APPARATI
1. Metka Zupancic, Orphée et Eurydice: Mytes en Mutation.
(In: AA.VV., Orphée et Eurydice: mythes en mutation, sous la direction de Metka Zupancic).
(Traduzione da testo francese a cura di GP)
Tra i più significativi paradigmi del pensiero occidentale che si manifesta attraverso la letteratura e più in generale attraverso l'arte, il mito di Orfeo e l'orfismo come un movimento di pensiero o come ancoraggio nell'area mitica greca sembra molto importante per mantenere un posto abbastanza privilegiato.
Leggenda o religione, movimento, corrente esoterica, il mito di magnetizzazione centrale di molte figure che, a prima vista, rientrerebbero lontano da questa Vox e la "glorificazione della musica" (Sorel, 20), questa zona è forse una metafora gigantesca per indicare ciò che accade per l'umanità; ciò che si affaccia da un primo risveglio della coscienza, nei tempi antichi, vale a dire il suo scopo, la morte come l'ultima sfida ( Bucher).
Molti studiosi (Eliade, Durand, ecc.) insistono sulla demistificazione demistificante e progressiva della sfera pubblica e soprattutto le arti, nel mondo occidentale. Allo stesso tempo, vedono l'arte come ricettacolo e curatrice dei valori spirituali, in un tentativo ultimo del pericolo di una di loro possibile "profanazione" quale ne sia e ne possa essere.
Se l'arte e la letteratura in particolare, hanno così poco conservato la dimensione storica delle proprie [originarie] prestazioni, è proprio a contatto con le opere contemporanee che è possibile prevedere i futuri movimenti nella coscienza occidentale.
Qui entra in gioco l'orfismo: nessun altro Orfeo può essere considerato quale esso così tanto ne fu, quale Figura Mitica, dall'espressione artistica letteraria.
In realtà, molti approcci, compreso quello di Elizabeth Sewell, pur discutendo di letteratura, si risolvono in quello di parlare del mito (se ne amplia ove allora se ne ricorre all'etimologia del mythos come racconto, come modello, come vettore di una qualsiasi scrittura creativa).
Parlare del mito, in letteratura, è quindi parlare di Orfeo ... Ma, allora, dovremmo dire che ce ne rimane di associarsi con i miti?
In alternativa, creare un linguaggio (letterario, pittorico, musicale) significa-crearlo nel regno di Orfeo? Alcuni dei nostri testi qui ebbene aderiscono senza esitazioni su questa prospettiva: il fatto di dire, come di considerare, dell'orfismo e nell'orfismo mitemi fondamentale, vale a dire: katabasis, anabasi e sparagmos (Discesa, Salita, Ritorno), sembra di per sé una garanzia sufficiente per l'iscrizione nel campo della orfismo (ciò che viene qui suggerito Lewis e Gargano). Per quest'ultimo sarebbe stato un nome "semplice", tra gli altri, per dare ai grandi movimenti dell'anima i processi simbolici o che possono essere simbolizzati (Hyvrard).
Se abbiamo iniziato questo progetto, è stato sperando di fornire alcune risposte, o variazioni di risposte a queste domande: dovremmo dire, alla fine, le risposte sono altrettanto probabili che quella, fondamentale, come ci si avvicina insieme in questo problema?
In una percezione ciclica della storia - tipica del mito, diremo - che mette in luce Mircea Eliade, una sorta di equilibrio è stabilito attraverso la congiunzione di varie fasi di distruzione seguiti da costruzione. Se osserviamo da vicino il mito di Orfeo e delle sue manifestazioni, ci rendiamo conto che questi sono i movimenti tipici di questo paradigma. L'Arte, attraverso l'orfismo, può essere percepita come armonia, come la possibilità di superare il contrario, ma, anche, come la discesa agli Inferi - qualunque sia la sua natura (metaforica, allegorica, sociale, psicologica, ecc. ), o come sparagmos - lo strappo, in tutte le sue varianti; che fornisce il materiale da sfruttare.
Queste fasi, questi momenti nello e dell'orfismo, anche se è possibile percepire nella loro successione temporale, si verificano più spesso in combinazione, si possono osservare contemporaneamente.
Se, per Ihab Hassan, la letteratura contemporanea, da lui posta nel postmodernismo, è fortemente segnata dalla lacerazione, la natura è esplosa nelle opere del nostro tempo, essa non ha, tuttavia, detto "tutto" sul loro funzionamento. La critica del mito ha certamente imparato a vedere fenomeni nel loro movimento (Durand, strutture ...), nella loro pluralità: un processo non manca mai di comparire in una creazione del pensiero, senza il suo opposto, senza che il suo partito "ombra" (con un eroe e pastore agnus, redentore e vittima); e abbiamo imparato a leggere (anche a Durand) che nel "Piano" appare separata dal suo opposto.
Una percezione binaria, in orfismo e miti in generale, è spesso combinata con una visione tripartita. Arte come incontro fondamentale in primo luogo, quello con Amore e Morte, si genera un triangolo possibile, Arte / Amore / Morte (Charles Segal).
Ma ancora, se guardiamo l'arte come un sistema di rapporti, come ad esempio l'interazione di diverse realtà (cinque) "Lingue" (orfica, secondo Elizabeth Sewell), dove la letteratura è spesso coinvolta come l'unificatore dei diversi modi di espressione , orfismo come un particolare modo di pensare porterà ad altri schemi mentali, ebbene tutto ciò cerca altri livelli di comunicazione, del linguaggio e della creatività in generale.
Ma ancora, troviamo che nell' "inizialmente", nell' "origine" (concetti che mostrano in sé il desiderio - leggendario - di cogliere, di appropriarsi dei segreti della nostra esistenza) s'appalesa pur sempre un Eroe, ma sempre in combinazione con un sistema di caratteri, mitemi, e sempre con una sua genealogia che offre diversi gateway multipli, molti percorsi da seguire; traslato nei tempi, questi "métamythes", di forse un orfismo originale, se pur moltiplicato in circostanze pitagorico, neoplatonica, alchemica ... (Beckett) e anche narcisistica (Strauss).
