguono le firme)
Campo d’applicazione della convenzione il 1° aprile 1981
Stati partecipanti
Austria - Ratificazione o adesione: 27 novembre 1909 / Entrata in vigore: 26 gennaio 1910
Belgio - 8 agosto 1910 - 7 ottobre 1910
Brasile - 5 gennaio 1914 - 6 marzo 1914
Cina - 15 gennaio 1910 - 16 marzo 1910
Danimarca - 27 novembre 1909 - 26 gennaio 1910
Etiopia - 5 agosto 1935 - 4 ottobre 1935
Finlandia - 9 giugno 1922 - 8 agosto 1922
Francia - 7 ottobre 1910 - 6 dicembre 1910
Germania* 27 novembre 1909 - 26 gennaio 1910
Giappone*- 13 dicembre 1911 - 11 febbraio 1912
Guatemala -  13 aprile 1910 - 12 giugno 1910
Haiti - 2 febbraio 1910 - 3 aprile 1910
Liberia - 4 febbraio 1914 - 5 aprile 1914
Lussemburgo -  5 settembre 1912  - 4 novembre 1912
Messico -  27 novembre 1909 - 26 gennaio 1910
Nicaragua - 16 dicembre 1910 - 14 febbraio 1910
Norvegia -  19 settembre 1910  - 18 novembre 1910
Paesi Bassi - 27 novembre 1909 - 26 gennaio 1910
Panama - 11 settembre 1911 - 10 novembre 1911
Portogallo - 13 aprile 1911 - 12 giugno 1911
Romania - 1 ° marzo 1912 - 30 aprile 1912
Russia 27 novembre 1909 - 26 gennaio 1910
Salvador - 27 novembre 1909 - 26 gennaio 1910
Stati Uniti d’America*- 3 dicembre 1909 - 1 ° febbraio 1910
Svezia - 27 novembre 1909 - 26 gennaio 1910
Svizzera - 12 maggio 1910 - 11 luglio 1910
Tailandia*- 12 marzo 1910 - 11 maggio 1910
Ungheria 27 novembre 1909 - 26 gennaio 1910


* Riserve:
- Germania: Con riserva degli art. 11, 12, 13 e 20.
- Giappone: Con riserva degli art. 19 e 23.
- Stati Uniti d’America: Con la seguente riserva: «Gli Stati Uniti aderiscono alla Convenzione, riservato ed escluso l’art. 23 e con la riserva inoltre che la disposizione dell’art. 3 della Convenzione sia intesa nel senso che essa disposizione obbliga lo Stato neutro a presentare la domanda ivi menzionata di rilascio di una nave catturata in territorio sottoposto alla sovranità dello Stato neutro, quand’anche la nave non si trovi più in detto territorio.» (Traduzione dal testo originale inglese)
- Tailandia: Con riserva degli art. 12, 19 e 23.


15 April 1935
Protection of Artistic and Scientific Institutions and Historic Monuments

The High Contracting Parties, animated by the purpose of giving conventional form to the postulates of the Resolution approved on December 16, 1933, by all the States represented at the Seventh International Conference of American States, held at Montevideo, which recommended to "the Governments of America which have not yet done so that they sign the 'Roerich Pact', initiated by the Roerich Museum in the United States, and which has as its object, the universal adoption of a flag, already designed and generally known, in order thereby to preserve in any time of danger all nationally and privately owned immovable monuments which form the cultural treasure of peoples", have resolved to conclude a treaty with that end in view, and to the effect that the treasures of culture be respected and protected in time of war and in peace, have agreed upon the following articles:
ARTICLE I
The historic monuments, museums, scientific, artistic, educational and cultural institutions shall be considered as neutral and as such respected and protected by belligerents. The same respect and protection shall be due to the personnel of the institutions mentioned above. The same respect and protection shall be accorded to the historic monuments, museums, scientific, artistic, educational and cultural institutions in time of peace as well as in war.
ARTICLE II
The neutrality of, and protection and respect due to, the monuments and institutions mentioned in the preceding article, shall be recognized in the entire expanse of territories subject to the sovereignty of each of the signatory and acceding States, Without any discrimination as to the State allegiance of said monuments and institutions. The respective Governments agree to adopt the measures of internal legislation necessary to insure said protection and respect.
ARTICLE III
In order to identify the monuments and institutions mentioned in article I, use may be made of a distinctive flag (red circle with a triple red sphere in the circle on a white background) in accordance with the model attached to this treaty.
ARTICLE IV
The signatory Governments and those which accede to this treaty, shall send to the Pan American Union, at the time of signature or accession, or at any time thereafter, a list of the monuments and institutions for which they desire the protection agreed to in this treaty. The Pan American Union, when notifying the Governments of signatures or accessions, shall also send the list of monuments and institutions mentioned in this article, and shall inform the other Governments of any changes in said list.
ARTICLE V
The monuments and institutions mentioned in article I shall cease to enjoy the privileges recognized in the present treaty in case they are made use of for military purposes.
ARTICLE VI
The States which do not sign the present treaty on the date it is opened for signature, may sign or adhere to it at any time.
ARTICLE VII
The instruments of accession, as well as those of ratification and denunciation of the present treaty, shall be deposited with the Pan American Union, which shall communicate notice of the act of deposit to the other signatory or acceding States.
ARTICLE VIII
The present treaty may be denounced at any time by any of the signatory or acceding States, and the denunciation shall go into effect three months after notice of it has been given to the other signatory or acceding States.
IN WITNESS WHEREOF, the Undersigned Plenipotentiaries, after having deposited their full powers found to be in due and proper form, sign this treaty on behalf of their respective governments, and affix thereto their seals, on the dates appearing opposite their signatures.
For the Argentine Republic: April 15, 1935 FELIPE A. ESPIL
For Bolivia: April 15, 1935 ENRIQUE FINOT
For Brazil: April 15, 1935 OSWALDO ARANHA
For Chile: April 15, 1935 M. TRUCCO
For Colombia: April 15, 1935 M. LOPEZ PUMAREJO
For Costa Rica: April 15, 1935 MAN. GONZALEZ Z
For Cuba: April 15, 1935 GUILLERMO PATTERSON
For the Dominican Republic: April 15, 1935 RAF. BRACHE
For Ecuador: April 15, 1935 C. E. ALFARO
For El Salvador: April 15, 1935 HECTOR DAVID CASTRO
For Guatemala: April 15, 1935 ADRIAN RECINOS
For Haiti: April 15, 1935 A. BLANCHET
For Honduras: April 15, 1935 M. PAZ BARAONA
For Mexico: April 15, 1935 F. CASTILLO NAJERA
For Nicaragua: April 15, 1935 HENRI DE BAYLE
For Panama: April 15, 1935 R. J. ALFARO
For Paraguay: April 15, 1935 ENRIQUE BORDENAVE
For Peru: April 15, 1935 M. DE FREYRE Y S.
For the United States of America: April 15, 1935 HENRY A. WALLACE
For Uruguay: April 15, 1935 J. RICHLING
For Venezuela: April 15, 1935 PEDRO M. ARCAYA






