sabato 30 gennaio 2016

Città del Vaticano. Basilica di S. Pietro. Museo del Tesoro. Antonio del Pollaiolo, Monumento funerario di Sisto IV (1484 - 1493).

(Da mio: https://www.facebook.com/groups/926339024097442/ )
BENI CULTURALI - GRUPPO


Città del Vaticano. Basilica di S. Pietro. Museo del Tesoro. Antonio del Pollaiolo, Monumento funerario di Sisto IV (1484 - 1493).
Note di Giovanni Pititto

- Del Gisant, ossia di un'Arte che si misura ad ore. 
L'insigne monumento è stato postato in questo Gruppo [intendasi: https://www.facebook.com/groups/926339024097442/ ] nello spazio 'commenti'. Con il seguente pertinente testo: "...su commissione di Giuliano della Rovere. Abbandonato il modello italiano "a muro" per adottare quello a "isola", su influsso nordico e francese. La presenza di tale modello a Napoli fin dal medioevo esplicita la forte influenza francese di questa tipologia di statuaria funebre".

Sviluppo quel commento in una serie articolata (spero) di argomentazioni. 
Nella resa scultorea dei tratti fisiognomici, il volto ripropone le medievali caratteristiche concettuali e formali del Gisant: raffigura la sua realtà umana, al momento del morire. Si muore perchè si sta 'leggermente'male, non perchè si scoppi di salute. 
Come invece si può osservare nelle due incisioni che unisco, nella prima le caratteristiche di 'gisant' sono se pur minimamente rispettate, almeno minimamente alluse: è vecchio, stanco, sofferente. Nella seconda no: la resa del volto è fortemente manierata. 
Gisant, è una ben precisa tipologia: non significa solo statua funeraria distesa. E' molto di più. E' la caratterizzazione d'umano a cui nel momento della morte cede ormai il massimo potere. Tale fu, tale è, il Gisant: la rappresentazione fisiognomica del defunto nell'atto stesso del morire. Quando il massimo del potere è piegato poichè piagato alle sofferenze estreme della morte. Non ore dopo, allorchè i tratti fisiognomici con la morte stessa si addolciscono. La seconda stampa non rispetta tale caratteristica. Grave? No. Rispecchia il gusto del tempo. Ma, soprattutto, la fine totale della concettualità di Gisant. Era passato così tanto tempo, dal Medioevo: 1267-87.


Illustrazioni:

1. SISTO IV: Sisto IV papa - Francesco della Rovere (1414 - 1484), savonese. Nominato cardinale nel 1467, eletto papa nel 1471. Morì il 12 agosto 1484. Questa è la tomba. 


ILL. 1:
Tosi, Francesco Maria, Raccolta di monumenti sacri e sepolcrali scolpiti in Roma nei secoli 15. e 16. / misurati e disegnati dallo architetto ... Francesco M. Tosi ; e a contorno intagliati in rame da valenti artisti ..Pubblicazione: S.l. : presso l'editore proprietario; Descrizione fisica v. : ill. ; 52 cm.

Ora l'epigrafe; che - verbatim - dalla stampa di cui in Tosi, trascrivo: 

"SIXTO QVAR PONT MAX EX ORDINE MINORVM DOCTRINA / ET ANIMI MAGNITUDINE OMNIS MEMORIAE PRINCIPI / TURCIS ITALIA SVMMOTIS AVCTORITATE SEDIS AVCTA / VRBE INSTAVRATA TEMPLIS PONTE FORO VIIS BIBLIO/THECA IN VATICANO PVBLICATA IVBILEO CELEBRATO / LIGVRIA SERVITVTE LIBERATA CVMMODICE AC PLANO / SOLO CONDI SE MANDAVISSET / IVLIANVS CARDINALIS PATRVO D. M. MAIORE PIETATE / QVAM IMPENSA F. CUR. / OBIIT IDIB. SEXTII HORA AB OCCASV QVINTA A CHR. MCDIXXXIII / VIXIT ANNOS LXX DIES XII HORAS XII // (***)

(***)
Debbo alla squisita cortesia della Gent.ma Manuela Prof.ssa Colombo il chiarimento su di uno specifico punto controverso. La ringrazio.  


ILL. 2. Stampa - Soggetto: Monumento funebre di Sisto IV - incisione: Tecnica: Acquaforte; Disegnatore: Chiari Alessandro; Incisore: Bramati Giuseppe; Datazione: 1863 - 1866.


Notizie biografiche:
Sisto IV papa (Sintesi da Enciclopedia Italiana, 1936)
Sisto IV papa. - Francesco della Rovere (Celle Ligure 1414 - Roma 1484), di antica famiglia savonese, entrato nell'ordine dei frati minori conventuali, dei quali divenne ministro generale nel 1464, si addottorò nel 1444 a Padova; successivamente insegnò teologia, logica e filosofia a Padova, Bologna, Firenze, Perugia e Siena. Nominato cardinale nel 1467, fu eletto papa nel 1471. La sua opera parve volgersi dapprima ad ottenere una generale pacificazione che permettesse di fronteggiare validamente i Turchi; a tal fine organizzò anche una spedizione che però, dopo la presa di Smirne (1472), si disgregò per i dissensi tra gli alleati. Le speranze del papa che alle nozze tra Zoe Paleologo, nipote dell'ultimo imperatore bizantino, e Ivan III di Russia facesse seguito un maggiore impegno antiturco da parte dei Russi (nonché la loro obbedienza alla Chiesa di Roma) si rivelarono presto infondate. In Italia il suo nepotismo (ben sei nipoti ebbero la porpora cardinalizia, e altri parenti ebbero lucrose cariche) finì col produrre una scissione profonda fra le potenze italiane, preoccupate dalle mire ambiziose soprattutto di suo nipote Girolamo Riario: contro la lega strettasi tra Firenze, Milano e Venezia, S. si alleò con Ferdinando I di Aragona, re di Napoli. Tentando di separare i Medici dai Fiorentini, dopo la congiura dei Pazzi e l'uccisione di Giuliano de' Medici, cui seguì la rivolta dei Fiorentini in appoggio ai Medici, S. scomunicò Lorenzo de' Medici e interdisse gli stessi Fiorentini, ma l'improvviso accordo di Ferdinando con Lorenzo de' Medici e il saccheggio di Otranto da parte degli Ottomani (1480), che pareva preludere a una più massiccia invasione della penisola, lo persuasero a minore rigidezza contro Firenze, che assolse dalle censure (1480). Per vendicarsi del voltafaccia di Ferdinando si procurò allora l'appoggio dei Veneziani, offrendo loro Ferrara. Ma la guerra, sconfitti gli Aragonesi nella battaglia di Campomorto (1482), non fu portata oltre e S. preferì concludere la pace all'insaputa dei Veneziani. Nel campo ecclesiastico, S., nel 1478, emanò una bolla con la quale conferì ai sovrani di Castiglia e di Aragona il potere di nominare inquisitori di loro fiducia. Nell'ambito dottrinale, S. intervenne annullando i decreti del Concilio di Costanza relativi alla supremazia del concilio sullo stesso pontefice. Favorì il culto di Maria con l'istituzione della festa dell'Immacolata Concezione, della Visitazione e del Rosario. A Roma dimostrò capacità di amministratore, e amore per l'arte e la cultura: sua è la riorganizzazione della cappella papale dei cantori in San Pietro; con una bolla del 15 giugno 1475 istituì l'apertura al pubblico della Biblioteca Vaticana. Sotto il suo pontificato il rinnovamento edilizio si estese a tutta la città (ponte Sisto, chiese di S. Maria del Popolo, S. Maria dell'Anima, S. Agostino, S. Giacomo, ospedale di S. Spirito, ecc.), e per suo volere fu eretta in Vaticano la Cappella Sistina, che fu decorata dai più grandi artisti del periodo. Umanisti ed artisti, quali il Platina, che ebbe da lui l'incarico di scrivere le vite dei papi, e il prediletto Melozzo da Forlì, operarono accanto a molti altri, tra cui Pomponio Leto, che fece risorgere l'Accademia Romana. Morì il 12 agosto 1484. Antonio Pollajolo ebbe l'incarico di allestire una grandiosa opera d'arte: la Tomba di Papa Sisto IV.