Una serie di avventure, un certo numero di leggende, presentano ben al di là della piega greco-latina, un curriculum ove - probabilmente senza nominarli - i Greci appaiono come i fondatori di questa ricerca di mitemi; sempre contraddistinta (secondo Durand) da nostalgia - i Nostos, il rendimento, e algia, dolore. Parlo del desiderio di raggiungere l'altro, quelli di noi più vicini al nucleo, il segreto della nostra esistenza, desiderosa di toccare quella che, al di là dell'immagine che proiettiamo nel nostro ambiente, è e ne sia in grado di fornire la rivelazione di chi siamo veramente. È per questo motivo che Orfeo, per lungo tempo rappresentato come "agamos" (Brunel, 1129), ha bisogno di una Eurydice, di questa rappresentazione di immagine, (ancora leggendaria!) di un'Altra che non ha ancora scelto senza perdere o senza perdersi, o, ed affascinantemente ancora, in sua esitazione tra fedeltà ad uno stato e la scelta di una nuova forma di comunicazione (che non è dominio, nè dimenticando, ma, nel tutto, trasformando a seconda delle aspettative).
Se questi sono i fondamenti del pensiero ancorati alla mitica figura di Orfeo, si osservano, nel contesto delle nostre osservazioni, i cambiamenti così come varie forme di continuità in questo settore apportano materia nutriente al pensiero del Contemporaneo.
Una prima osservazione riguarda il ruolo inevitabile delle donne; che è cambiato radicalmente - e giustamente - rispetto al Mito. Un rovesciamento, una inversione sembra verificarsi con la quale Eurydice diventa molto più attiva, molto meno dipendente che nel mito tradizionale.
Rispetto ad una tradizione di pura 'passività', Eurydice sceglie. E sceglie in prima persona; e cosciente degli aspetti certo non superficiali della propria scelta.
Secondo i teorici del movimento americano "mitologia revisionista» (come evidenziato tra gli altri scritti di Barbara Walker), questo sarebbe un processo tipico e necessario, segnando una tappa significativa nella storia della nostra civiltà, con il rifiuto dei valori patriarcali e la spinta di una coscienza matriarcale, matrilineare, se non di più (su questo argomento cfr. Carolyne Larrington, in The Companion Feminist la mitologia).
Questo forse non è sufficiente per spiegare i cambiamenti che hanno interessato le arti - e soprattutto il fatto che nella maggior parte degli artisti contemporanei è ancora la figura di Eurydike che sembra influenzare in modo quasi automatico, senza esitazione, con la sua richiesta di emergere, ad essere espressa nella sua stessa parola.
Tra le figure mitiche dell'antichità, dovremmo credere, Eurydice è unica nella sua capacità di trattare con Orfeo; di provocazione, in qualche modo; quello che per tanto tempo aveva bisogno di lei per le (sue) bellissime creazioni, ma che non è stato capace di tornare a sottrarla da un Fato a condizioni imposte ritenute a lui impossibili.
Ha preferito creare, nell'isolamento necessario, la separazione quindi lo strappo.
Ma tanto Orfeo e la sua incapacità di esistere altrimenti, quanto la nuova Eurydice che sfugge alla stessa operazione in quanto accusa Orfeo, quello con cui da millenni è stata relegata al silenzio, s'oppongono ad una lettura meramente tradizionale: Lei, nel decidere sul suo rimbalzo da sola e proprio da sola nella scena del mondo; Lui: nell'accettare che Eurydice lontana da Orfeo in qualche modo sia in grado di essere e di mmanifestare un "Chi è" all'esterno dello stereotipo dell'immagine nei millenni fatto di Essa.
Rispetto alla tradizione plurimillennaria è quindi un rovesciamento totale: è Euridice la vera protagonista di scena e che sovrasta la scena.
Allo stesso tempo, ha affermato lo Sguardo con cui Vede (Jorie Graham, letta da Morris). Paradossalmente, mentre accusandolo da un lato di averla relegato l'altro mondo, si aspetta sia essa infallibile - e anche responsabile per il loro destino. Questo è probabilmente molto vicino alla paura di Eurydike che ha indotto i poeti degli inizi di questo secolo (Kushner), o gli arcaici a determinare la tradizione di un Orfeo che si ritira prima della scelta di Eurydice di determinarsi in base ai propri impulsi.
Il panorama è composito: Orfeo, per Andree Christensen (Bouwer) è colui che, da un ritorno di forze, sarà il carnefice in espiazione; - per Amelie Nothomb (Helm), Eurydice inedita, lasciando il suo Orpheus permette al contempo ne sia mutilato. Oppure una Eurydice che, attraverso gli occhi di Orfeo (Watthee-Delmotte, il Bauchau), ne divenne la moglie di Orfeo nella separazione, e quindi nella rinascita proprio nel campo della creatività. E', questa, una lettura rovescia, rispetto alla prospettiva del di già indicato rovesciamento: le "condizioni impossibili" a permanere nella richiesta di Euridice paralizzavano Orfeo, bloccandolo in ogni proprio processo ideativo e creativo. Vitali, per lui. Compagna di Orfeo sarebbe ed è - nel Mito - un dissolversi delle prefate "condizioni impossibili". Ma tanto è in assoluto contrasto con la traditio: che assegna al loro, di Destino, il peso del predeterminato superiore stesso al puro destino: Ananke. Il Mito presenta già da subito caratteri che non poteva, non poteva essere diverso. Orfeo, incarnazione della creatività, non avrebbe - nè lo poteva - accettato di dissolversi nelle alluse "condizioni impossibili".
Ma continuiamo: Oppure, come in Anna de Noailles (Perry), una Eurydice che si rifiuta di alzarsi, ma ritiene che, sostituendosi ad Ofeo, è la forza redentrice della parola (femminile) è Poesia (nel senso più ampio), lasciando il posto all'istanza di una riunione di perpetua nostalgia.
Un sacco di risentimento, un sacco di domande - poi - si mette finalmente nel soggetto Eurydice in Sylvie Germain (Bacholle) - Molte paure, dubbi tanti, ma il viaggio continua.
Cosa rappresentano queste versioni, queste ramificazioni, quelle opportunità che possono rivelarsi ancora più probabili, e forse sempre più probanti, maggiormente più estendiamo l'analisi?
Forse dovremmo semplicemente capire che il mito è ben lungi dall'essere uno - che questa proliferazione è il segno distintivo di una vita sociale indipendente nel processo mitico. Forse.