C)
FONTI AMMINISTRATIVE


RICHIESTA INFORMAZIONI ALBO D’ORO
M I N I S T E R O D E L LA D I F E S A
DIREZIONE GENERALE DELLA PREVIDENZA MILITARE, DELLA LEVA E DEL
COLLOCAMENTO AL LAVORO DEI VOLONTARI CONGEDATI

00184 Roma – Via Sforza 4/b – Tel. 06-4735.4648 Fax 06-4884.237
DATI RELATIVI AL CADUTO O DISPERSO IN GUERRA:
Grado
Cognome e nome ________________________________________________________________
Paternità e Maternità ______________________________________________________________
Data e località di nascita ___________________________________________________________
Distretto militare _________________________________________________________________
Corpo o Reparto di appartenenza ____________________________________________________
Data di morte____________________________________________________________________
Luogo di morte __________________________________________________________________
Indirizzo attuale della famiglia ______________________________________________________
Grado di parentela con il caduto o disperso ____________________________________________
Altre eventuali notizie _____________________________________________________________
COGNOME E NOME RICHIEDENTE ____________________________________________
INDIRIZZO DEL RICHIEDENTE ________________________________________________
TELEFONO ______________________________ E-Mail_______________________________
Data___________________ FIRMA ________________________________________________




C)

BIBLIOGRAFIA


AJA. 1907. XIII Convenzione dell'Aja 1907, concernente i diritti e i doveri delle Potenze neutrali in caso di guerra marittima. - Conchiusa all’Aja il 18 ottobre 1907.




ASSOCIAZIONE NAZIONALE EX INTERNATI – AMADEI. 1984. Leonetto Amadei, Resistenza senz'armi : un capitolo di storia italiana : 1943-1945 : dalle testimonianze di militari toscani internati nei lager nazisti, Firenze, Le Monnier, 1984.
ISBN: 8800855121
Classificazione: 940.547 243
Autore Ente: ASSOCIAZIONE NAZIONALE EX INTERNATI
Titolo: Resistenza senz'armi : un capitolo di storia italiana : 1943-1945 : dalle testimonianze di militari toscani internati nei lager nazisti / Associazione Nazionale Ex Internati ; prefazione di Leonetto Amadei
Editore: Firenze Le Monnier 1984
Descrizione fisica: XII, 447 p., VIII c. di tav. : ill. ; 21 cm
Collana: Quaderni di storia. Documenti
Soggetto: INTERNATI MILITARI ITALIANI - Germania - 1943-1945
Altro Autore: AMADEI, Leonetto


AVAGLIANO-PALMIERI. 2009. Mario Avagliano - Marco Palmieri, Gli Internati Militari Italiani" di la storia degli IMI attraverso le lettere e i diari dei protagonisti, Torino, Einaudi, - vincitore del Premio Nazionale Anpi 2010.
Gli internati militari italiani  - Diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945  - 2009
Passaggi Einaudi, pp. LXVI - 338 

ISBN 9788806202361
Introduzione di Giorgio Rochat
Un caso unico la scelta della grande maggioranza dei 650000 militari italiani che nel 1943, dopo l'armistizio, rifiutarono di aderire alla Repubblica sociale italiana al prezzo della prigionia nei lager nazisti. La tragedia dell'8 settembre, i dilemmi della scelta, la dura vita nei campi nelle testimonianze «a caldo» degli internati militari italiani.
Il libro

«La rivendicazione della Resistenza antifascista si è ridotta per decenni al dibattito politico sulla guerra partigiana. Negli ultimi anni registriamo il recupero di una dimensione più ampia. Contiamo la resistenza contro i tedeschi delle forze armate all'8 settembre. Poi la guerra partigiana e la deportazione politica e razziale nei lager di morte. La partecipazione delle forze armate nazionali alla campagna anglo-americana in Italia. E infine la resistenza degli Imi nei lager tedeschi: le centinaia di migliaia di militari che invece della guerra nazifascista scelsero e pagarono la fedeltà alle stellette della patria. Le stellette a cinque punte sul bavero della divisa (piccoli pezzi di metallo povero o un quadratino di stoffa) sono il simbolo tradizionale dei militari italiani. La fedeltà alle stellette fu la motivazione più comune e diretta della grande maggioranza dei 650000 militari italiani che preferirono la prigionia nei lager tedeschi al passaggio dalla parte nazifascista. Questi 650000 prigionieri erano degli sconfitti che avevano vissuto il fallimento del regime fascista, la misera fine delle guerre di Mussolini, lo sfacelo delle forze armate all'8 settembre. Tutti avevano ragione di sentirsi traditi dal re e da Badoglio, che li avevano abbandonati senza ordini agli attacchi tedeschi. Ciò nonostante, una grande maggioranza di questa massa di sbandati preferì la fedeltà alle stellette e la prigionia nei lager». (Dalla Prefazione di Giorgio Rochat) [Scheda del libro sul sito di Einaudi]  


Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 centinaia di migliaia di militari italiani furono disarmati dai tedeschi e posti di fronte ad una drammatica scelta: continuare la guerra sotto le insegne nazifasciste o essere deportati nei campi di concentramento?
La gran parte di loro – circa 650 mila, tra cui 30 mila ufficiali e 200 generali – rifiutarono di continuare a combattere al fianco dei tedeschi e scelsero di non aderire alla Repubblica di Salò. La conseguenza del loro “no” fu la deportazione e l'internamento nei lager nazisti, non come prigionieri di guerra ma con lo status fino ad allora sconosciuto di IMI, Internati Militari Italiani, voluto da Hitler per sottrarli alla Convenzione di Ginevra e sfruttarli liberamente.
Questa pagina sconosciuta della seconda guerra mondiale, della guerra civile tra italiani tra il 1943 e il 1945, della Resistenza e della Guerra di liberazione italiana ed europea, è stata a lungo trascurata e dimenticata nel dopoguerra. Ora torna a rivivere in un libro che la ricostruisce e la racconta attraverso la voce e gli occhi dei protagonisti, grazie a centinaia di lettere (sottoposte a censura e talvolta mai recapitate) e diari (spesso clandestini) scritti nei lager in quei drammatici giorni, rimasti fino ad ora inediti e “sepolti” in archivi pubblici, privati e di famiglia. Il libro è “Gli Internati Militari Italiani. Diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945”, di Mario Avagliano e Marco Palmieri (Einaudi).
I diari e le lettere degli IMI, inquadrati da una corposa introduzione storica, sono raccolti in nove capitoli, dal viaggio in tradotta verso i lager al ritorno a casa dei sopravvissuti, con un’appendice di foto e disegni dai campi. Ne emerge un affresco quanto mai nitido e dettagliato della vita (e della morte) nei campi di concentramento nazisti. Una sorta di storia “dal vivo” e “in presa diretta” della fame, del freddo, del lavoro coatto, delle violenze, dei crimini di guerra e degli altri avvenimenti che
costarono la vita a circa 50 mila internati e segnarono per sempre tutti gli altri. Dagli stratagemmi per aggirare la censura e le riflessioni segrete sui taccuini di fortuna (dalle minuscole agendine tascabili alla carta igienica tenuta insieme con lo spago) emerge inoltre come la scelta di non aderire – compiuta in massa da una generazione nata e cresciuta sotto il fascismo – fu un vero atto di resistenza (il segretario del partito comunista Alessandro Natta, ex internato, parlò di “altra resistenza” ma il suo libro fu rifiutato nel 1954 e pubblicato solo quarantadue anni dopo da Einaudi), che contribuì al riscatto dell’Italia e degli italiani verso la democrazia e la libertà.
“La rivendicazione della Resistenza antifascista – come scrive lo storico Giorgio Rochat nella prefazione del volume – si è ridotta per decenni al dibattito politico sulla guerra partigiana. Negli ultimi anni registriamo il recupero di una dimensione più ampia. Contiamo la resistenza contro i tedeschi delle forze armate all'8 settembre. Poi la guerra partigiana e la deportazione politica e razziale nei lager di morte. La partecipazione delle forze armate nazionali alla campagna anglo-americana in Italia.
E infine la resistenza degli Imi nei lager tedeschi: le centinaia di migliaia di militari che invece della guerra nazifascista scelsero e pagarono la fedeltà alle stellette della patria. Tutti avevano ragione di sentirsi traditi dal re e da Badoglio, che li avevano abbandonati senza ordini agli attacchi tedeschi. Ciò nonostante, una grande maggioranza di questa massa di sbandati preferì la fedeltà alle stellette e la prigionia nei lager”.
In seguito a questa scelta gli IMI andarono incontro – “volontariamente”, come scrisse nel suo diario clandestino Giovannino Guareschi, l’autore di Don  Camillo e Peppone all’epoca giovane sottotenente, a venti mesi di prigionia, lavoro coatto, sofferenze e morte. Altri duecentomila (ai quali è dedicato un capitolo) fecero invece la scelta opposta e decisero di aderire alla Repubblica Sociale, per motivazioni ideologiche, ma anche per paura, ricatto, incertezza e confusione. L’esperienza dei lager riguardò (e segnò) anche alcuni tra i più importanti esponenti della cultura, dell’arte, della politica e delle professioni del dopoguerra (come l’attore Gianrico Tedeschi, i senatori Paolo Desana e Carmelo Santalco, lo storico Vittorio Emanuele
Giuntella, il manager d’industria Silvio Golzio, l’intellettuale cattolico Giuseppe Lazzati, il pittore Antonio Martinetti, il pittore e caricaturista Giuseppe Novello, il filosofo Enzo Paci, il musicista Mario Pozzi, il poeta  Roberto Rebora, gli scrittori Mario Rigoni Stern e Giovannino Guareschi).
Il libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri riporta in piena luce, attraverso gli scritti dei protagonisti, questa pagina importante di storia italiana.
MARIO AVAGLIANO è nato a Cava de’ Tirreni. Vive e lavora a Roma. Giornalista professionista, studioso di Storia contemporanea, è vicedirettore delle Relazioni Esterne e della Comunicazione dell'Anas e collabora con E Polis e varie riviste storiche. Ha lavorato per diverse testate tra cui: Il Messaggero, il Giornale Radio della Rai, il Giornale di Sicilia, i quotidiani del gruppo Agl-L’Espresso. E’ membro dell'Istituto Romano per la Storia d'Italia dal Fascismo alla Resistenza, della Sissco e del comitato scientifico dell'Istituto Storico "Galante Oliva", ed è direttore del Centro Studi della Resistenza dell’Anpi di Roma-Lazio e direttore e webmaster del portale “storiaXXIsecolo.it”. Finora ha pubblicato: Il partigiano Tevere. Il generale Sabato Martelli Castaldi dalle vie dell'aria alle Fosse Ardeatine (1996); Roma alla macchia. Personaggi e vicende della Resistenza (1997); Il Cavaliere dell'Aria. L'asso dell'aviazione Nicola Di Mauro dal mitico Corso Aquila ai record d'alta quota (1998); "Muoio innocente". Lettere di caduti della Resistenza a Roma (in collaborazione con Gabriele Le Moli, 1999); Il Profeta della Grande Salerno. Cento anni di storia meridionale nei ricordi di Alfonso Menna (in collaborazione con Gaetano Giordano, 1999). Per Einaudi ha pubblicato Generazione ribelle. Diari e lettere dal 1943 al 1945 (2006), Gli Internati Militari Italiani. Diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945 (2009) e Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia. Diari e lettere 1938-1945 (2011).
MARCO PALMIERI è nato a Isernia. Giornalista e studioso di Storia contemporanea, ha lavorato per diverse testate; è membro del Centro Studi della Resistenza dell'Anpi di Roma-Lazio e ha pubblicato numerosi articoli e saggi sulla deportazione, l'internamento e le vicende militari italiane nella Seconda guerra mondiale. Per Einaudi ha pubblicato, con Mario Avagliano, Gli Internati Militari Italiani. Diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945 (2009) e Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia. Diari e lettere 1938-1945 (2011). (scheda da: http://www.storiaxxisecolo.it/avagliano/internatimilitariitaliani.htm)






BERSANI. 1997. Ferdinando Bersani, I dimenticati : i prigionieri italiani in India : 1941-1946, Milano, Mursia, 1997.
ISBN: 8842521310
Classificazione: 940.547 241 092
Autore principale: BERSANI, Ferdinando
Titolo: I dimenticati : i prigionieri italiani in India : 1941-1946 / Ferdinando Bersani
Editore: Milano Mursia 1997
Descrizione fisica: 193 p. ; 21 cm
Collana: Grande universale Mursia. Testimonianze
Soggetto: PRIGIONIERI DI GUERRA ITALIANI - Guerra mondiale 1939-45 - India - Diari e memorie




