sabato 19 gennaio 2013

Emblema. Emblemi. Libro degli Emblemi. Cielo. Dove il Cielo va a finire.

Aνάβασις
Orpheus. Eurydike. Hermes

Hai scelto Eurydike Laggiù di rimanere.
Lì, ove il Vento ne va a Morire.

Con esso lì, dove il Cielo va a Finire. 
 

 
Aνάβασις



 
 Jusepe de Ribera detto lo Spagnoletto, n. Játiva 1591 - m. Napoli, 1652), San Gerolamo.




Emblema.
Emblemi. Libro degli Emblemi.

Cielo.

Naumachie. 
 
Hai scelto Eurydike Laggiù di rimanere.
Lì, ove il Vento ne va a Morire.
Con esso lì, dove il Cielo va a Finire.
 
A Notte Naumachìa senti rivolta.
Non farlo.


Polìa era sì in piedi; ed era bellissima.
Se pur poi Polifilo la guarda ... dissolversi...
così come io ad oggi dissolverti ti guardo.


Dolcissima nobile e fiera.

Non farlo.
Notte ha senso solo s'attesa del Giorno.


 
 

 Mia Martini - Dove il cielo va a finire (live 1992)
 
(https://www.youtube.com/watch?v=QkZ0skuJvhU – caricato su youtube da itatini)


 
 Bellezza ti si augura.
Di un giorno sereno, un giorno felice.
Alla Luce come al Sole.

E su antica colonna, tu su di essa riversa, Bellezza t'ammira:
esporre di te alla luce fulgente di Ra ogni tua parte.

Di quella luce nascente raccogli tutta di te vogliosa,
ogni forma di vita.

E la riversi su noi; facendone dono.
Grati ti siamo, o Figlia di Dea.

O Tu - o Dorata, sempre Cara agli Dei: Dalle Tenebre sàli.
Per te, per te soltanto: Risàli.


*** 
 
 
 
 Quali Colombe...


"Quali colombe dal disio chiamate /
con l'ali alzate e ferme al dolce nido /
vegnon per l'aere, dal voler portate;
cotali uscir de la schiera ov' è Dido, /
a noi venendo per l'aere maligno, /
sì forte fu l'affettüoso grido.

«O animal grazïoso e benigno /
che visitando vai per l'aere perso /
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l'universo, /
noi pregheremmo lui de la tua pace, /
poi c'hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar vi piace, /
noi udiremo e parleremo a voi, /
mentre che 'l vento, come fa, ci tace.
Siede la terra dove nata fui /
su la marina dove 'l Po discende / per aver pace co' seguaci sui.
 
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, /
prese costui de la bella persona /
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
 
Amor, ch'a nullo amato amar perdona, /
mi prese del costui piacer sì forte, /
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte. /
Caina attende chi a vita ci spense». /
 
Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand' io intesi quell' anime offense, /
china' il viso, e tanto il tenni basso, /
fin che 'l poeta mi disse:
«Che pense?».

Quando rispuosi, cominciai:
«Oh lasso, /
quanti dolci pensier, quanto disio /
menò costoro al doloroso passo!».
Poi mi rivolsi a loro e parla' io, /
e cominciai:
 
«Francesca, i tuoi martìri /
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri, /
a che e come concedette amore /
che conosceste i dubbiosi disiri?».
 
E quella a me:
«Nessun maggior dolore /
che ricordarsi del tempo felice /
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
Ma s'a conoscer la prima radice /
del nostro amor tu hai cotanto affetto, /
dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto /
di Lancialotto come amor lo strinse; /
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fïate li occhi ci sospinse /
quella lettura, e scolorocci il viso; /
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disïato riso /
esser basciato da cotanto amante, /
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante. /
 
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: /
quel giorno più non vi leggemmo avante».
 