Osservando la logica intrinseca del mito sarebbe opportuno anche accettare l'ovvio, cioè che non è il nostro tempo a fare alcunchè su tale versante di particolarmente nuovo: ciò che appare come la quarta fase nella storia dell'orfismo, la "costruzione femminile", a causa della lacerazione da e di Orfeo, è già incluso nel mito tradizionale.
E anche se questi poeti, ciascuno a suo modo, prestano corpo e anima e tutta la creatività, in modo che la voce si alzi di Eurydike, non dovremmo vedere - anche - quale responsabile nel cammino del post mortem di Orfeo, una chiamata per la collaborazione, creazione, non dalla mancanza da separazione, ma dalla presenza di coesistenza? - Credo al riguardo sia straordinario, tra i testi analizzati in questo volume, la poesia di Paul Chamberland (analizzata dal Milat), che rende questa chiamata. E se così fosse, si potrebbe parlare di una quinta fase è cominciata già si profila al nostro orizzonte artistico?
Se il mito è vivo, è "sano", si manifesta attraverso la voce di Orfeo ed Eurydice quale necessariamente multidisciplinare, polifonico. Esso mostra questo viaggio nel labirinto, tra luce e ombra, tra la vita e la luce del sole fantasma, tra l'assenza del corpo e contribuendo a riconquistarlo, tra maschio e l'istinto primordiale e violento; tra Orfeo ed Eurydice eterea; tra Orfeo ed Eurydice che lentamente si trasforma; fra Euridice infine e sè stessa: protagonista infine unica ed assoluta.
E' un viaggio che dà lo scopo di stabilire un ponte tra la necessità di essere di ed in sè stessi e di essere al contempo di questo mondo.
Orfeo è vero scompare: "La sua morte ha lasciato. Si trascina il cadavere ai suoi piedi che strisciano con la negazione e la paura, vane speranze, ripide illusioni perdute. "(Francoise Charron, lxix) Music".
OF MYTH AND MEMORY: READING MICHÈLE SARDE'S HISTOIRE D'EURYDICE PENDANT LA REMONTÉE
Patrice J. Proulx *
Sur Eurydice pendant la remontée, le mythe se tait.
Comme elle. C’est sur le silence que se retourne la voix d’Orphée et sur le vide son regard, et ne rencontre que le silence. Ou peut-être, plutôt que le vide, le regard d’Orphée découvre-t-il ce qu’il ne peut pas voir. (1)
Singing of my desire to live.
Oh, if you knew what you do not know
I could be in the world remembering this.
Linda Gregg, "Eurydice"
Many contemporary women writers have chosen to challenge well-established myth structures, by engaging in what Adrienne Rich has termed "re-vision — the act of looking back, of seeing with fresh eyes, of entering an old text from a new critical direction..." (35). These writers place themselves "in the world — remembering" through an elaboration of mythic constructs which privilege female agency. Tilde Sankovitch cogently elucidates the transgressive implications and the generative function of the feminist revisionary mythopoetic enterprise: "The mythopoeic process is [...] a process of recovery and re-formation, as the ‘old’ myths are spirited away from their dead, oppressive contexts, and rejuvenated by reinterpretation, rereading, rewriting, all performed in newly found female contexts." (146)
In Histoire d’Eurydice pendant la remontée, Michèle Sarde rewrites the myth of Orpheus and Eurydice in order to articulate the recovery of a female story. The novel’s title frames the author’s own revisionist mythmaking strategy, manifesting her intent to inscribe the unwritten story of Eurydice "pendant la remontée," thus creating a space for the "regard d’Eurydice." Sarde’s protagonist, a character who embodies the mythic figure relegated to the underworld by the "regard d’Orphée,"(2) undertakes a perilous journey to the past in an attempt to resituate herself and come to terms with her double identity as Sophie Lambert-Sarah Solal. In this article, I propose to examine issues of myth and memory in relation to the question of woman’s emergence as subject, as the protagonist endeavors to re-envision her past, to return to a time/space from which she will be able to reconstitute her fragmented identity.
Both structurally and thematically, Sarde’s text reflects the desire to revitalize the myth of Orpheus and Eurydice; the text counters traditional narrative depictions of Eurydice as silent and lacking agency through its privileging of female voices and memories. Her protagonist self-consciously situates herself in relation to the myth by choosing to write a dissertation entitled "Fonction et symbolique d’Eurydice dans les arts lyriques." Her thesis director’s hostile reaction to her topic bears witness to the potential resistance to woman-centered reinterpretations: "Mais, madame, pardon, mademoiselle, ne laissez pas votre féminisme impénitent jouer à réécrire les mythes." (13).
The act of re-membering is critical to the protagonist’s project of conjuring up Eurydice, as her own past will serve as a springboard for an alternative interpretation of the mythic figure’s story — a restructuring she will explore through her written remarks. This commentary is to be found in the "Notes de Sophie" sections, placed at the end of each chapter by a narrator who claims to have interviewed Sophie and to be transcribing her story after the protagonist’s disappearance. In the "notes," observations illu-minating the protagonist’s quest for Eurydice’s "truth" intersect with Sophie’s reflections on her own need to renegotiate the labyrinth of her past in a questioning of origins.(3) Her emphasis on "la difficulté qu’il y aura à travailler sans sources" (13) manifests her anxiety, and points to her understanding of the ways in which the search for Eurydice converges with her own construction of self.
In order to give voice to the silenced Eurydice, and to recontextualize her own story, Sophie must return to a buried past and history in which she could potentially "lose herself" — her journey to remembering mimics, at least in part, the structure of the Orphic quest, beginning with the "descente aux Enfers" [the katábasis].(4) Her descent is precipitated by the sudden appearance of ex-fiancé Éric Tosca, a man whose 20-year quest for the "lost" Sophie leads him to identify with the mythic figure of Orpheus.(5)
The protagonist hesitates at first, but eventually agrees to accompany Éric on a journey to their respective and collective pasts. They travel to Rome, where they will spend a period of three days evoking their memories among the archaeological traces of the ancient city. The protagonist hopes to illuminate Éric’s incomplete vision of their past, while concomitantly filling in the gaps in her own recollection of events. Rather than believing in the existence of an immutable past unmediated by present-day perceptions, she recognizes the revisionist possibilities of memory.