BIGAZZI - ZHIRNOV. 2002. Francesco Bigazzi - Evgenij Zhirnov, Gli ultimi 28 : la storia incredibile dei prigionieri di guerra italiani dimenticati in Russia, Milano, Mondadori, 2002.
ISBN: 8804503416
Classificazione: 940.54
Autore principale: BIGAZZI, Francesco
Titolo: Gli ultimi 28 : la storia incredibile dei prigionieri di guerra italiani dimenticati in Russia / Francesco Bigazzi, Evgenij Zhirnov
Editore: Milano Mondadori 2002
Descrizione fisica: 235 p., [4] c. di tav. : ill. ; 22 cm
Collana: Le scie
Soggetto: PRIGIONIERI DI GUERRA ITALIANI - Guerra mondiale 1939-45 - Russia
Soggetto: PRIGIONIERI DI GUERRA ITALIANI - Guerra mondiale 1939-45 - Unione Sovietica - Diari e memorie
Altro Autore: ZHIRNOV, Evgenij
ISBN: 8804503416
Classificazione: 940.54
Autore principale: BIGAZZI, Francesco
Titolo: Gli ultimi 28 : la storia incredibile dei prigionieri di guerra italiani dimenticati in Russia / Francesco Bigazzi, Evgenij Zhirnov
Editore: Milano Mondadori 2002
Descrizione fisica: 235 p., [4] c. di tav. : ill. ; 22 cm
Collana: Le scie
Soggetto: PRIGIONIERI DI GUERRA ITALIANI - Guerra mondiale 1939-45 - Russia
Soggetto: PRIGIONIERI DI GUERRA ITALIANI - Guerra mondiale 1939-45 - Unione Sovietica - Diari e memorie
Altro Autore: ZHIRNOV, Evgenij
"La tragedia dell'ARMIR nella campagna di Russia non fu dovuta solo al freddo e alle battaglie che l'esercito italiano dovette affrontare senza i mezzi e la preparazione necessaria. Da documenti d'archivio e ricostruzioni storiche emerge infatti che migliaia di militari trovarono una morte orrenda in seguito alle condizioni drammatiche della prigionia. In queste pagine gli autori, grazie a una lunga ricerca negli archivi dei ministeri russi, ricostruiscono la storia degli "ultimi 28", ventotto reclusi italiani "dimenticati" nelle carceri sovietiche il cui calvario durò fino al febbraio 1954". [Annotation Supplied by Informazioni Editoriali]




BORZANI. 2013. Luca Borzani, La guerra di mio padre / Luca Borzani ; postfazione di Donald Sasson, Genova, Il Melangolo, 2013.
ISBN: 9788870188790
Classificazione: 940.54 <14. ed.>
Autore principale: BORZANI, Luca
Titolo: La guerra di mio padre / Luca Borzani ; postfazione di Donald Sasson
Editore: Genova Il Melangolo 2013
Descrizione fisica: 181 p. : ill. ; 21 cm
Collana: Lecturae
Soggetto: INTERNATI MILITARI ITALIANI - 1943-1945 - Memorie
"Molti degli internati militari hanno vissuto il ritorno a casa sotto il segno dell'offesa. Per loro non ci sono attestati o benemerenze. Anzi sono circondati da indifferenza e fastidio. Stranieri in patria. Ignorati e respinti da un paese che non li riconosce e in cui non riescono o non vogliono riconoscersi. Si sentono, e in qualche modo lo sono davvero, gli ultimi involontari ostaggi di una guerra senza memoria e senza narrazione pubblica. Una guerra che l'Italia antifascista rinnega e che larga parte degli Italiani aspira a dimenticare. Più che eroi appaiono come i resti dell'esercito regio, travolti dall'umiliazione e dalla disgregazione dell'armistizio. Di fatto viene negato il loro essere 'volontari dei lager', l'aver fatto scelte fondate su decisioni individuali non facili e accettato i rischi conseguenti. Rischi ampiamente commisurabili con quelli del partigiano di montagna." [scheda editoriale]




CAFORIO. 1994. Giuseppe Caforio, "No!" i soldati italiani internati in Germania : analisi di un rifiuto / di Giuseppe Caforio e Marina Nuciari, Milano, Franco Angeli, c1994.
ISBN: 8820484404
Classificazione: 940.547 243
Autore principale: CAFORIO, Giuseppe
Titolo: "No!" i soldati italiani internati in Germania : analisi di un rifiuto / di Giuseppe Caforio e Marina Nuciari
Editore: Milano Franco Angeli c1994
Descrizione fisica: 110 p. ; 22 cm
Soggetto: INTERNATI MILITARI ITALIANI - Germania - 1943-1945
Altro Autore: NUCIARI, Marina
"Il rifiuto che la grande maggioranza dei 600000 soldati italiani internati in Germania dopo l'8 settembre '43 ha opposto all'offerta di libertà e di ritorno in patria in cambio della collaborazione con l'esercito tedesco, costituisce un fenomeno di massa di indubbia singolarità storica, ma poco indagato dalle scienze del comportamento. Il volume si propone di cercare elementi di spiegazione del fenomeno analizzando le testimonianze dirette di 429 protagonisti. L'ingresso dell'individuo nel campo di concentramento è infatti sempre caratterizzato da un'azione di distruzione della sua precedente identità, che conduce ad ottenere un certo grado di collaborazione. La ricerca vuole individuare le motivazioni che hanno spinto i soldati italiani a non concederla". [scheda editoriale]




CARNEVALE. 2009. Girolamo Carnevale - Giuseppe Mariuz (a cura di), Dimenticati all'inferno : un carabiniere nei lager sovietici 1942-1946 / Dante Carnevale, Milano, Mursia, 2009.
ISBN: 9788842540359
Classificazione: 940.540 092
Autore principale: CARNEVALE, Dante
Titolo: Dimenticati all'inferno : un carabiniere nei lager sovietici 1942-1946 / Dante Carnevale ; a cura di Girolamo Carnevale e Giuseppe Mariuz
Editore: Milano Mursia 2009
Descrizione fisica: 200 p. : ill. ; 21 cm
Collana: Testimonianze fra cronaca e storia. 1939-1945: Seconda guerra mondiale
Soggetto: CARNEVALE, Dante - 1942-1946 - Diari e memorie
Soggetto: CAMPI DI CONCENTRAMENTO SOVIETICI - Guerra mondiale 1939-1945 - Diari e memorie
Soggetto: PRIGIONIERI DI GUERRA ITALIANI - Guerra mondiale 1939-45 - Russia - 1942-1946 - Diari e memorie
Altro Autore: CARNEVALE, Girolamo
Altro Autore: MARIUZ, Giuseppe
"Dei 52 carabinieri della 56ª Sezione Motorizzata partita per il fronte russo nel novembre del 1942 solo uno tornò dalla prigionia: il brigadiere Dante Carnevale. Dopo quattro anni passati nei lager sovietici, viene rimpatriato nel marzo del 1946. Per i prigionieri italiani l'orrore comincia con l'estenuante cammino verso le linee russe subito dopo la cattura, che avrebbe portato gran parte di quei soldati a morire di fame, di freddo e di malattie, se non uccisi a raffiche di mitra per snellirne il numero; poi il viaggio in treno verso il lager, in un vagone blindato e mai aperto per un mese. E infine la prigionia, tra sofferenze fisiche e psichiche che li segnarono per tutta la vita nel corpo e nell'animo, con l'illusione di un intervento da parte del governo italiano dopo la Liberazione e la consapevolezza di essere stati dimenticati dalla patria, all'inferno. Persino il ritorno a casa è amaro: anziché festeggiare i reduci la gente inscena proteste sventolando bandiere rosse e la burocrazia militare nega aiuti e riconoscimenti. Trentadue anni dopo, di getto, con tragico realismo, il carabiniere Dante Carnevale scrive le sue memorie, ora raccolte dal figlio con alcuni documenti dell'epoca".