Mentre che l'uno spirto questo disse, /
l'altro piangëa; sì che di pietade /
io venni men così com' io morisse. /
E caddi come corpo morto cade". //
 
 
 

 
 


 
TESTI
 
Paolo Settimio Secondo, monaco nel cenobio di Vivario, in Calabria, a Teodato, monaco nel monastero benedettino di San Paolo, a Roma (anno 600 d.C. circa), (in Mario Pomilio, Il Quinto Evangelio, Milano, Rusconi, 1975, pp. 54-7).



"Mi domandi quale sia ora lo stato del mio animo, ed io subito misuro l'insufficienza delle mie parole, questa sottile imperfezione per la quale quel che dico mi appare monco e povero al confronto di ciò che provo.

O forse avverto, inaspettatamente, il pudore delle parole.

Io che per l'addietro ne ho abusato talmente, come sai, io che anzi ho tanto chiesto alla bellezza della forma, come se una parola ben scelta e collocata o una frase ben ornata bastassero a designare una verità, sento insorgere ormai in me una specie d'intimo divieto e quasi la paura d'assecondare un vecchio vizio se appena m'accorgo di compiacermi d'una cadenza o di cercare, mentre scrivo, un termine più eletto."

Così, puoi figurartelo, mi diventa impossibile addirittura scrivere.
E spesso, ti confesso, mi scopro a domandarmi, con confusa riprovazione, se anche questo non sia un indizio della mia non ancora vinta presunzione di vecchio retore, questo pudore che insidia, o raffrena, l'abbondanza del cuore e il mio ormai stabile sentimento della verità: così stabile anzi, bada, così vigile ed esclusivo, che spesso mi domando se non sarebbe possibile arrivare ad esprimerlo con un'unica parola, ma una parola che fosse tutto, affermazione e invocazione, e slancio d'ardimento e bisogno d'annientamento, e certezza e orgoglio d'essere nella verità e trepida e umiliata implorazione di persistervi: una parola, voglio dire, in grado d'esprimere da sola, adunata in un suono, e fuori da ambiguità e sottili adombramenti..."

“(…) una parola, in altri termini, che sembri nata dal silenzio e sia capace di rinviare infiniti echi, come il silenzio. Ma anche questa, dirai tu, è presunzione di vecchio retore, questa mia non vinta ancora fiducia nella parola, la speranza che essa arrivi a designare l'ineffabile.
Hai ragione: vi scorgo anch'io un segno d'imperfezione.//

Consentimi tuttavia d'insistere, sia pure per un breve istante.

Ti rammenterai di com'ero io al tempo dei primi nostri incontri, allorché tu incominciasti a prenderti cura di me per convertirmi: perduto per tanti anni dietro i libri dei pagani, innamorato dei filosofi, ammiravo il loro linguaggio ed ero orgoglioso d'imitarlo, compiacendomi anch'io di quella sorta d'irresolutezza della parola nella quale mi pareva consistere l'essenza del loro stile."

"Ricordi certamente i miei scritti d'allora: moltiplicavo, sfaccettavo, iteravo i concetti, adunavo mille sensi intorno all'unico che volevo esprimere, non m'appagavo d'un'idea se non riuscivo a duplicarla né d'una verità se non riuscivo ad adombrarla.
Intendo adesso in che sbagliavo; non era una verità.
Era indifferente, in ogni caso, che io dicessi quella o un'altra.
È perciò che ora vorrei disporre d'un termine bastante a dire tutto, d'un suono, anzi, che arrivasse a esprimere il tutto.

La Parola, l'avrai intuito.
Ma era lì e l'ho trovata.
Stupito che fosse, in fondo, così semplice arrivarvi, rammaricato, riguardando indietro l'intero corso della mia vita, d'aver perduto tanti anni prima di riuscire a identificarla.
(...) la vedresti scritta per ogni parte, lungo i muri della mia cella e ovunque poso quotidianamente gli occhi, udresti quanto spesso la ripeto ad alta voce." 



Mia Martini, Stringi di più.
(fabrimanca - 15 marzo 2011)

 

 
 
LOSFELD