She is thus aware of the way in which Éric’s "truth" could undermine her own reconstitution of events; his motives in self-consciously using the myth are, from the beginning, in conflict with her own, and she suspects that his desire to see her again relates to his own narcissistic proprietary needs: "Ainsi ils sont tous les mêmes [...] La marque du maître sur les bonnes pâtes à pétrir. Le regard qui donne la vie ou l’interdit. Ils ne connaissent donc que cela!" (26) She further develops her observations on the male gaze in the "notes," in which she questions the validity of previous readings of the myth which served to perpetuate the power of the "regard d’Orphée" in placing Eurydice under erasure:
Savoir si le regard d’Orphée se retourne sur l’ombre d’Eurydice ou si c’est le regard d’Orphée qui fait d’Eurydice une ombre, qu’importe! Dans tous les cas de figure, Orphée joue avec la vérité et avec la vie d’Eurydice, et Eurydice est impuissante à faire valoir ses droits. [...] Un simple regard la renvoie au néant d’où elle vient. (41)
In traditional representations of male poetic mastery in the Orpheus myth, Eurydice is always marginalized, reduced to serving as source of inspiration for Orpheus’s poetic endeavors. Diane Purkiss, in her commentary on such conventional delineations, posits that "Male poetry is a search for self-replication which ends not in the acquisition of knowledge of the underworld, but in loss caused by the male desire to capture knowledge with a look" (449). The figure of Eurydice is made absence, rather than presence, by Orpheus’s desire. The re-vision of the "regard" in Sarde’s text opens up a space for female desire and creation.
To assert her autonomous presence when confronted once more with the "regard d’Orphée," the protagonist assumes a contestatory stance, responding to his claims on her former self by negating her ersatz identity as the blond, Catholic girl he had met during a pilgrimage to Chartres in 1957: "Je t’interdis de m’appeler Sophie. Je ne suis pas Sophie. Mon nom, c’est Sarah, Sarah Solal. Tu as aimé une usurpatrice, Éric Tosca. Tu as aimé une ombre. La fille des cendres." (196) In effect, the protagonist has rejected the name Sophie Lambert, bestowed upon her by adoptive parents, and has assumed the name Sarah Solal,(6) the one chosen for her by Abraham and Thamar, her birth parents. She discovered shortly before first meeting Éric that her entire family, with the exception of one great-aunt, had been deported and had perished in what is characterized in the text as the "désastre." A note to the reader by the narrator illuminates the reason behind her use of the "désastre(7)" to signify the events which befell Sophie: "En découvrant assez tard dans le récit le secret de ses origines, j’ai reproduit l’incapacité de mon personnage à me ‘le’ dire, aussi bien qu’à ‘le’ dire à l’homme qu’elle aimait. [...] La minuscule ne cherche pas à banaliser le désastre historique, mais à lui restituer sa dimension personnelle." (14)
This stunning revelation of unimagined origins forced Sophie to confront the precarious nature of the self and to come to terms with her Jewishness. The truth of her identity, which appears to
conflate with the mythic figure of Eurydice, is trapped in the netherworld, unable to surface: "Une vérité qui ne sait plus par où remonter. Ma vérité. Mon miroir. Moi-même qui m’épelle entre deux noms séparés d’un trait d’union: Sophie-Sarah." (289) She initially repudiates the horror of the "désastre" figured in this hybrid identity, succumbing to a desire to resituate herself through an emphasis on corporeal presence which results in a sort of "amnesia". She invents a "corps sans mémoire" (16), a body "qui n’a pas de nom" (252), as a mechanism for escaping the pain of cumbersome memories: "[...] car elle croyait que la route de l’exil se prend avec un bagage léger, une mémoire vierge [...]." (19)
The protagonist ultimately acknowledges that this self-imposed loss of memory only leads to a further alienation which threatens her very existence.(8) Although the process and the potential
consequences of this journey to remembering are fraught with danger for the protagonist, she nevertheless recognizes that a reconceptualization of the past will be crucial in effecting a "remontée."
Sophie must reclaim painful memories — through her situating of self in relation to the mythic figure of Eurydice — before being able to progress in her pursuit of a more integrated self. In Location of Culture, Homi Bhabha alludes to the transformative properties of memory in reformulating a shattered self: "Remembering is never a quiet act of introspection or retrospection. It is a painful remembering, a putting together of the dismembered past to make sense of the trauma of the present." (63) In this sense, and in relation to the Orphic paradigm, memory appears to act as an antisparágmos — re-membering leads to a fuller integration of past and present selves.
Sophie realizes it is necessary to exhume and to articulate fragments of her buried past in order to heal her "mémoire malade" and to effect a rebirth. She must risk looking back at herself and her origins — as a restorative measure: "[...] il faudra creuser un peu plus dans la mémoire malade. Il faudra bien, couche après couche, terrasser jusqu’au désastre." (96) In a revisionist gesture, she will turn back and see her past "with fresh eyes" (Rich), uncovering forgotten episodes which shed new light on her present situation. Such an excavation of the past often informs a feminist project which, according to Gayle Greene, "addresses memory as a means to liberation" (291). Archaeological tropes serve as a framing device in the protagonists’ discussions of the multi-layered past, suggesting the palimpsestic nature of memory. In this "working through" of the past, Sophie thinks of her memories as "fragmentaires [...] par rapport aux souvenirs fondements d’Éric Tosca" (241).
An image which particularly intrigues Sophie and which emblematizes her need to refigure her past is that of the "petrified remains" — the "moulages des corps asphyxiés et étouffés" (292) — of those trying to escape the volcanic eruption which destroyed Pompeii centuries earlier. As she and Éric wander through the Jewish ghetto in Rome, she visualizes this haunting preservation of Pompeii’s past, while reflecting on the untraceable absence of her own family:
De ceux-là du moins la présence et la disparition ont déposé à même la terre la mémoire, dont la pétrification restitue au moulage leur forme et dont le creux invisible fait encore résonner l’absence. (191)
She continues to reflect upon the diverse implications of the "moulage," an interpretive structure which could lend itself to a reformulation of self. Éric’s description of the casting process calls attention to its emancipatory potential: "Il dit qu’on obtient ces moulages en coulant du plâtre dans les espaces créés par la décomposition des corps; et elle s’émeut dans ce va-et-vient de l’objet, que le vide puisse à son tour donner une forme au plein." (292) Sophie, who once considered herself "la fiancée du vide" (139), will give form to her own memories, thereby foregrounding her "remontée," through the strategic (re)telling of her story to the one most directly implicated in her disappearance. The myth of Orpheus and Eurydice serves as a "moulage" in the sense that it structures her quest for self.