CEREDA. 2004. Mauro Cereda, Storie dai lager : i militari italiani internati dopo l'8 settembre, Roma, Edizioni Lavoro, 2004.
ISBN: 8873131077
Classificazione: 940.54
Autore principale: CEREDA, Mauro
Titolo: Storie dai lager : i militari italiani internati dopo l'8 settembre / Mauro Cereda
Editore: Roma Edizioni Lavoro 2004
Descrizione fisica: 183 p. ; 21 cm
Collana: Storie/a 10
Soggetto: INTERNATI MILITARI ITALIANI - Germania - 1943-1945 - Memorie
Soggetto: DEPORTATI LOMBARDI - Germania - 1943-1945



DRAGONI-ROCHAT. 1996. Ugo Dragoni, La scelta degli I. M. I. : militari italiani prigionieri in Germania : 1943-1945 / prefazione di Giorgio Rochat, Firenze, Le Lettere, [1996].
ISBN: 8871662848
Classificazione: 940.547 243
Autore principale: DRAGONI, Ugo
Titolo: La scelta degli I. M. I. : militari italiani prigionieri in Germania : 1943-1945 / Ugo Dragoni ; prefazione di Giorgio Rochat
Editore: Firenze Le lettere [1996]
Descrizione fisica: 463 p. ; 25 cm
Soggetto: INTERNATI MILITARI ITALIANI - Germania - 1943-1945



FRIGERIO-CANAVERO. 2008. Luca Frigerio, Noi nei lager : testimonianze di militari italiani internati nei campi nazisti : 1943-1945 / prefazione di Alfredo Canavero, Milano, Paoline, 2008.
ISBN: 9788831533553
Classificazione: 940.54
Autore principale: FRIGERIO, Luca
Titolo: Noi nei lager : testimonianze di militari italiani internati nei campi nazisti : 1943-1945 / Luca Frigerio ; prefazione di Alfredo Canavero
Editore: Milano Paoline 2008
Descrizione fisica: 298 p. : ill. ; 21 cm
Collana: Uomini e donne
Soggetto: INTERNATI MILITARI ITALIANI - Germania - 1943-1945 - Memorie
Altro Autore: CANAVERO, Alfredo
"Testimonianze su una delle pagine meno note della storia italiana del Novecento. All'indomani dell'8 settembre 1943, oltre seicentomila militari italiani furono catturati dalle forze armate tedesche, e deportati nei campi di concentramento in
Germania e Polonia. Una detenzione inumana costata sofferenze indicibili e la perdita di molte vite, eppure vissuta consapevolmente come rifiuto a proseguire la guerra in nome del nazifascismo". [Annotation Supplied by Informazioni Editoriali]



HAMMERMANN. 2004. Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania : 1943-1945, Bologna, Il Mulino, 2004.
ISBN: 8815097031
Classificazione: 940.54
Autore principale: HAMMERMANN, Gabriele
Titolo: Gli internati militari italiani in Germania : 1943-1945 / Gabriele Hammermann
Editore: Bologna Il mulino 2004
Descrizione fisica: 573 p. ; 22 cm
Collana: Biblioteca storica
Soggetto: INTERNATI MILITARI ITALIANI - Germania - 1943-1945
"Con l'armistizio dell'8 settembre 1943 e il conseguente rovesciamento delle alleanze, i militari italiani si ritrovarono nemici degli ex alleati tedeschi. Salvo i pochi che accettarono di affiancarsi alle truppe naziste, confluendo nell'esercito della neonata Repubblica di Salò, oltre mezzo milione di soldati italiani furono deportati in Germania. Basato su un'imponente ricerca in archivi italiani e tedeschi e su testimonianze dirette dei reduci, questo volume è una descrizione approfondita dell'esperienza degli internati militari italiani. La ricerca mette in luce l'atteggiamento dei tedeschi verso i prigionieri, le direttive per il loro sfruttamento come forza lavoro nell'industria bellica e le condizioni materiali di vita dei soldati italiani".





LISI. 2012. Lodovico Lisi, Appunti di viaggio : 8 settembre 1943-8 aprile 1945 / Lodovico Lisi Stalag 17A 141895
Classificazione: 940.54 <14. ed.>
Autore principale: LISI, Lodovico
Titolo: Appunti di viaggio : 8 settembre 1943-8 aprile 1945 / Lodovico Lisi Stalag 17A 141895
Edizione: 2. ed. riveduta e corretta
Editore: Padova Associazione nazionale ex internati, Federazione provinciale ANEI 2012
Descrizione fisica: 1 volume (senza paginazione) : ill. ; 21 x 30 cm
Soggetto: INTERNATI MILITARI ITALIANI - Germania - 1943-1945 - Diari e memorie





MARCHESIN. 2008. Gino Marchesin, Io, schiavo di Hitler : l'odissea di un giovane militare da Corfù al lager di Belgrado / Gino Marchesin ; a cura di Ugo Perissinotto ; postfazione di Joze Pirjevec ; interventi di Graziella Bettini, Claudio Sommaruga, Portogruaro, Nuova dimensione, 2008.
ISBN: 9788889100547
Classificazione: 940.54 <14. ed.>
Autore principale: MARCHESIN, Gino
Titolo: Io, schiavo di Hitler : l'odissea di un giovane militare da Corfù al lager di Belgrado / Gino Marchesin ; a cura di Ugo Perissinotto ; postfazione di Joze Pirjevec ; interventi di Graziella Bettini, Claudio Sommaruga
Editore: Portogruaro Nuova dimensione 2008
Descrizione fisica: 267 p. : ill. ; 20 cm
Collana: Memoria 6
Soggetto: INTERNATI MILITARI ITALIANI- 1943-1945 - Memorie
Altro Autore: PERISSINOTTO, Ugo
Altro Autore: BETTINI, Graziella
Altro Autore: SOMMARUGA, Claudio
"Gino Marchesin è nato nel 1923 a La Salute di Livenza, in provincia di Venezia, dove tuttora vive. Dopo una difficile infanzia viene reclutato giovanissimo. Sorpreso dall'armistizio a Porto Edda in Albania, dove si trova militare, partecipa in seguito
alla resistenza contro i tedeschi nell'isola di Corfù con gli uomini del reggimento del colonnello Bettini. Fatto prigioniero dopo la caduta dell'isola, inizia una lunga odissea nei territori sotto il dominio del Reich, trascorrendo lunghi mesi nel lager di
Belgrado. La vicenda ripercorre in modo geografico-cronologico le tappe dell'odissea del testimone Gino Marchesin dopo la cattura: Corfù, Igoumenitsa, Joannina, Florina, Belgrado, Nis, Osijek, Radkersburg. Il libro raccoglie l'intera parabola del
testimone, fino al reinserimento, dopo la guerra, nella vita sociale e lavorativa". [Annotation Supplied by Informazioni Editoriali]