3. Fonti e bibliografia? Tutta è impossibile. Un tantino perchè no...
- B. Platina, Vita Sixti IV, in Rer. Ital. Script., nuova ed., III, i, p. 398 segg.; 
- I. da Volterra, Il diario romano, ibid., XXIII, 3; 
- A. de Tummulillis, Notabilia temporum, Roma 1890 (Fonti per la st. d'Italia); 
- S. Infessura, Diario della città di Roma, ivi 1890 (ibid.); 
Sigismondo de' Conti, Le storie de' suoi tempi, I, ivi 1883; 
- E. Frantz, Sixtus IV. und die Republik Florenz, Ratisbona 1880; 
- A. Schmarsow, Melozzo da Forlì, Berlino e Stoccarda 1886; 
- L. Pastor, Storia dei papi, ed. ital., II, Roma 1911; 
- E. Rodocanachi, Histoire de Rome. Une cour princière au Vatican pendant la Renaissance, Sixte IV, Innocent VIII, Alexandre VI Borgia, Parigi 1925.


ILL. 3-5. Tesoro di san Pietro, tomba di Sisto IV di Antonio del Pollaiolo, 03.JPG // Size of this preview: 602 × 600 pixels. Other resolutions: 241 × 240 pixels | 482 × 480 pixels | 771 × 768 pixels | 1,028 × 1,024 pixels | 2,112 × 2,104 pixels. // Original file (2,112 × 2,104 pixels, file size: 1.34 MB, MIME type: image/jpeg); ZoomViewer: flash/no flash // Date: 21 December 2011, 17:22:56; Source: Own work; Author: sailko. 

Notizie biografiche autore:

BENCI, Antonio, detto il Pollaiolo - in: Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966)
di Marco Chiarini.

BENCI, Antonio, detto il Pollaiolo. - Nacque a Firenze da Iacopo di Antonio e da monna Tommasa probabilmente tra il 1431 e il 1432. Il soprannome deriva - secondo una consuetudine fiorentina - dal mestiere del padre, che non era orafo, come talvolta affermato, ma pollivendolo per sua dichiarazione (Mather, 1948).
La data di nascita del B. non è esattamente precisabile - anche se M. Cruttwell (1907, p. 3) ipotizza che fosse il 17 genn. 1432, giorno dei suo santo patrono -, perché non sempre concordi sono sull'età del B. le fonti più attendibili, specialmente le portate al catasto del padre e quelle del B. stesso (Cruttwell, 1907; Mather, 1948). Infatti sulla pietra sepolcrale in S. Pietro in Vincoli è scritto che egli morì di settantadue anni nel 1498, cioè sarebbe nato nel 1426 (e questa tradizione fu ripresa dal Vasari). Tuttavia nel documento più antico concemente il B. - la portata al catasto di Iacopo per il 1433 (Mather, p. 32) - egli viene dichiarato dal padre di un anno e mezzo di età e in quella del 1442 (Mather, p. 33) è detto di dieci anni, spostandosi così l'anno di nascita al 1432, mentre nel 1480 (Gaye, 1839, I, p. 265) il B. stesso si dichiara di quarantanove anni e quindi nato nel 1431 (come risulterebbe anche da portate precedenti).

Antonio era il maggiore di sei fratelli, poiché a lui seguirono Salvestro (che non fu artista come qualcuno suppose: cfr. E. Möller, Salvestro di Jacopo Pollaiuolo dipintore, in Old Master Drawings, X [1935-36], pp. 17 ss.), Giovanni (che ereditò la bottega paterna), Piero, Agnola e Cosa (portata al catasto di Iacopo, 1446, cfr. Mather, p. 33). Dalla portata di Antonio del 148o si sa che si emancipò dal padre l'11 maggio 1459, a circa ventotto anni: forse aveva già bottega in proprio. Nella stessa occasione egli nomina la prima moglie, Marietta, allora ventinovenne, dalla quale non ebbe figli, mentre dalla seconda, Lucrezia Fantoni, ebbe due figlie, Marietta e Maddalena, che con la madre sono ricordate nel suo testamento (4 nov. 1496; Gualandi, 1844, pp. 39-50; Cruttwell, 1907, pp. 246-255). Dalla portata al catasto di Lucrezia del 1498 (Mather, p. 35), quando era già vedova, e anche da portate precedenti, si sa che il B. aveva numerosi piccoli possedimenti; la sua bottega d'orafo era in via Vacchereccia: nella denunzia del 148o il B. dichiara di avere con sé, come aiuto e socio, Paolo di Giovanni Sogliani. La fama dell'artista dovette crescere rapidamente e di conseguenza anche i compensi e le possibilità di accumulare un piccolo patrimonio; nel 1489 Lorenzo il Magnifico, in una lettera di raccomandazione scritta a Giovanni Lanfredini, oratore fiorentino a Roma, lo nominava come "... il principale Maestro di questa città e forse per avventura non ce ne fu mai; e questa è comune opinione di tutti gl'intendenti" (Gayre, p. 341).

Si può affermare con certezza che il B. iniziò la sua attività come orafo - secondo una consuetudine fiorentina, valida anche per i pittori -: ciò verrebbe attestato dalle sue prime opere note e documentate, fra le quali un disegno con il progetto di un turibolo (Firenze, Gab. dei disegni degli Uffizi), firmato "Antonio del pollajuolo horafo" .

Tale è anche la tradizione raccolta e riportata dal Vasari, che fa il B. scolaro di Bartoluccio Ghiberti, padre di Lorenzo, con evidente anacronismo (Bartoluccio morì nel 1422), e poi aiuto dello stesso Lorenzo nelle porte del Battistero: anche questa tradizione risulta tuttavia infondata - come anche la leggenda della quaglia eseguita dal Pollaiolo tra le decorazioni degli stipiti della porta del "paradiso", riportata dall'Anonimo Magliabechiano, "tanto bella e tanto perfetta, che non le manca se non il volo" (Vasari) -, mentre forse il B. poté aiutare il figlio di Lorenzo, Vittore, che portò a termine l'opera paterna tra il 1466 e il 1467. Tuttavia il nome del B. non si riscontra in nessun documento relativo a questa impresa, né nell'elenco degli aiuti del Ghiberti.

Piuttosto l'educazione del B. poté svolgersi presso la bottega di qualche orafo fiorentino come P. Sali (verso questa ipotesi propende decisamente l'Ortolani, 1948) o M. Finiguerra, ricordato dal Vasari nella biografia pollaiolesca.

Tale ipotesi verrebbe avvalorata con fatti, se si potesse verificare su fonti documentarie l'affermazione avanzata dall'abate Follini (Collezione di opuscoli scientifici e letterari XIX, Firenze 1814; confutata da S. Ciampi, Lettera... sopra l'autore di due candelieri d'argento fatti per l'Opera di Sant'Iacopo..., Pistoia 1814) che il B. collaborasse, tra il 1457 e il 1462, all'esecuzione di due candelieri d'argento dorato con smalti (oggi scomparsi) allogati a Maso Finiguerra e a Piero Sali dall'Opera di S. Iacopo di Pistoia nel 1457 (sulla vicenda v. Milanesi, in Vasari, III, pp. 288 s., n. 4).