Nevertheless, in order to effect the "remontée" denied Eurydice by the "regard d’Orphée," the protagonist must break free from the mythic constraints linking her to readings of Eurydice which condemn her to remain in the underworld, unseen and unseeing, an "absence infinie.(9)" She does experience a symbolic rebirth through the telling of her story. Unlike the mythic figure of Eurydice, she refuses to remain the voiceless object of the gaze: "Elle voudrait qu’il entende. Il voudrait qu’elle se taise. Alors elle va jouer de la prudence. Calculer la stratégie. Cultiver la parenthèse. Allonger le dos sur l’ellipse [...] Savoir rester en coulisse. Mais pour mieux préparer sa rentrée." (283-284)
The protagonist’s appropriation of this discursive space is not unproblematic, however, as her recollections of the past conflict dramatically with those of her ex-fiancé. Her "bringing to light" of the "désastre" causes her to examine the significance of the divergent nature of their memories(10) "En racontant ses propres histoires du passé, en choisissant ses souvenirs, elle sait qu’elle fait ombre sur ceux d’Éric Tosca, qu’elle décolore en quelques heures son bel hier d’il y a 20 ans." (241) He insists that she must have left him upon discovery that his father, the opera singer Christian Hermesse,(11) had been executed for collaborating with the Nazis. She endeavors to explain the true reason for the break-up and her subsequent disappearance — his fascist beliefs and the "deathblow" inscribed in his attempt to defend himself: "Mais à Auschwitz on n’a exterminé que des poux [...]." (276)
Éric refuses to hear her truth, professing to have "no memory" of having spoken those words. In effect, he searches for "mastery" of their past, attempting to displace her story with his own. His denial of her double identity essays to deny her access to the "remontée": "Cette femme-là il ne la connaît pas, et il ne veut pas la connaître. [...] Qu’elle reste là d’où elle vient! Derrière Sophie. Sous Sophie.
Comme autrefois." (287) As in previous episodes, Éric’s reactions have been foregrounded in the text, mirrored in Sophie’s reflections on Orphée: "La vérité, il ne veut pas la voir. Tout maître qu’il fut de la vie et de la mort, le poète ne sut pas accompagner une femme jusqu’à la lumière. Il ne sut que s’aveugler par deux fois. Et la perdre." (273)
Ultimately, Éric’s blindness is responsible for his own untimely end. Following further revelations from the protagonist, he flees, leaving Sophie to finish the journey on her own. His fate is an appropriately ambiguous one in a text exploring disparate interpretations of a shared history. Newspaper articles report that a man — variously identified as a tourist, an escapee from an asylum, a CIA agent, and a former singer — ended up in the midst of a demonstration by "Il Colletivo delle Donne," where he suffered various indignities — dismemberment is implied — and perhaps death, at the hand of the "manifestants." Sophie-Sarah disappears once more, this time of her own volition.
In Histoire d’Eurydice pendant la remontée, the protagonist succeeds in resituating herself through reflections on myth and memory which converge with a personal and collective history. In the end, the act of telling her story leads to her redemption. Sarde’s use of the myth of Orpheus and Eurydice provides an alternative framing for a re-visioning of woman’s status in myth, and lends structure to the protagonist’s quest for self. Jane Caputi illustrates the significance of contemporary revisionist mythmaking strategies which, like Sarde’s, result in the articulation of a female story: "One of the most significant developments to emerge out of the contemporary feminist movement is the quest [...] to refigure the female self from a gynocentric perspective, to discover, revitalize and create a female oral and visual mythic tradition and use it, ultimately, to change the world." (425) In recounting her past, Sophie-Sarah-Eurydice realizes the "remontée" which had been denied her by the silencing implicit in the "regard d’Orphée." The text’s final note reinforces Caputi’s emphasis on the female revisionary quest, opening up a space for further re-writings of the myth: "Le mythe ne disait rien de l’itinéraire d’Eurydice après le retournement d’Orphée, après la mort d’Orphée, pas même, si cheminant seule sur un chemin de traverse, elle n’aura pas fini par atteindre le bout de laremontée." (326)
Works Cited
Bhabha, Homi K. Location of Culture. London and New York: Routledge, 1994.
Blanchot, Maurice. L’écriture du désastre. Paris: Gallimard, 1980.
L’entretien infini. Paris: Gallimard, 1969.
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Caputi, Jane. "On Psychic Activism: Feminist Mythmaking." The Feminist Companion to Mythology. Carolyne Larrington (ed.). London: Pandora Press, 1992.
Greene, Gayle. "Feminist Fiction and the Uses of Memory." Signs 16.2 (1991): 290-321.
Gregg, Linda. "Eurydice." Too Bright to See. 1981. Barry Goldensohn. "Euridice Looks Back." The American Poetry Review 23.6 (1994): 43-53. Online. Expanded Academic ASAP. December,
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Rich, Adrienne. On Lies, Secrets, and Silence: Selected Prose 1966-1978. New York and London: W.W. Norton & Company, 1979.
Sankovitch, Tilde A. French Women Writers and the Book: Myths of Access and Desire. Syracuse: Syracuse University Press, 1988.
Sarde, Michèle. Histoire d’Eurydice pendant la remontée. Paris: Seuil, 1991.
Strauss, Walter A. "Orphée déchu de la grâce?" Mythes dans la littérature contemporaine d’expression française. Metka Zupancic (dir.) Ottawa: Nordir, 1994. 30-41.
(*) Patrice J. Proulx is a professor of French in the University of Nebraska at Omaha. This article is a revision of author’s paper presented at the session "Le mythe d’Eurydice dans les textes contemporains de femmes" at the 1996 XXth Century French Studies Colloquium.
(1) Michèle Sarde, Histoire d’Eurydice pendant la remontée (157). All quotations will be taken from the edition listed in the "Works Cited" section, and indicated by page number in the text.