NATTA-COLLOTTI. 1997. Alessandro Natta, L'altra Resistenza : i militari italiani internati in Germania /; introduzione di Enzo Collotti, Torino, Einaudi, [1997].
ISBN: 880614314X
Classificazione: 940.547 243
Autore principale: NATTA, Alessandro
Titolo: L'altra Resistenza : i militari italiani internati in Germania / Alessandro Natta ; introduzione di Enzo Collotti
Editore: Torino Einaudi [1997]
Descrizione fisica: XXXIV, 140 p. ; 20 cm
Soggetto: INTERNATI MILITARI ITALIANI - Germania - 1943-1945
 ODORIZZI. 1984. Tullio Odorizzi, Un seme d'oro : vicende d'un internato militare nei lager nazisti, Trento, Grafiche Artigianelli, 1984.
Classificazione: 940.547 243 092
Autore principale: ODORIZZI, Tullio
Titolo: Un seme d'oro : vicende d'un internato militare nei lager nazisti / Tullio Odorizzi
Editore: Trento Grafiche Artigianelli 1984
Descrizione fisica: 202 p. : ill. ; 22 cm
Soggetto: INTERNATI MILITARI ITALIANI - Germania - 1943-1945 - Memorie




OLIVA. 1982. G. Oliva, "Appunti per una storia di tutti, prigionieri, internati, deportati italiani nella seconda guerra mondiale", Consiglio Regionale del Piemonte, Istituto storico della resistenza in Piemonte ed., Torino 1982.
I 650.000 militari italiani catturati dai tedeschi dopo l'8 settembre e internati nei lager nazisti erano una parte del prezzo della guerra Fascista: non il primo e non l'ultimo, ma certo il più oneroso e drammatico.
La Germania hitleriana non poteva né intendeva consentire al ritiro dell'Italia dalla guerra, né perdere i vantaggi strategici ed economici derivanti dal controllo della penisola; e i rapporti di forza nel teatro mediterraneo nell'estate 1943 assicuravano alla Wehrmacht una netta supremazia nei Balcani e nell'Italiacentro-settentrionale. Le truppe italiane dislocate nella penisola balcanica, nell'Europa orientale, in Francia erano comunque destinate ad essere sopraffatte dalle forze tedesche, superiori per armamento, mobilità, appoggio aereo e possibilità di rinforzi. Se il sacrificio di tanta parte delle forze armate era inevitabile, il prezzo fu però pagato nel modo peggiore. L'8 settembre il re e Badoglio, preoccupati soltanto di salvaguardare la continuità della monarchia e del governo assicurata con la firma dell'armistizio, lasciarono truppe e popolazione senza direttive chiare dinanzi alla pronta e bene organizzata reazione tedesca. Governanti più consapevoli della loro responsabilità, nel difficilissimo momento del rovesciamento di alleanze, avrebbero dovuto assumersi l'onere di ordinare esplicitamente alle truppe di combattere contro il nuovo nemico, oppure di arrendersi senza spargimenti di sangue là dove una resistenza era impossibile (come nei Balcani): qualsiasi direttiva sarebbe stata preferibile alla mancanza di direttive, che, scaricando la scelta della direzione in cui sparare su anziani ufficiali educati all'obbedienza e non a decisioni politiche di questo livello, aggiungeva una tragica crisi morale al disastro materiale. Il compito delle forze tedesche Fu così grandemente facilitato: le truppe italiane furono non solo disarmate e fatte prigioniere, ma anche umiliate e gli episodi circoscritti di resistenza armata rapidamente stroncati e duramente pagati (Cefalonia insegna).
Non si conosce con esattezza il numero dei militari italiani catturati dai tedeschi nei giorni successivi all'8 settembre: confrontando le cifre ufficiali italiane del 1946/47 con quelle tedesche e con dati di singoli reparti, si arriva a un totale, generalmente accettato come orientativo, di 650.000 uomini. Di questi, 550.000 furono deportati nei lager di Germania e Polonia e 100.000 trattenuti nei Balcani, in parte in lager veri e propri, in parte alle dipendenze dirette dei reparti tedeschi.
 Questi 650.000 internati militari (come li definirono i tedeschi, negando loro la qualifica di prigionieri di guerra in quanto sudditi dell'alleata repubblica di Salò) avrebbero potuto reputarsi traditi dal regime fascista, dalla monarchia, dal governo Badoglio, dai loro comandanti che non avevano saputo reagire alla crisi dell'armistizio, e pensare quindi al proprio interesse immediato, venendo a patti con i tedeschi.
Tuttavia, posti dinanzi alla scelta fra una dura prigionia (che per i soldati comportava il lavoro forzato e per tutti fame e vessazioni) e l'adesione al nazifascismo (che apriva la via al ritorno a casa e come minimo garantiva un immediato miglioramento delle condizioni di vita), in grande maggioranza preferirono la fedeltà alle istituzioni e rivendicarono la loro dignità di uomini con una tenace resistenza al nazi-fascismo. Scelsero quindi di restare nei lager in condizioni durissime, che circa 40.000 di loro pagarono con la vita.
[...]
L 'internamento dei soldati
I soldati vissero il trauma della cattura e della deportazione in carri bestiame e l'impatto con il sistema concentrazionario nazista in modo non diverso dagli ufficiali: fame, stenti, sistemazioni in baracche inadeguate e affollatissime. Anche a loro fu offerto l'arruolamento nell'esercito nazista o in quello di Salò, seppure con pressioni minori (mentre l'adesione degli ufficiali aveva un rilevante valore politico, quella dei soldati creava piuttosto problemi di inquadramento senza procurare benefici di rilievo sul piano dell'immagine): come al solito, mancano dati precisi, ma il totale dei volontari non dovette superare il l0%.
La differenza sostanziale era rappresentata dal lavoro forzato: mentre gli ufficiali furono costretti a lavorare solo nei termini già indicati, i soldati, sin dall'inizio della loro prigionia, vennero obbligati ad un lavoro massacrante di dodici ore quotidiane per sei giorni la settimana. Nel 1943/44 quasi tutti i tedeschi tra i 18 e i 50 anni erano arruolati nella Wehrmacht o nelle varie organizzazioni naziste militari e paramilitari: la produzione industriale e agricola nel Reich dipendeva ormai dalla disponibilità di milioni di braccia straniere, lavoratori civili più o meno volontari, lavoratori coatti prelevati con la forza generalmente nei paesi slavi, prigionieri di guerra, deportati politici ed ebrei. Tra questi milioni di lavoratori erano mantenute rigide divisioni e differenze di trattamento anche notevoli, specie per vitto e disciplina, ma anche i più fortunati erano privati della libertà individuale e costretti ad un lavoro pesante, con la costante minaccia di percosse e di punizioni: era un enorme esercito di schiavi, impiegati quasi soltanto per la loro forza fisica.
I soldati italiani entrarono a far parte di questo esercito a un livello inferiore rispetto ai lavoratori civili e superiore rispetto ai deportati politici e razziali. Quelli che non furono destinati al lavoro nelle fabbriche, vennero impiegati nella manutenzione delle linee ferroviarie, nei lavori agricoli e forestali, nella costruzione di fortificazioni, nello sgombero di macerie, nel caricamento e scaricamento di navi e di treni.
La sorte peggiore fu probabilmente quella dei soldati destinati a lavorare nelle miniere di carbone in Renania e in Slesia, dove il lavoro era massacrante, il trattamento pessimo e la disciplina durissima. Un numero imprecisato di soldati conobbe anche gli orrori dei più tristi campi di deportazione: almeno un migliaio di internati furono destinati a Dora, sottocampo di Buchenwald, per la preparazione di installazioni sotterranee e poi per la fabbricazione delle bombe V1 e V2: si sa inoltre che 1800 detenuti del penitenziario di Peschiera furono inviati a Dachau e che in gran parte soccombettero.
L'accordo Hitler-Mussolini dell'estate 1944, che trasformò i militari internati in lavoratori civili, non ebbe ripercussioni particolari tra i soldati. Con ogni probabilità, in molti lager i tedeschi non si curarono di informare gli internati, procedendo d'autorità alla loro "civilizzazione", e in altri lo presentarono come una semplice formalità burocratica: nella sostanza, comunque, nulla cambiava, perché i soldati avrebbero continuato a lavorare come prima. Va tuttavia sottolineato che, nonostante le pressioni dell'ambiente, le durezze delle condizioni di vita e l'oggettiva difficoltà ad organizzarsi per la dispersione nei vari "Arbeitskommando", il l° gennaio 1945 (secondo fonti tedesche) 69.300 fra soldati e ufficiali persistevano nel rifiuto di firmare il provvedimento di "civilizzazione": una forma di resistenza marginale, ma di estremo valore ideale perché condotta soltanto in nome della propria dignità di uomini e di soldati.
Per quanto riguarda gli ultimi mesi di prigionia, la liberazione, l'attesa del rimpatrio e infine il ritorno in Italia, le vicende dei soldati furono simili a quelle degli ufficiali. Sul fronte orientale, la liberazione fu però segnata da brutali massacri da parte dei tedeschi ormai in rotta: 130 soldati furono impiccati a
Hildesheim il 27 e 28 marzo, una trentina fucilati a Bad Gandersheim in aprile, 150 a Treunbrietzen il 23 aprile. Valgano questi drammatici episodi come ammonimento a non dimenticare gli altri eccidi di prigionieri italiani perpretati dai nazisti nei territori balcanici e orientali, che la memorialistica non può documentare.