Ma la fama del B. doveva esser già cresciuta molto negli anni di apprendistato giovanile, se il 30 apr. 1457 gli venne allogata l'esecuzione della parte inferiore del reliquiario d'argento a forma di croce da porsi sull'altare del S. Giovanni fiorentino (cfr. G. Poggi, 1904, p. 74). La delibera di tale lavoro era stata presa già il 2 febbraio di quell'anno, e con il B. avrebbe collaborato Miliano Dei, mentre la parte superiore veniva affidata a Betto di Francesco Betti (cfr. Milanesi, in Vasari, III, p. 288, n. 3). 

Nel 1459 si registrarono le spese sostenute e, mentre del Dei non è più ricordo, al B. andò la somma maggiore. Il Vasari rammenta che egli eseguì, per lo stesso altare, anche i candelieri (che i documenti precisano nel numero di due) d'argento e smalti "di braccia tre l'uno": essi furono però eseguiti più tardi, attorno al 1465-70, e oggi sono perduti.

Non per Lorenzo - come afferma il Vasari - ma per Piero de' Medici il B. dipinse tre grandi quadri con le Fatiche d'Ercole, opere celebratissime e rammentate fino al sec. XVI, quando pare che Ridolfo del Ghirlandaio ne traesse copie su commissione di Giovan Battista della Palla: esse sono oggi perdute e ne abbiamo memoria precisa probabilmente solo nelle due minuscole tavolette che ripetono due dei soggetti (Ercole e Anteo, Ercole e l'Idra) delle tavole maggiori, pervenute agli Uffizi direttamente dalle collezioni medicee, ed eseguite parecchi anni dopo.

I tre quadri, che adomavano la sala grande nel palazzo di Lorenzo in via Larga - dove sono citati anche nell'inventario mediceo del 1512, copia di quello steso alla morte di Lorenzo (cfr. E. Müntz, 1888, pp. 62 s.) -, furono probabilmente eseguiti attorno al 1460, secondo la testimonianza dei Pollaiolo stesso, che rammenta - in una lettera inviata il 13 luglio 1494 a Virginio Orsini - come li avesse dipinti, in collaborazione col fratello Piero, circa trentaquattro anni prima (L. Borsari, 1891). 

Nessuna memoria rimane, oltre le due tavolette suddette agli Uffizi, per ricostruire l'aspetto preciso dei tre quadri - altresì riecheggiati in stampe di poco posteriori (Cristofano Robetta) per gli episodi dell'Idra e di Anteo (ripreso anche nel piccolo bronzo conservato nel Museo Nazionale di Firenze, dallo stesso Pollaiolo) - che rappresentavano Ercole e Anteo, Ercole e il leone Nemeo e Ercole e l'Idra: per quest'ultimo episodio resta un disegno originale del B. nel British Museum di Londra, forse studio preparatorio per la grande tela corrispondente di palazzo Medici. Documentariamente sono queste le prime opere pittoriche del B., e per sua affermazione eseguite assieme a Piero, che gli fu costantemente accanto soprattutto nella realizzazione pittorica dei suoi progetti: è questa stretta collaborazione che indusse il Vasari ad affermare che Antonio si accostò a Piero "per imparare i modi del maneggiare et adoperare i colori" (Vasari, III, p. 290), secondo una tesi che risulta infondata.

Tuttavia è sempre l'attività di orefice quella che soprattutto impegna l'artista, con opere oggi in gran parte scomparse e note solo attraverso i documenti. Il 3 genn. 1461 (Vasari, III, p. 298) l'abate di S. Pancrazio gli alloga, assieme a Bartolomeo di Piero Sali, l'esecuzione di un tabernacolo per contenere il braccio del santo titolare. Il 7 luglio dello stesso anno e il 6 apr. 1462 si rammentano una fibbia d'argento e altre opere di oreficeria vendute a Cino di Filippo Rinuccini (Aiazzi, 1840).

"Alla compagnia di Sant'Angelo in Arezzo fece da un lato un Crucifisso, e dall'altro, in sul drappo a olio, un San Michele che combatte col serpe" (Vasari, p. 295): secondo un'identificazione generalmente accettata, si tratta del S. Michele del Museo Bardini di Firenze, certo eseguito su disegno di Antonio ma probabilmente per mano di Piero. Ricordato anch'esso dal Vasari (pp. 291 s.), il dipinto già in Orsanmichele "in un pilastro" con l'Arcangelo Raffaele che reca per mano Tobia (Torino, Galleria Sabauda) è opera di collaborazione con Piero da datarsi attorno al 1465. In quest'anno (A. Cocchi, 1901) ricomincia l'attività dell'artista per l'Opera del duomo, con l'esecuzione (M. Cruttwell, 1907, p. 59; il Sabatini, p. 95, li dice eseguiti nel 1470) di due candelieri, già rammentati, per l'altare di S. Giovanni, mentre nell'anno seguente è molto probabile (Sabatini) che il B. cominci a dare la serie dei cartoni per l'esecuzione dei bellissimi ricami per paramenti, oggi nel Museo dell'Opera del duomo fiorentino. Il nome del Pollaiolo compare solo il 9 ag. 1469 per il primo pagamento - effettuato dall'arte della Mercanzia - per il disegno delle ventinove o trenta scene (ma oggi ne rimangono solo ventisette) raffiguranti le Storie di s. Giovanni Battista che dovevano decorare un parato completo di piviale, pianeta e due tonacelle di broccato (l'ultimo pagamento è del 1480; le spese vennero registrate nel 1487); ma il B. quasi certamente dovette cominciare molto prima a darne la traccia grafica, dato che la delibera per l'esecuzione risale al 5 ag. 1466 (Poggi, pp. 75-78). Il 17 luglio 1466 (Colnaghi, 1928, p. 217) presta giuramento alla corporazione della Seta quale "aurifex aurario". Tra il 1466 e il 1470 è ricordato come attivo in opere di restauro e di esecuzione propria per il duomo di Volterra (Sanpaolesi, 1951): il primo ottobre 1466, infatti, riceveva un compenso per il restauro della testa della Vergine Maria dell'ariento, mentre tra il 21 nov. 1467 e il 28 febbr. 1470 il suo nome ricorre in pagamenti per un reliquiario d'argento sotto forma di busto di S. Ottaviano, già nel duomo di Volterra, e che si è creduto di identificare in altro, assai più arcaico di stile (cfr. Sanpaolesi, 1951; Pope-Hennessy, 1958, p. 316).

Alla collaborazione tra i due fratelli, attestata dal Vasari, spetta la decorazione di parte della cappella dedicata al cardinale di Portogallo (Iacopo di Lusitania, morto a Firenze il 27 ag. 1459) in S. Miniato al Monte, per la quale Antonio e Piero fecero la tavola dell'altare, con i SS. Vincenzo, Iacopo e Eustachio, oggi agli Uffizi, e i due Angeli reggicortina dipinti a fresco sull'arco che domina l'altare (i pagamenti vanno dal 27 settembre al 7 nov. 1466, ma i lavori furono probabilmente eseguiti nel 1467; per un dettagliato resoconto cfr. Hartt-Corti-Kennedy, 1964). Il 18 genn. 1467 (cfr. C. Guasti, 1857) il Pollaiolo fa parte con i maggiori artisti del momento, Verrocchio e Luca della Robbia, della commissione per l'esecuzione della palla da collocare a coronamento della lanterna della cupola di S. Maria dei Fiore.