(2) See Maurice Blanchot’s essay, "Le regard d’Orphée," for an interpretation of this term based on the premise that poetic creativity is male — the "regard d’Eurydice" does not exist in this vision of the artist. Orphée holds the power of life and death over Eurydice, as manifested in this quote from Blanchot’s L’entretien infini: "[...] lorsque Orphée se retourne, cessant de parler pour voir, son regard se révèle être la violence qui porte la mort, l’atteinte effroyable." (86)
(3) In The Past is a Foreign Country, David Lowenthal affirms the primacy of memory in sustaining identity: "Self-continuity depends wholly on memory; recalling past experiences links us with our earlier selves." (197)
(4) Walter Strauss, in "Orphée déchu de la grâce?", outlines the three principal moments of this quest, namely, the katábasis (descent), the anábasis (ascension), and the sparágmos (dismemberment).
(5) Éric also sets himself up as Orphic hero through his affinity for music and his interest in alchemy. As Liedeke Plate points out, he "reconstructs their story in light of the myth by emphasizing the mythical figure’s heroic role in the Argonautica’s quest for the Golden Fleece and his status as the first alchemist." (94)
(6) The surname Solal is connected to the solar myth as embodied by Apollo. Sarah, in (re)claiming this name, manifests her desire to seek out the truth — to cast light — on her origins.
(7) The use of this term also evokes Blanchot’s L’écriture du désastre.
(8) As Lourie, Stanton and Vicinus observe in their introduction to a special volume of Michigan Quarterly on women and memory, "To be bereft of memory is not only to lack knowledge, but also to retain nothing: to lose one’s memory is to lose oneself" (2).
(9) Blanchot, "Le regard d’Orphée." (227)
(10) Gayle Greene elaborates on the protean nature of memory: "Memory revises, reorders, refigures, resignifies; it includes or omits, embellishes or represses, decorates or drips, according to imperatives of its own." (294)
(11) Éric had taken the name of his mother in order to avoid being identified through the "nom du père." The surname of Éric’s father, a feminization of Hermès, links him in another way to the Orphic myth. Later, when Éric is a member of the OAS, his "nom de guerre," bestowed on him by fellow soldiers, will be Hermès.
(Da: http://www.unites.uqam.ca/religiologiques/index.html : RELIGIOLOGIQUES, 15 (printemps 1997) Orphée et Eurydice: mythes en mutation - si ringrazia)
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1. Metka Zupancic, Orphée et Eurydice: Mytes en Mutation.
(In: AA.VV., Orphée et Eurydice: mythes en mutation, sous la direction de Metka Zupancic).
(Traduzione da testo francese a cura di GP)
Tra i più significativi paradigmi del pensiero occidentale che si manifesta attraverso la letteratura e più in generale attraverso l'arte, il mito di Orfeo e l'orfismo come un movimento di pensiero o come ancoraggio nell'area mitica greca sembra molto importante per mantenere un posto abbastanza privilegiato.
Leggenda o religione, movimento, corrente esoterica, il mito di magnetizzazione centrale di molte figure che, a prima vista, rientrerebbero lontano da questa Vox e la "glorificazione della musica" (Sorel, 20), questa zona è forse una metafora gigantesca per indicare ciò che accade per l'umanità; ciò che si affaccia da un primo risveglio della coscienza, nei tempi antichi, vale a dire il suo scopo, la morte come l'ultima sfida ( Bucher).
Molti studiosi (Eliade, Durand, ecc.) insistono sulla demistificazione demistificante e progressiva della sfera pubblica e soprattutto le arti, nel mondo occidentale. Allo stesso tempo, vedono l'arte come ricettacolo e curatrice dei valori spirituali, in un tentativo ultimo del pericolo di una di loro possibile "profanazione" quale ne sia e ne possa essere.
Se l'arte e la letteratura in particolare, hanno così poco conservato la dimensione storica delle proprie [originarie] prestazioni, è proprio a contatto con le opere contemporanee che è possibile prevedere i futuri movimenti nella coscienza occidentale.
Qui entra in gioco l'orfismo: nessun altro Orfeo può essere considerato quale esso così tanto ne fu, quale Figura Mitica, dall'espressione artistica letteraria.
In realtà, molti approcci, compreso quello di Elizabeth Sewell, pur discutendo di letteratura, si risolvono in quello di parlare del mito (se ne amplia ove allora se ne ricorre all'etimologia del mythos come racconto, come modello, come vettore di una qualsiasi scrittura creativa).
In realtà, molti approcci, compreso quello di Elizabeth Sewell, pur discutendo di letteratura, si risolvono in quello di parlare del mito (se ne amplia ove allora se ne ricorre all'etimologia del mythos come racconto, come modello, come vettore di una qualsiasi scrittura creativa).
Parlare del mito, in letteratura, è quindi parlare di Orfeo ... Ma, allora, dovremmo dire che ce ne rimane di associarsi con i miti?
In alternativa, creare un linguaggio (letterario, pittorico, musicale) significa-crearlo nel regno di Orfeo? Alcuni dei nostri testi qui ebbene aderiscono senza esitazioni su questa prospettiva: il fatto di dire, come di considerare, dell'orfismo e nell'orfismo mitemi fondamentale, vale a dire: katabasis, anabasi e sparagmos (Discesa, Salita, Ritorno), sembra di per sé una garanzia sufficiente per l'iscrizione nel campo della orfismo (ciò che viene qui suggerito Lewis e Gargano). Per quest'ultimo sarebbe stato un nome "semplice", tra gli altri, per dare ai grandi movimenti dell'anima i processi simbolici o che possono essere simbolizzati (Hyvrard).
Se abbiamo iniziato questo progetto, è stato sperando di fornire alcune risposte, o variazioni di risposte a queste domande: dovremmo dire, alla fine, le risposte sono altrettanto probabili che quella, fondamentale, come ci si avvicina insieme in questo problema?
In una percezione ciclica della storia - tipica del mito, diremo - che mette in luce Mircea Eliade, una sorta di equilibrio è stabilito attraverso la congiunzione di varie fasi di distruzione seguiti da costruzione. Se osserviamo da vicino il mito di Orfeo e delle sue manifestazioni, ci rendiamo conto che questi sono i movimenti tipici di questo paradigma. L'Arte, attraverso l'orfismo, può essere percepita come armonia, come la possibilità di superare il contrario, ma, anche, come la discesa agli Inferi - qualunque sia la sua natura (metaforica, allegorica, sociale, psicologica, ecc. ), o come sparagmos - lo strappo, in tutte le sue varianti; che fornisce il materiale da sfruttare.
Queste fasi, questi momenti nello e dell'orfismo, anche se è possibile percepire nella loro successione temporale, si verificano più spesso in combinazione, si possono osservare contemporaneamente.