PALMIERI-AVAGLIANO. 2009.  - Palmieri - Avagliano, Gli internati militari italiani : diari e lettere dai lager nazisti : 1943-1945, Torino, Einaudi, 2009.
ISBN: 9788806202361
Classificazione: 940.54
Autore principale: PALMIERI, Avagliano
Titolo: Gli internati militari italiani : diari e lettere dai lager nazisti : 1943-1945 / Avagliano Palmieri ; saggio introduttivo di Giorgio Rochat
Editore: Torino Einaudi 2009
Descrizione fisica: LXIV, 338 p. : ill. ; 22 cm
Collana: Passaggi
Soggetto: INTERNATI MILITARI ITALIANI - Germania - 1943-1945 - Diari e memorie
Altro Autore: ROCHAT, Giorgio
"La rivendicazione della Resistenza antifascista si è ridotta per decenni al dibattito politico sulla guerra partigiana. Negli ultimi anni registriamo il recupero di una dimensione più ampia. Contiamo la resistenza contro i tedeschi delle forze armate all'8 settembre. Poi la guerra partigiana e la deportazione politica e razziale nei lager di morte. La partecipazione delle forze armate nazionali alla campagna anglo-americana in Italia. E infine la resistenza degli Imi nei lager tedeschi: le centinaia di
migliaia di militari che invece della guerra nazifascista scelsero e pagarono la fedeltà alle stellette della patria. Le stellette a cinque punte sul bavero della divisa (piccoli pezzi di metallo povero o un quadratino di stoffa) sono il simbolo tradizionale dei militari italiani. La fedeltà alle stellette fu la motivazione più comune e diretta della grande maggioranza dei 650000 militari italiani che preferirono la prigionia nei lager tedeschi al passaggio dalla parte nazifascista. Questi 650000 prigionieri erano degli sconfitti che avevano vissuto il fallimento del regime fascista, la misera fine delle guerre di Mussolini, lo sfacelo delle forze armate all'8 settembre. Tutti avevano ragione di sentirsi traditi dal re e da Badoglio, che li avevano abbandonati senza ordini agli attacchi tedeschi. Ciò nonostante, una grande maggioranza di questa massa di sbandati preferì la fedeltà alle stellette e la prigionia nei lager". (Dalla prefazione di Giorgio Rochat) [Annotation Supplied by Informazioni Editoriali]





RICCIOTTI. 1997. Lazzero Ricciotti, Gli schiavi di Hitler, Milano, Mondadori, 1997.
Autore: Lazzero Ricciotti
Editore: Mondadori
Collana: Oscar storia
Data di Pubblicazione: 1997 (2a ediz.)
ISBN: 8804431946
ISBN-13: 9788804431947
Reparto: Storia > Storia regionale e nazionale > Storia d'Europa
Avvenimenti: Mostre
La dicitura "Gli Schiavi di Hitler" è legata al lavoro di Ricciotti Lazzero, storico e giornalista, che con scrupolo, scientificità e pazienza ha valorizzato una pagina, da molti dimenticata, della storia della Germania hitleriana e dell'Italia fascista.
 Lazzero ha condotto la sua ricerca principalmente negli archivi tedeschi, svizzeri e austriaci, dedicandovi gli ultimi anni della sua vita, con tenacia e passione, incurante del grave stato di prostrazione fisica.
Nato a Trieste nel 1921, ha partecipato giovanissimo alla campagna di Russia nella divisione Cosseria e, in seguito, alla Resistenza in Piemonte.
 Da giornalista ha lavorato a "La Stampa", "Il Corriere della Sera", al "Tempo", è stato per10 anni inviato speciale di "Epoca", per lungo tempo ha collaborato con "Storia Illustrata".
 Collaboratore per l'Italia di Simon Wiesenthal e dell'omonimo centro di documentazione, tra i suoi libri ricordiamo: "Le SS Italiane", "Le Brigate Nere","La Decima Mas","Il Partito Nazionale Fascista","Il Sacco d'Italia","Gli schiavi di Hitler".
 Instancabilmente, dal 1993 al 1996 ha contattato gli archivi tedeschi di Hoppegarthen, Posdam, Berlino, Friburgo, Hildesheim, Coblenza, Magonza, ha raccolto testimonianze dirette dei sopravvissuti, ha visitato i luoghi più significativi, teatro delle vicende in questione, ricostruendo nel libro omonimo i momenti e le fasi più inquietanti della storia degli "Schiavi di Hitler", per rendere giustizia a chi era stato dimenticato da tutti, a chi non aveva mai parlato "perché sentiva la vergogna di non essere stato aiutato" (sono le sue parole).
 Diceva sempre Ricciotti: "Hanno patito la fame tornando", "Lo stato non ha loro dato neanche una stretta di mano e, come capita sempre in Italia, hanno dovuto battersi per avere qualche riconoscimento".
Dal 1999 l'attività di ricerca sulla deportazione in Germania per lavoro nel 1943-45 è ripresa con l'aiuto del prof. Valter Merazzi e di un gruppo di volontari dell'Istituto"Pier Amato Perretta "di Como, di cui Lazzero è stato presidente fino al 2002, anno della sua morte, per sostenere la campagna di risarcimento dei danni ai deportati.
La grande mole del materiale raccolto, l'esigenza di catalogarlo e conservarlo a futura memoria, ha portato alla creazione del centro studi "Schiavi di Hitler" a Cernobbio, di cui si occupano attivamente Valter Merazzi e Maura Sala.
Gabriella Tranchida Lazzero
(Da: http://www.schiavidihitler.it/Pagine_mostre/Tranchida.htm)