Sempre preminente l'attività d'orafo del B., che il 13 gennaio e il 2 febbr. 1469 (G. De Nicola, 1918) viene pagato per aver fornito l'armatura da torneo e i finimenti per la gualdrappa del cavallo, tutti d'argento sbalzato, dorato e con smalti, a Benedetto Salutati in occasione della giostra per il fidanzamento di Lorenzo de' Medici con Ciarice Orsini: nella stessa occasione anche Verrocchio e Botticelli avevano prestato la loro opera. E' stato supposto che in quell'anno cada un suo probabile viaggio a Roma, in occasione di una visita fatta a Filippo Lippi in Spoleto (Sabatini, p. 69).

Nel 1472 il B. è citato per la prima volta nel Libro dei debitori e creditori della Compagnia di S. Luca come "orafo e dipintore" (I. Del Badia, 1905). Nello stesso anno (24 luglio) lavora a un elmetto d'argento, perduto, che il 18 giugno (cfr. Milanesi, in Vasari, p. 298) la Signoria fiorentina aveva deliberato di donare al conte d'Urbino vincitore di Volterra (Gaye, pp. 570 s.). Per la stessa Signoria l'inventario dei tesoro rammenta l'esecuzione di "un bacino grande d'argento" (ibid., p. 571), anch'esso scomparso. Stessa sorte ebbe una croce d'argento per la chiesa del Carmine, commissionata da Tommasa Soderini (Milanesi, in Vasari, p. 298) e pagata forse - se ad essa si riferisce il documento - il 30 ag. 1473.

Secondo la testimonianza del Vasari (pp. 292 s.), nel 1475 fu finita una delle più importanti opere pittoriche del B., sempre aiutato da Piero: il Martirio di s. Sebastiano (oggi nella National Gallery di Londra). La grande tavola fu dipinta per la cappella dei Pucci nell'Oratorio di S. Sebastiano presso la SS. Annunziata. Nello stesso anno fu forse eseguita anche la figura, oggi perduta, del Battista "alla porta della Catena" (Vasari, p. 293) in Palazzo Vecchio; cui è stato supposto (Sabatini, p. 89) si riferiscano alcuni disegni agli Uffizi (357 r-v, 399).

Nel 1475-80 cadrebbe l'esecuzione di una cintura d'argento con incrostazioni d'oro - in collaborazione con Piero - per il vescovo di Pistoia, Niccolò Pandolfini (C. Kennedy-E. Wilder-P. Bacci, 1932, p. 15). Tra il 1476 circa e il 1483 il B. eseguì una croce-reliquiario d'argento dorato e smalti per il monastero di S. Gaggio presso Firenze - ne rimangono i documenti di pagamento (cfr. Steingräber, 1955) - della quale si conservano solo alcune parti inserite ìn un Crocifisso del sec. XVI (Firenze, Museo Naz.).

Nel 1477 il B. viene pagato per una croce d'argento fatta per fra' Michele Cambini del convento di S. Croce, scomparsa (lo Hartt, 1962, suppone che essa possa identificarsi con altra vista dal Cinelli, 1677, nella chiesa di Badia, ma il Sabatini, p. 95, ne spostò invece l'attribuzione ad Antonio di Salvi, scolaro del Pollaiolo). Lo stesso anno 1477 (Poggi, p. 69) il B. sottoponeva agli operai del duomo tre modelli fatti insieme col Verrocchio per una delle testate dell'altare argenteo del Battistero. Il 13 genn. 1478 (ibid., p. 71) riceveva la commissione per l'esecuzione del pannello con la Nascita del Battista, che gli veniva pagato nel 1480 (Firenze, Mus. dell'Opera del duomo). Un pagamento è del 26 apr. 1483 (ibid., p. 72) per "rassettare e fare le storie che feciono nell'altare di S. Giovanni".

Sempre per il S. Giovanni eseguiva nel 1478 un reliquiario per il dito del santo e una coperta d'argento di un Epistolario, (Milanesi, in Vasari, p. 298). Mentre del reliquiario non si sa più nulla (ma per un'eventuale identificazione di esso, cfr. F. Rossi, 1961), la coperta venne fusa nel Cinquecento da Paolo Sogliani per farne due candelabri.

All'incirca in questo momento cadrebbe l'esecuzione del gruppetto bronzeo di Ercole e Anteo (Firenze, Mus. Naz.), ricordato negl'inventari medicei del 1492 come negli appartamenti di Giuliano e forse eseguito per lui (Müntz, 1888, p. 85).

Il 17 febbr. 1480 (Pecori, 1853) il B. è a San Gimignano con Antonio di Salvi per la stima di un reliquiario eseguito da Iacopo da Pisa.

Da questo momento la documentazione è più scarsa, e difficile risulta stabilire con esattezza l'inizio dell'attività del B. a Roma - ai sepolcri di Sisto IV e di Innocenzo VIII - sempre alternata con frequenti ritorni in patria. Il Vasari, infatti, dice che fu Innocenzo VIII a invitare il Pollaiolo a Roma; ma è stato giustamente supposto (Ettlinger, 1951 pp. 243 ss.; Pope-Hennessy, 1958, p. 317) che egli avesse ricevuto l'incarico nel 1484 dal cardinale Giuliano Della Rovere, nipote di Sisto IV. Tale supposizione si fonderebbe sulla testimonianza del contemporaneo Raffaele Maffei da Volterra, che scrisse che il B. lavorò alla tomba per un decennio (cfr. Müntz, 18823 p. 86, n. 3). Tuttavia è del 1485 (19 novembre) il pagamento per una tavola eseguita con Piero (o dal solo Piero?) per la cappella del Corpus Domini nel duomo di Pistoia (C. Kennedy-E. Wilder-P. Bacci. 1932, p. 16) e del novembre 1489 (Gaye, p. 341) la lettera già menzionata di Lorenzo il Magnifico a Giovanni Lanfredini, da taluno ritenuta quale raccomandazione del B. all'attenzione della corte romana, ma piuttosto da vedere in rapporto alla commissione del monumento equestre a Francesco Sforza (v. oltre).

Il sepolcro bronzeo di Sisto IV era compiuto nel 1493 e veniva firmato dall'artista: "Opus Antoni Polaioli / Florentini Arg. Auro. / Pict. Aere Clari / An. Do. MCCCCLXXXXIII".

In questi anni, intanto, il Pollaiolo seguitava a inviare lavori a Firenze e a pensare ad altre imprese grandiose: al monumento a Francesco Sforza - mai eseguito -, come ci attestano due celebri disegni (Monaco, Graphische Sanuffiungen; New York, coll. Lehman) eseguiti tra il 1480 e il 1489, e che forse sono gli stessi del Libro del Vasari, che li rammenta nella biografia da lui dedicata al Pollaiolo (p. 287; cfr. S. Meller, 1934). Nel 1491 (L. Del Moro, 1888) il B. mandava a Firenze un modello per la facciata di S. Maria del Fiore, primo ricordo di una non ancora precisata attività architettonica dell'artista, attestataci soltanto dai documenti.

Infatti, mentre dal 1492 attende al sepolcro di Innocenzo VIII - sempre coadiuvato dal fratello Piero -, viene apprestando progetti architettonici, tra i quali un modello per la cupola della sacrestia di S. Spirito (C. Botto, 1932), presentato agli operai di quella fabbrica il 20 maggio 1495: l'esecuzione del progetto ebbe però un esito negativo, perché la cupola, terminata il 5 sett. 1497, rovinò il 10 nov. dello stesso anno (L. Landucci, ed. 1883). Ancora di un'attività d'architetto del B. parlano i documenti a proposito della costruzione di S. Maria dell'Umiltà di Pistoia (1495), dove è tuttavia difficile stabilire quale parte vi abbia avuto l'artista (Sanpaolesi, 1939). Del tutto infondata, poi, risulta la notizia vasariana (p. 296) secondo la quale avrebbe disegnato il palazzo dei Belvedere a Roma.