Se, per Ihab Hassan, la letteratura contemporanea, da lui posta nel postmodernismo, è fortemente segnata dalla lacerazione, la natura è esplosa nelle opere del nostro tempo, essa non ha, tuttavia, detto "tutto" sul loro funzionamento. La critica del mito ha certamente imparato a vedere fenomeni nel loro movimento (Durand, strutture ...), nella loro pluralità: un processo non manca mai di comparire in una creazione del pensiero, senza il suo opposto, senza che il suo partito "ombra" (con un eroe e pastore agnus, redentore e vittima); e abbiamo imparato a leggere (anche a Durand) che nel "Piano" appare separata dal suo opposto.
Una percezione binaria, in orfismo e miti in generale, è spesso combinata con una visione tripartita. Arte come incontro fondamentale in primo luogo, quello con Amore e Morte, si genera un triangolo possibile, Arte / Amore / Morte (Charles Segal).
Ma ancora, se guardiamo l'arte come un sistema di rapporti, come ad esempio l'interazione di diverse realtà (cinque) "Lingue" (orfica, secondo Elizabeth Sewell), dove la letteratura è spesso coinvolta come l'unificatore dei diversi modi di espressione , orfismo come un particolare modo di pensare porterà ad altri schemi mentali, ebbene tutto ciò cerca altri livelli di comunicazione, del linguaggio e della creatività in generale.
Ma ancora, troviamo che nell' "inizialmente", nell' "origine" (concetti che mostrano in sé il desiderio - leggendario - di cogliere, di appropriarsi dei segreti della nostra esistenza) s'appalesa pur sempre un Eroe, ma sempre in combinazione con un sistema di caratteri, mitemi, e sempre con una sua genealogia che offre diversi gateway multipli, molti percorsi da seguire; traslato nei tempi, questi "métamythes", di forse un orfismo originale, se pur moltiplicato in circostanze pitagorico, neoplatonica, alchemica ... (Beckett) e anche narcisistica (Strauss).
Una serie di avventure, un certo numero di leggende, presentano ben al di là della piega greco-latina, un curriculum ove - probabilmente senza nominarli - i Greci appaiono come i fondatori di questa ricerca di mitemi; sempre contraddistinta (secondo Durand) da nostalgia - i Nostos, il rendimento, e algia, dolore. Parlo del desiderio di raggiungere l'altro, quelli di noi più vicini al nucleo, il segreto della nostra esistenza, desiderosa di toccare quella che, al di là dell'immagine che proiettiamo nel nostro ambiente, è e ne sia in grado di fornire la rivelazione di chi siamo veramente. È per questo motivo che Orfeo, per lungo tempo rappresentato come "agamos" (Brunel, 1129), ha bisogno di una Eurydice, di questa rappresentazione di immagine, (ancora leggendaria!) di un'Altra che non ha ancora scelto senza perdere o senza perdersi, o, ed affascinantemente ancora, in sua esitazione tra fedeltà ad uno stato e la scelta di una nuova forma di comunicazione (che non è dominio, nè dimenticando, ma, nel tutto, trasformando a seconda delle aspettative).
Se questi sono i fondamenti del pensiero ancorati alla mitica figura di Orfeo, si osservano, nel contesto delle nostre osservazioni, i cambiamenti così come varie forme di continuità in questo settore apportano materia nutriente al pensiero del Contemporaneo.
Una prima osservazione riguarda il ruolo inevitabile delle donne; che è cambiato radicalmente - e giustamente - rispetto al Mito. Un rovesciamento, una inversione sembra verificarsi con la quale Eurydice diventa molto più attiva, molto meno dipendente che nel mito tradizionale.
Rispetto ad una tradizione di pura 'passività', Eurydice sceglie. E sceglie in prima persona; e cosciente degli aspetti certo non superficiali della propria scelta.
Secondo i teorici del movimento americano "mitologia revisionista» (come evidenziato tra gli altri scritti di Barbara Walker), questo sarebbe un processo tipico e necessario, segnando una tappa significativa nella storia della nostra civiltà, con il rifiuto dei valori patriarcali e la spinta di una coscienza matriarcale, matrilineare, se non di più (su questo argomento cfr. Carolyne Larrington, in The Companion Feminist la mitologia).
Questo forse non è sufficiente per spiegare i cambiamenti che hanno interessato le arti - e soprattutto il fatto che nella maggior parte degli artisti contemporanei è ancora la figura di Eurydike che sembra influenzare in modo quasi automatico, senza esitazione, con la sua richiesta di emergere, ad essere espressa nella sua stessa parola.
Tra le figure mitiche dell'antichità, dovremmo credere, Eurydice è unica nella sua capacità di trattare con Orfeo; di provocazione, in qualche modo; quello che per tanto tempo aveva bisogno di lei per le (sue) bellissime creazioni, ma che non è stato capace di tornare a sottrarla da un Fato a condizioni imposte ritenute a lui impossibili.
Ha preferito creare, nell'isolamento necessario, la separazione quindi lo strappo.
Ha preferito creare, nell'isolamento necessario, la separazione quindi lo strappo.
Ma tanto Orfeo e la sua incapacità di esistere altrimenti, quanto la nuova Eurydice che sfugge alla stessa operazione in quanto accusa Orfeo, quello con cui da millenni è stata relegata al silenzio, s'oppongono ad una lettura meramente tradizionale: Lei, nel decidere sul suo rimbalzo da sola e proprio da sola nella scena del mondo; Lui: nell'accettare che Eurydice lontana da Orfeo in qualche modo sia in grado di essere e di mmanifestare un "Chi è" all'esterno dello stereotipo dell'immagine nei millenni fatto di Essa.
Rispetto alla tradizione plurimillennaria è quindi un rovesciamento totale: è Euridice la vera protagonista di scena e che sovrasta la scena.
Allo stesso tempo, ha affermato lo Sguardo con cui Vede (Jorie Graham, letta da Morris). Paradossalmente, mentre accusandolo da un lato di averla relegato l'altro mondo, si aspetta sia essa infallibile - e anche responsabile per il loro destino. Questo è probabilmente molto vicino alla paura di Eurydike che ha indotto i poeti degli inizi di questo secolo (Kushner), o gli arcaici a determinare la tradizione di un Orfeo che si ritira prima della scelta di Eurydice di determinarsi in base ai propri impulsi.