Ricciotti Lazzero (Trieste, 1921-Como, 2002), laureato in Lingue e letteratura straniera a Torino, sottotenente di fanteria, durante la seconda guerra mondiale partecipa alla campagna di Russia e alla battaglia sul Don. Rientrato in Italia dopo la disfatta, nel settembre 1943 si unisce ai partigiani piemontesi dell'8ª divisione Valle dell'Orco e poi con la brigata Mario Costa appartenente all'8ª divisione alpina Gl. Dopo la liberazione si dedica al giornalismo, collabora con "la Stampa", "Corriere della sera", "la Gazzetta ticinese", "Epoca", "Storia illustrata", "Domenica del corriere" e dirige il mensile "La Bora" di Trieste. Ha svolto il ruolo di consigliere di Piero Savoretti per la realizzazione della fabbrica automobilistica di Togliattigrad e per quarant'anni ha collaborato con Simon Wiesenthal. Lazzero ha condotto numerosi studi sulle forze armate dell'Rsi, sul partito fascista e sulla deportazione e si è impegnato in difesa dei diritti dei lavoratori coatti nella Germania nazista. Dal 1988 al 2002 è stato presidente dell'Isr di Como. La documentazione, donata da Lazzero e dalla moglie Gabriella Tranchida dopo la scomparsa del titolare, è costituita da materiale prodotto da Ricciotti per i suoi studi e le sue pubblicazioni, dalla corrispondenza personale e professionale, dalla raccolta in fotocopia di estratti di giornali e pubblicazioni e da documenti personali. Il fondo è ordinato e consultabile.
Nota bibliografica: Lazzero Ricciotti, Italien: ein praktischer Fuhrer fur den reisenden. Uebersetzung von Mariani Romana und Franz Holzer. Buchillustration Egidio Bonfante, Novara, Istituto geografico De Agostini, 1951; Lazzero Ricciotti, Le SS italiane, Milano, Rizzoli, 1982;Lazzero Ricciotti, La decima Mas, Milano, Rizzoli, 1984; Lazzero Ricciotti, Lager: deportazione e sterminio nel Terzo Reich, con prefazione di Simon Wiesenthal, Brescia, Istituto storico della Resistenza bresciana, 1985; Lazzero Ricciotti, Il sacco d'Italia: razzie e stragi tedesche nella Repubblica di Salò, con prefazione di Simon Wiesenthal, Milano, Mondadori, 1994;Lazzero Ricciotti, Gli schiavi di Hitler: i deportati italiani in Germania nella seconda guerra mondiale, Milano, Mondadori, [1996]; Lazzero Ricciotti, La guerra sul confine: nazisti e repubblichini sul lago di Como. La resa dei tedeschi al valico di Chiasso, Como, Istituto di storia contemporanea Pier Amato Perretta, 2003; Lazzero Ricciotti, Le grandi avventure: storia delle esplorazioni geografiche, Milano, Domenica del corriere, sd.
(Da: ISC - Istituto di Storia Contemporanea "Pier Amato Perretta" - Via Brambilla 39, 22100 COMO - Tel/Fax 031.306970 - C.F. 80026860132 - © ISC - Istituto di Storia Contemporanea)





ROSSI. 2003. Luigi Rossi (a cura di) 1939-1945: schiavi di Hitler, lavoratori coatti e internati militari italiani in Renania e Vestfalia, Hagen – Torino 2003, con il patrocinio della Regione Piemonte [fa parte della mostra preparata nel 2002-2003, presentata anche in diverse località italiane - con il relativo quaderno: 52 pagine.


TAGLIASACCHI. 1999. Claudio Tagliasacchi, Prigionieri dimenticati : internati militari italiani nei campi di Hitler, Venezia, Marsilio, c1999.
ISBN: 8831772279
Classificazione: 940.547 243
Autore principale: TAGLIASACCHI, Claudio
Titolo: Prigionieri dimenticati : internati militari italiani nei campi di Hitler / Claudio Tagliasacchi
Editore: Venezia Marsilio c1999
Descrizione fisica: 163 p. : ill. ; 21 cm
Collana: Gli specchi della memoria
Soggetto: INTERNATI MILITARI ITALIANI - Germania - 1943-1945 - Memorie





TESTA. 1998. Pietro Testa, Wietzendorf, Roma Centro studi sulla deportazione e l'internamento, 1998.
Classificazione: 940.54 <14. ed.>
Autore principale: TESTA, Pietro
Titolo: Wietzendorf / Pietro Testa
Edizione: 3. ed.
Editore: Roma Centro studi sulla deportazione e l'internamento 1998
Descrizione fisica: 294 p., [1] carta di tav. : ill. ; 21 cm
Collana: Documenti e testimonianze
Soggetto: INTERNATI MILITARI ITALIANI - Germania - 1943-1945 - Memorie.




TUTELA BC. 1935. Protection of Artistic and Scientific Institutions and Historic Monuments (15 April 1935).
E, fra i siti web:
- http://www.dimenticatidistato.com/(a cura di Roberto Zamboni; si segnala in particolare per la vastità degli elenchi nominativi di: "...deportati, vessati e uccisi nei campi di concentramento nazisti..." (dall'Introduzione), corredati con ogni utile indicazione delle posizioni di individuazione località di sepoltura).
- http://www.schiavidihitler.it/ (se pur sito generalista sui molteplici aspetti della dominazione nazista, si segnala in particolare per la qualificata vastità degli apparati documentari e di Rassegna stampa).
(segue)


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