Del 13 luglio 1494 è la già ricordata lettera da Roma a Virginio Orsini (Borsari, 1891) nella quale il B. proponeva di fargli un ritratto e un monumento equestre senza però riuscire a realizzare il suo desiderio. Dalla stessa lettera si sa che il B. partiva il giorno dopo per la Toscana recando con sé "dua figgure di bronzo", non identificate.

I lavori per i due sepolcri papali (al secondo attese firio all'anno della morte) certo dovettero tenerlo molto impegnato, assieme a Piero, se del periodo romano non rimangono altre opere sicuramente documentate.

Il 4 nov. 1496 il B. faceva testamento: da esso risulta che Piero era morente. Il B. stesso moriva a Roma due anni dopo, nel febbraio 1498, come si desume da una lettera della Signoria fiorentina a Giovanni Bonsi del 13 febbraio di quell'anno (Gaye, p. 340), probabilmente il 4 febbraio (Milanesi, in Vasari, p. 299 nota). Fu sepolto per sua volontà accanto al fratello in S. Pietro in Vincoli, come ancora oggi testimonia la pietra tombale che si trova a sinistra dell'ingresso principale.

Alle opere già citate se ne possono aggiungere altre, non documentate, sia sulla base della biografia vasariana, sia per caratteri stilistici. Le indicazioni dello storico sono però spesso generiche: alcune paci in S. Giovanni, "bellissime"; smalti "in altre chiese di Fiorenza e di Roma, e altri luoghi d'Italia" (Vasari, pp. 288 s.); ritratti di Poggio Bracciolini e di Giannozzo Manetti (p. 272); un S. Cristoforo "fuor della porta" a S. Miniato fra le Torri (P., 293); un bassorilievo di metallo con una "battaglia di nudi" inviata in Spagna, "della quale n'è una impronta di gesso in Firenze appresso tutti gli artefici" ; alcune medaglie (pp. 297 s.). E Richa (1764) rammenta che un S. Sebastiano supposto dei B. era nella chiesa di S. lacopo sopr'Arno a Firenze.

La personalità complessa del Pollaiolo, se consente in taluni casi di discernere con precisione nella produzione che va sotto il suo nome le opere di altra mano, rende difficile la separazione tra la parte avuta da lui e quella avuta da Piero, che in genere subisce l'ascendente del più grande fratello, seguendone fedelmente il dettato e l'ispirazione. È su questo punto che la critica, con alterne vicende, ha insistito di più, cercando di delineare con nettezza i confini di una personalità il cui genio, tuttavia, doveva toccare non solo il collaboratore più diretto, ma anche una sfera assai più larga di artisti attivi nella Firenze del secondo Quattrocento. Particolarmente difficile risulta tale distinzione nelle opere pittoriche dove, per costante tradizione, Piero è accanto al fratello, intervenendo in modo più o meno diretto, spesso conducendo l'esecuzione materiale sulla traccia delle idee di Antonio.

Tuttavia un certo numero di opere sono oggi riconosciute quasi concordemente come di Antonio, mentre per un altro gruppo appare convincente l'intervento di Piero. Un altro raggruppamento, solitamente riferito all'uno o all'altro, è ancora in discussione, quando non sia addirittura rifiutato a entrambi. Tra le opere ritenute di Antonio ma non documentate e variamente datate dalla critica sono: la Comunione di s. Maria Egiziaca (pieve di S. Maria, Staggia); il busto in terracotta di Giovinetto con armatura (Firenze, Mus. Naz.), nel quale si è voluto riconoscere Giuliano de' Medici; David (Berlino-Dahlem, Staatl. Museen); Apollo e Dafne (Londra, Nat. Gall.); Ercole con la clava, bronzetto (Berlino-Dahlem, Staatl. Museen); scudo con Milone di Crotone (Parigi, Louvre); Ercole, Nesso e Dejanira (New Haven, Yale Univ., coll. Jarves). Tra le opere per cui si ritiene che l'esecuzione spetti a Piero su idee di Antonio: Ritratto di Galeazzo Maria Sforza, Firenze, Uffizi), rammentato come di Piero in un inventario mediceo del 1492 (cfr. U. Rossi, 1890); Putti aggiunti alla "lupa capitolina" (Roma, Pal. dei Conservatori); Annunciazione (Berlino-Dahlem, Staatl. Museen); cartone per il paliotto ricamato di Sisto IV (Assisi, Tesoro di S. Francesco).

Tra le opere discusse e più recentemente rigettate dalla critica: una serie di ritratti femminili, di cui gli esemplari più famosi sono a Milano (Museo Poldi Pezzoli) e Berlino-Dahlem (Staatl. Museen); gli affreschi con Danza di nudi nella villa della Gallina a Torre dei Gallo (Arcetri); un Busto d'uomo in marmo (Firenze, Mus. Naz.), forse derivato da un modello del Pollaiolo (PopeHennessy, 1958); una figura ad affresco di S. Girolamo, già in S. Domenico di Pistoia, talvolta riferita anche a Piero.

Un certo numero di bronzetti, variamente attribuiti ad Antonio per generiche affinità stilistiche, non appaiono riferibili con certezza all'artista.