Il panorama è composito: Orfeo, per Andree Christensen (Bouwer) è colui che, da un ritorno di forze, sarà il carnefice in espiazione; - per Amelie Nothomb (Helm), Eurydice inedita, lasciando il suo Orpheus permette al contempo ne sia mutilato. Oppure una Eurydice che, attraverso gli occhi di Orfeo (Watthee-Delmotte, il Bauchau), ne divenne la moglie di Orfeo nella separazione, e quindi nella rinascita proprio nel campo della creatività. E', questa, una lettura rovescia, rispetto alla prospettiva del di già indicato rovesciamento: le "condizioni impossibili" a permanere nella richiesta di Euridice paralizzavano Orfeo, bloccandolo in ogni proprio processo ideativo e creativo. Vitali, per lui. Compagna di Orfeo sarebbe ed è - nel Mito - un dissolversi delle prefate "condizioni impossibili". Ma tanto è in assoluto contrasto con la traditio: che assegna al loro, di Destino, il peso del predeterminato superiore stesso al puro destino: Ananke. Il Mito presenta già da subito caratteri che non poteva, non poteva essere diverso. Orfeo, incarnazione della creatività, non avrebbe - nè lo poteva - accettato di dissolversi nelle alluse "condizioni impossibili".
Ma continuiamo: Oppure, come in Anna de Noailles (Perry), una Eurydice che si rifiuta di alzarsi, ma ritiene che, sostituendosi ad Ofeo, è la forza redentrice della parola (femminile) è Poesia (nel senso più ampio), lasciando il posto all'istanza di una riunione di perpetua nostalgia.
Un sacco di risentimento, un sacco di domande - poi - si mette finalmente nel soggetto Eurydice in Sylvie Germain (Bacholle) - Molte paure, dubbi tanti, ma il viaggio continua.
Un sacco di risentimento, un sacco di domande - poi - si mette finalmente nel soggetto Eurydice in Sylvie Germain (Bacholle) - Molte paure, dubbi tanti, ma il viaggio continua.
Cosa rappresentano queste versioni, queste ramificazioni, quelle opportunità che possono rivelarsi ancora più probabili, e forse sempre più probanti, maggiormente più estendiamo l'analisi?
Forse dovremmo semplicemente capire che il mito è ben lungi dall'essere uno - che questa proliferazione è il segno distintivo di una vita sociale indipendente nel processo mitico. Forse.
Osservando la logica intrinseca del mito sarebbe opportuno anche accettare l'ovvio, cioè che non è il nostro tempo a fare alcunchè su tale versante di particolarmente nuovo: ciò che appare come la quarta fase nella storia dell'orfismo, la "costruzione femminile", a causa della lacerazione da e di Orfeo, è già incluso nel mito tradizionale.
E anche se questi poeti, ciascuno a suo modo, prestano corpo e anima e tutta la creatività, in modo che la voce si alzi di Eurydike, non dovremmo vedere - anche - quale responsabile nel cammino del post mortem di Orfeo, una chiamata per la collaborazione, creazione, non dalla mancanza da separazione, ma dalla presenza di coesistenza? - Credo al riguardo sia straordinario, tra i testi analizzati in questo volume, la poesia di Paul Chamberland (analizzata dal Milat), che rende questa chiamata. E se così fosse, si potrebbe parlare di una quinta fase è cominciata già si profila al nostro orizzonte artistico?
Se il mito è vivo, è "sano", si manifesta attraverso la voce di Orfeo ed Eurydice quale necessariamente multidisciplinare, polifonico. Esso mostra questo viaggio nel labirinto, tra luce e ombra, tra la vita e la luce del sole fantasma, tra l'assenza del corpo e contribuendo a riconquistarlo, tra maschio e l'istinto primordiale e violento; tra Orfeo ed Eurydice eterea; tra Orfeo ed Eurydice che lentamente si trasforma; fra Euridice infine e sè stessa: protagonista infine unica ed assoluta.
E' un viaggio che dà lo scopo di stabilire un ponte tra la necessità di essere di ed in sè stessi e di essere al contempo di questo mondo.
Orfeo è vero scompare: "La sua morte ha lasciato. Si trascina il cadavere ai suoi piedi che strisciano con la negazione e la paura, vane speranze, ripide illusioni perdute. "(Francoise Charron, lxix) Music".
Patrice J. Proulx *
Sur Eurydice pendant la remontée, le mythe se tait.
Comme elle. C’est sur le silence que se retourne la voix d’Orphée et sur le vide son regard, et ne rencontre que le silence. Ou peut-être, plutôt que le vide, le regard d’Orphée découvre-t-il ce qu’il ne peut pas voir. (1)
I could be in the world remembering this.
Blanchot, Maurice. L’écriture du désastre. Paris: Gallimard, 1980.
L’entretien infini. Paris: Gallimard, 1969.
L’Espace littéraire. 1955. Paris: Gallimard, Collection Folio/Essais, 1988.
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Lourie, Margaret A., Domna C. Stanton, and Martha Vicinus. "Introduction." Michigan Quarterly Review XXVI. 1(1987): 1-8.
Lowenthal, David. The Past is a Foreign Country. Cambridge: Cambridge University Press, 1985.
Plate, Liedeke. "Breaking the Silence: Michèle Sarde’s Histoire d’Eurydice pendant la remontée." Women in French Studies 3 (1995): 90-99.
Purkiss, Diane. "Women’s Rewriting of Myth." The Feminist Companion to Mythology. Carolyne Larrington (ed.). London: Pandora Press, 1992. 441-57.
Rich, Adrienne. On Lies, Secrets, and Silence: Selected Prose 1966-1978. New York and London: W.W. Norton & Company, 1979.
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Strauss, Walter A. "Orphée déchu de la grâce?" Mythes dans la littérature contemporaine d’expression française. Metka Zupancic (dir.) Ottawa: Nordir, 1994. 30-41.
(*) Patrice J. Proulx is a professor of French in the University of Nebraska at Omaha. This article is a revision of author’s paper presented at the session "Le mythe d’Eurydice dans les textes contemporains de femmes" at the 1996 XXth Century French Studies Colloquium.
(1) Michèle Sarde, Histoire d’Eurydice pendant la remontée (157). All quotations will be taken from the edition listed in the "Works Cited" section, and indicated by page number in the text.
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