La fama del B. sembra non aver mai subito declino: nata lui vivente e in relativamente giovane età, si mantenne vivissima, anche se gran parte delle sue opere, per varie vicende, andarono perdute: e non furono davvero le meno impegnate e importanti, anzi, al contrario, tra le più famose e ammirate. La testimonianza del credito da lui goduto è affidata perciò soprattutto alle parole e ai ricordi dei contemporanei e dei posteri, che ne rammentarono l'opera sia di pittore-disegnatore, sia quella di orefice. Le commissioni fitte, che culminarono con la chiamata a Roma per l'esecuzione di ben due tombe di papi, accertano l'altezza in cui era tenuta la sua abilità di artefice anche "in grande" alla prova con compiti tanto impegnativi. Le sue pitture, copiate fin nel '500 pieno, dovettero far testo ancora quando era pur fresco il ricordo dei cartone michelangiolesco per la battaglia di Cascina e del grande affresco murale di Leonardo in Palazzo Vecchio, senza la lezione del B. incomprensibili. È infatti verso la parte più "energetica" dell'arte pollaiolesca che guardarono gli artisti a lui contemporanei e più giovani, ispirandosi immediatamente (come il Botticelli) a quella viva fonte di energia scattante che è il segno pollaiolesco, sia esso espresso in pittura, nel disegno, nell'incisione. Un interesse comprensibile nella Firenze della seconda metà del '400, aperta ormai al problema pressante dei movimento e della linea intesa non più a sondare profondità prospettiche, ma a evocare un moto perpetuo, avvolgente, soprattutto nella figura umana, presa a modulo supremo di ricerche sottili di anatomia, di sintesi plastico-spaziali. In tale direzione la lezione del B. ebbe valore costante, di apertura determinante, sia in pittura, sia in scultura. Si comprende come, trascurata quasi la parte sua di orafo, venisse esaltato il ricordo di opere memorabili, per noi vive solo nei disegni, o nelle incisioni di contemporanei o nelle repliche che poté darne (come nel caso delle Fatiche di Ercole) il B. stesso. E per le ultime, nelle due tavolette superstiti degli Uffizi, si avverte chiaro l'interesse fondamentale del B. - e in questo caso divulgato, come soggetto, nel disegno e nel bronzo - per la figura umana colta nel suo slancio massimo di potenza in espansione, attraverso la resa dello sforzo fisico, dei moto contenuto, potenziale, tutto sintetizzato nel gioco sottile, sapiente, della linea. Questo è l'aspetto più appariscente, avvertito già dai contemporanei che lo ammiravano quale conquista recente: basti ricordare il cartone "cum quibusdam nudis Poleyoli" rammentato già dal 1474 nello studio padovano dello Squarcione (V. Lazzarini, Documenti relativi alla pittura padovana del sec. XV, in Arch. veneto, XV[1908], p. 72), o le parole che gli dedica il Cellini nell'introduzione ai suoi Trattati (cfr. B. Cellini, I trattati dell'oreficeria e della scultura, a cura di C. Milanesi, Firenze 1857, p. 7): "...e fu si gran disegnatore, che non tanto che tutti gli orefici si servivano dei sua bellissimì disegni, i quali erano di tanta eccellenzia, che ancora molti scultori e pittori, io dico dei migliori di quelle arti, si servirno dei sua disegni, e con quegli ei si feciono grandissimo onore. Questo uomo fece poche altre cose, ma solo disegnò mirabilmente, et a quel gran disegnare sempre attese". Se è evidente l'esagerazione dell'affermazione celliniana per cui il B. quasi non fece altro, tuttavia la frase dà la misura dell'importanza che ebbe nell'arte sua il disegno: disegno per sé, come ci attesta la famosissima stampa con la Battaglia dei nudi (1460-62), quasi scuola accademica di nudo innanzi il tempo, esempio per tanti artisti che certo ne possedettero almeno un esemplare nel loro studio. L'impegno del B. in quel "gran disegnare" è dunque fondamentale per intenderne ancor oggi la portata nell'ambito artistico fiorentino dell'umanesimo quattrocentesco: la divulgazione meccanica della sua opera ne accrebbe enormemente l'importanza. Ma questo, che è il più evidente aspetto del B. e sul quale si è più fermata l'attenzione, non ne è il solo: se ad esso aggiungeremo una spiritualità ascetica, memore del misticismo trecentesco - e si veda come non a caso risponda anche in altri, nel Botticelli, ad esempio, questa inclinazione, affermata forse per primo dal B. -, come è stato riconosciuto dalla critica più recente, ci renderemo conto della complessità di motivi che anima l'opera del Pollaiolo: da una rudezza plastica di derivazione castagnesca e donatelliana (vedi soprattutto i ricami per S. Giovanni, come ha indicato l'Ettlinger, 1963), all'esaltazione della linea pura, instabile, ondulante o spezzata, a definire una forma spesso spoglia (si veda la S. Maria Egiziaca di Staggia, o gli angeli reggicortina di S. Miniato), che è tale anche nelle opere di oreficeria o di smalto (base del candelabro di S. Giovanni); motivo che non può non evocare il mondo gotico, nel quale Antonio doveva trovare più che un'idea - e non solo nella sua attività di orafo, ancora entro tutta una tradizione di gusto, ma anche negli altri campi di attività -, che collimasse con la sua concezione dell'arte "rinata". Né pare giusto evocare l'esperienza del "gusto del paesaggio fiammingo" (A. Chastel, L'art italien, I, 

Paris 1956, p. 215) per certi sfondi non minutamente descritti, ma prescrutati con ben altra capacità introspettiva (vedi le due tavolette degli Uffizi), per ampliare la sintesi dei motivi che nell'opera di Antonio sembrano chiudere le esperienze di tutto un mezzo secolo, per orientarle verso il nuovo.

Fonti e Bibl.: 
Per la bibl. sino al 1944 v. A. Sabatini, A. e Piero del Pollaiolo, Firenze 1944. Vedi in part.: [Anonimo Fiorentino], Il codice magliabechiano, cl. XVII, 17…, [ca. 154], a cura di C. Frey, Berlin 1892, pp. 65, 81, 103, 126; G. Vasari, Le vite..., a cura di G. Milanesi, III, Firenze 1878, pp. 285-300; F. Bocchi-G. Cinelli, Le bellezze della città di Firenze, Firenze 1677, p. 387; G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine, X, Firenze 1764, p. 355; G. Gaye, Carteggio inedito di artisti..., 1, Firenze 1839, pp. 265, 340 s., 570 s.; G. Aiazzi, Ricordi storici di Cino di Filippo Rinuccini, Firenze 1840, p. 251; M. Gualandi, Memorie... riguardanti le belle arti, s. 5, Bologna 1844, pp. 39-50; L. Pecori, Storia della Terra di S. Gimignano, Firenze 1853, p. 637; C. Guasti, La cupola di S. Maria del Fiore, Firenze 1857, pp. 111-113; E. Müntz, Les arts à la cour des Papes..., III, Paris 1882, pp. 86 s.; L. Landucci, Diario fiorentino, a cura di I. Del Badia, Firenze 1883, p. 3; L. Del Moro, La facciata di S. Maria del Fiore..., Firenze 1888, pp. 20 ss.; E. Müntz, Les collections des Médicis au XVe siècle, Paris 1888, pp. 62 ss.; U. Rossi, Due dipinti di Piero Pollaiolo, in Arch. stor. d. arte, III (1890), p. 166; L. Borsari, Nozze Orsini-Varo. Una lettera di A. del Pollaiolo a Virginio Orsini, Roma 1891; A. Cocchi, Degli antichi reliquiari di S. Maria del Fiore e di S. Giovanni, Firenze 1901, p. 45; G. Poggi, Catal. del Museo dell'opera del Duomo, Firenze 1904, pp. 69, 71, 72, 74-78; I. Del Badia, Appunti d'archivio, in Riv. d'arte, III (1905), p. 123; M. Cruttwell, Quattro Portate del catasto..., in L'Arte, VIII (1905), pp. 381-385; Id., A. Pollaiuolo, London 1907; G. De Nicola, Opere Perdute del Pollaiolo, in Rass. d'arte, XVIII (1918), p. 210; D. E. Colnaghi, A dictionary of Florentine painters, London 1928, pp. 217 s.; C. Botto, L'edificazione della chiesa di S. Spirito..., in Riv. d'arte, XIV (1932), p. 30; C. Kennedy-E. Wilder-P. Bacci, The unfinished monument by Andrea del Verrocchio to the cardinal Nicolò Forteguerri at Pistoia, Northampton, Mass., 1932, pp. 15 s.; S. Melier, I progetti di A. Pollaiolo Por la statua equestre di Francesco Sforza, in Petrovics elek Emlékkönyv (Hommage à Alexis Petrovics), Budapest 1934, pp. 204 s. (nella trad. ital.); P. Sanpaolesi, V. Vitoni..., in Palladio, III (1939), pp. 256, 257, 269, docc. 18-20, 22; S. Ortolani, Il Pollaiuolo, Milano 1948; R. G. Mather, Documents mostly relating to florentine painters and sculptors of the XV century, in The art Bulletin, XXX (1948), pp. 32-35; K. Clark, Landscape into art, London 1949, pp. 21-23, 25. 29; P. Sanpaolesi, Due sculture quattrocentesche inedite, in Belle arti, 1951, pp. 71-80; L. D. Ettlinger, Pollaiuolo's Tomb of Pope Sixtus IV, in Yournal of the Warburg and Courtauld Institutes, XVI (1953), pp. 239-214; J. G. Phillips, Early Florentine Designers and Engravers, Cambridge, Mass., 1955, passim; E. Steingräber, Studien zur Florentiner Goldschmiedekunst. I a). Eine unbekannte Arbeit des A. del Pollaiuolo für das Kloster S. Gaggio bei Florenz, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Instituts in Florenz, VII, 2 (1955), pp. 87-92; M. Levi D'Ancona, Un'opera giovanile del Pollaiolo già ascritta ad Andrea del Castagno, in Riv. d'arte, s. 3, XXXI (1956), pp. 73-91; J. Pope-Hennessy, Italian Renaissance Sculpture, London 1958, pp. 316-318; U. Baldini-L. Berti, Catalogo della II mostra di affreschi staccati, Firenze 1958, pp. 7 s.; B. Berenson, I disegni dei pittori fiorentini, Milano 1961, I. pp. 47-62; II, pp. 443-454; M. Davies, National Gallery Catalogues. The Earlier Italian Schools, London 1961, pp. 442-447; F. Rossi, Di un reliquiario quattrocentesco nel Duomo di Firenze, in Arte antica e moderna, 1961, nn. 13-16, pp. 112 s.; G. Corti-F. Hartt, New Documents, in The art Bulletin, XLIV (1962), pp. 160, 167; B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance. Florentine School, London 1963, pp. 178 s.; I. Pope-Hennessy, Italian bronzo statuettes, I, in The Burlington Magazine, CV (1963), pp. 14-17; P. Dal Poggetto, Arte in Valdelsa... (catal.), Firenze 1963, pp. 52 s.; L. Ettlinger, in Encicl. univ. dell'arte, X, Venezia-Roma 1963, coll. 733-737 (sub voce Pollaiolo Antonio e Piero); A. H. Mayer, Artists as anatomists, in The Metropolitan museum of art Bulletin, XXII (1963-64), pp. 201-210; F. Hartt-G. Corti-C. Kennedy, The chapel of the Cardinal of Portugal (1434-1459) at San Miniato in Florence, Philadelphia 1964, pp. 59, 103-108, 160; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, XXVII, pp. 210-214 (sub voce Pollaiuolo Antonio); Encicl. Ital., XXVII, pp. 694-697 (sub voce Pollaiolo Antonio e Piero).
(Da: http://www.treccani.it/enciclopedia/benci-antonio-detto-il-pollaiolo_(Dizionario-Biografico)/ )

ILL. 3-5. Tesoro di san Pietro, tomba di Sisto IV di Antonio del Pollaiolo, 03.JPG // Size of this preview: 602 × 600 pixels. Other resolutions: 241 × 240 pixels | 482 × 480 pixels | 771 × 768 pixels | 1,028 × 1,024 pixels | 2,112 × 2,104 pixels. // Original file (2,112 × 2,104 pixels, file size: 1.34 MB, MIME type: image/jpeg); ZoomViewer: flash/no flash // Date: 21 December 2011, 17:22:56; Source: Own work; Author: sailko. 


Notizie biografiche: Figura e contributo di Piero, fratello di Antonio:

BENCI, Piero, detto il Pollaiolo . In: Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966),
di Marco Chiarini

BENCI, Piero, detto il Pollaiolo. - Come per il fratello Antonio, il soprannome è derivato dal mestiere paterno; nacque fra il 1441 e il 1443 a Firenze, terz'ultimo di sei figli, da Iacopo e da monna Tommasa.
La data di nascita del B. non può essere stabilita con sicurezza, poiché le fonti, come per il fratello Antonio, non sono concordi. Infatti la lapide in S. Pietro in Vincoli lo dice morto a sessantacínque anni e quindi (poiché si può asserire con quasi assoluta certezza che morì nel 1496) nato nel 1431, mentre le portate al catasto del padre testimoniano che il B. è di un anno nel 1442 (Mather, 1948, p. 32), di quattordici nel 1457 (M. Cruttwell, 1905, p. 381) e in quella dei B. stesso del 1480 (J. MesniI, 1905, p. 7) l'artista si dice di trentatrè anni, cioè nato nel 1447. Tuttavia, se già nel 1460 - secondo la lettera di Antonio a Virginio Orsini (13 luglio 1494; cfr. Borsari, 1891) - egli aiutava il fratello nell'esecuzione delle Fatiche di Ercole per Piero de' Medici, sembra probabile che l'anno di nascita del B. vada posto tra il 1441 e il 1443, come ormai è comunemente accettato.

Secondo il Vasari (p. 286), l'educazione del B. si svolse nella bottega di Andrea del Castagno, che però moriva nel 1457, quando il B. era appena quindicenne: meglio pensare - anche per la testimonianza di Antonio e delle fonti, che accanto al fratello lo indicano operoso nelle imprese maggiori - che egli cominciasse a formarsi col fratello, del quale lo troviamo costante collaboratore e traduttore di idee.

Il B. è costantemente ricordato come pittore - nel 1472 è iscritto come tale nei ruoli della Compagnia di S. Luca (Colnaghi, 1928, pp. 218 s.) -, tanto che il Vasari fantasticò che Antonio avesse imparato da lui l'arte della pittura: cosa poco verosimile, e da volgersi in rapporto inverso, se il B. risulta sempre a latere rispetto al fratello e se, a partire dal 1460, egli appare nelle fonti, nei documenti e nel Vasari stesso, quale aiuto e in posizione subordinata.

Tale ascendente di Antonio sul B. è avvertibile, del resto, anche quando quest'ultimo è all'opera da solo: ed egli si avvale del fratello non solo per trame suggerimenti e aiuto dal punto di vista artistico, ma anche nelle cose di ordine pratico, ché la rinomanza acquistata da Antonio a Firenze serve a procurare anche a lui incarichi e guadagni.

Dopo aver collaborato con Antonio alla decorazione della cappella del cardinal di Portogallo (1467 circa), il B. riceve (18 ag. 1469) l'allogazione per la prima delle Virtù (la Carità) da collocare nelle spalliere dei seggi del Tribunale della Mercanzia, sito in piazza della Signoria. Il quadro - che con gli altri della stessa serie è oggi nella Galleria degli Uffizi - risulta terminato il 18 dicembre 1469. L'opera, che doveva sostituire una figurazione analoga già esistente, dovette riscuotere un certo successo, se, a partire dal gennaio 1470, è affidato al B. l'incarico di dipingere le altre sei Virtù, con l'impegno di consegnare due figure ogni tre mesi.

Attorno alla commissione ci fu una certa lotta: infatti Antonio dovette appoggiare il fratello con una garanzia (27 sett. 1469) e il Verrocchio stesso (e probabilmente anche altri pittori) fornì un disegno per la Carità: tuttavia il B. non riuscì a dipingere tutte le figure commissionate, perché il pannello con la Fortezza, per intervento di Pier Soderini, fu poi affidato al giovane Botticelli (18 giugno 1470; si trova agli Uffizi).

Il 2 agosto il B. veniva pagato venti fiorini d'oro per le figure della Fede (il cartone per la testa è conservato nel Gabinetto dei disegni degli Uffizi: n. 14506; cfr. Berenson, 1961) e della Temperanza. In seguito i documenti tacciono: si può forse dedurre che nel frattempo, o non molto tempo dopo, il B. avesse consegnato gli altri pannelli con la Sapienza, la Giustizia, e la Prudenza (tutta la documentazione in J. Mesnil, 1903, e in Cruttwell, 1907, pp. 267-271).

In queste opere, diseguali per qualità e ispirazione, è evidente, oltre l'apporto del gusto di Antonio, una diretta suggestione del Verrocchio, il cui disegno per una delle Virtù probabilmente il B. aveva visto e studiato. Come è stato notato (Sabatini), la componente verrocchiesca era del resto già presente nell'opera del B., per esempio nelle parti spettantigli della pala per la cappella del cardinal di Portogallo in S. Miniato (1467 circa).

Nel 1475 il B. è di nuovo accanto al fratello nell'esecuzione di una delle loro maggiori imprese pittoriche: la pala per la cappella Pucci nell'oratorio di S. Sebastiano presso la SS. Annunziata. Più difficile distinguere qui, nella generale unità stilistica impressa da Antonio, la parte avuta dal B. (si noti che a lui l'Albertini attribuì l'opera): ma certe debolezze in talune parti (soprattutto nella figura del santo, d'altra parte ricordata dal Vasari proprio come di Antonio) fanno pensare all'esecuzione di Piero. Tra il 1475 e il 1480 è rammentata, come opera di collaborazione dei due fratelli, una cintura d'argento con incrostazioni d'oro per il vescovo di Pistoia, Niccolò Pandolfini (C. Kennedy-E. Wilder-P. Bacci, 1932, p. 15).

Il B. in questo periodo è legato, come attività, a Pistoia; probabilmente anche ora per i buoni uffici del fratello, riesce ad ottenere una commissione da parte degli operai di S. lacopo che nel 1477 gli chiedono un modello - unica testimonianza certa di un'attività di scultore del B. - per il monumento al cardinale Forteguerri, per il quale già il Verrocchio aveva dato un progetto. L'11 marzo di quell'anno, infatti, il comitato preposto all'esecuzione faceva presente a Lorenzo il Magnifico che il modello presentato dal B. veniva a costare meno e che inoltre "ora Piero del Pollaiuolo à facto il modello che per noi li fu imposto, il quale ci pare più bello et più degnio d'arte..." (Gaye, p. 257). La cosa però non ebbe corso, perché il monumento, terminato 

molto più tardi, rimase per l'esecuzione nelle mani del Verrocchio (C. Kennedy-E. Wilder-P. Bacci, 1932; J. Pope-Hennessy, 1958, pp. 314 s.).

Sempre per Pistoia il B. eseguì una tavola commissionata dalla Compagnia di S. Zelone, per l'altare del Corpus Domini nel duomo pistoiese. La data di allogazione non è determinabile, anche se si è pensato che fosse subito dopo il 20 nov. 1476 (A. Chiti, 1900), mentre risulterebbe da documenti che nel novembre 1485 veniva pagata l'ultima somma a Piero e ad Antonio (C. Kennedy-E. Wilder-P. Bacci, p. 16). La tavola è perduta e non si può quindi sapere se il nome di Antonio fosse citato perché anch'egli autore, col fratello, del dipinto, o invece come semplice mallevadore di Piero.

Nel 1478 al B. venne commissionata la tavola per l'altar maggiore della cappella di S. Bernardo in Palazzo Vecchio (G. Milanesi, Documenti inediti riguardanti Leonardo da Vinci, Firenze 1872, p. 15): non sappiamo per quali ragioni egli declinasse tale commissione, trasferita a Leonardo (che non eseguì il dipinto) e poi a Filippino Lippi.

Dalla portata al catasto del 148o (Mesnil, 1905, p. 7) ci è noto che la situazione finanziaria del B. è ben diversa da quella di Antonio, e che egli affitta come studio una casetta - casa Pomi - nella piazza degli Agli.

Il 5 ott. 1482 gli venne commissionata la decorazione ad affresco per la faccia del pozzo nella sala dell'udienza in Palazzo Vecchio (Gaye, I, p. 578). Di tale opera non rimane traccia. Nel 1483 firma e data la grande tavola con l'Incoronazione della Vergine per S. Agostino di San Gimignano. Come è stato proposto dal Sabatini, forse la commissione della tavola gli fu procurata da Antonio che era a San Gimignano nel febbraio 1480.

Dopo quest'opera, condotta completamente da solo, l'attività del B. rientra nell'orbita di quella del fratello che lo conduce con sé a Roma per l'esecuzione del monumento funebre a Sisto IV, in un anno imprecisato fra il 1484 (Sabatini, Ettlinger) e il 1489 (Ortolani), ma probabilmente dopo il 1485, anno in cui i due fratelli ricevono il saldo per la tavola eseguita per il duomo pistoiese. Da questo momento non è documentariamente precisabile l'attività del B. né la sua parte nell'esecuzione dei monumenti bronzei a Sisto IV e a Innocenzo VIII: mentre nel primo l'impronta di Antonio risulta palese nel complesso, nel secondo talune debolezze - nel viso della figura stante del papa e nelle quattro Virtù (che secondo l'Ettlinger rivelano una vicinanza stilistica a quelle della Mercanzia) - indicherebbero l'intervento diretto di Piero. A quest'ultiffla opera egli attendeva fin verso il 1496, quando per testimonianza di Antonio (testamento del 4 nov. 1496) egli è detto "infirmus... et prope mortem" (Gualandi): è probabile quindi che entro la fine dell'anno il B. morisse. Fu sepolto in S. Pietro in Vincoli, nella stessa tomba in cui fu poi inumato il corpo di Antonio. Lasciava una figlia naturale, Lisa, menzionata nel testamento di Antonio (Gualandi, pp. 46 s.).

Poche altre opere, oltre quelle documentate, si possono ascrivere al B., che le condusse sulle indicazioni del fratello (e per esse si rinvia alla voce di Antonio), come il S. Michele Bardini (che il Vasari assegna ad Antonio), l'Arcangelo Raffaele con Tobiolo (Torino, Galleria Sabauda), opera documentata di collaborazione, il Ritratto di Galeazzo Maria Sforza (Firenze, Uffizi), attribuito al B. in un inventario mediceo del 1492 (Rossi, 1890, p. 166). Tra le opere generalmente attribuite al solo B. va ricordata la Madonna col Bambino benedicente già nella Galleria di Strasburgo (distrutta in un incendio nel 1950), che è stata avvicinata alle figure di Virtù per la Mercanzia; l'Annunciazione (Berlin-Dahlem, Staatl. Muscen) che al Sabatini sembra di poco posteriore (per la prospettiva e il paesaggio parve a quest'ultimo che il B. si fosse giovato di un'idea di Antonio); una serie di ritratti femminili, che tuttavia qualcuno ritiene nulla abbiano a che vedere con l'opera dei due B. (Ettlinger, 1963). Non sono del B. né la lunetta ad affresco in S. Nicolò Oltrarno (attribuita dal Berenson, Ital. pictures ...), né la figura ad affresco di S. Girolamo che era già in S. Domenico di Pistoia (riferita anche ad Antonio).

Per un'attìvità di orafo esercitata dal B. - testimoniata per altro dalla collaborazione col fratello nell'esecuzione della cintura per il vescovo di Pistoia - è recente la proposta di F. Rossi (1961) di assegnargli parte di un reliquiario del dito di s. Giovanni (Firenze, Museo dell'Opera dei duomo) che il B. avrebbe eseguito in collaborazione con l'orafo Matteo di Giovanni Dei: il reliquiario in questione sarebbe, sempre per F. Rossi, da identificarsi con probabilità con quello commissionato, ad Antonio il 9 apr. 1478, forse mai eseguito, poiché la commissione sarebbe stata passata ai due artisti suddetti.

Tra le opere di scultura attribuite al B. va rammentato il gruppo dei due gemelli aggiunti alla lupa capitolina, collocata da Sisto IV sulla facciata del palazzo dei Conservatori fra il 1471 e il 1473, generalmente ascritto a lui per vicinanza di stile alle parti al B. solitamente riferite nel monumento a Innocenzo VIII. Non è del B., invece, il bozzetto in terracotta (Londra, Victoria and Albert Mus.) per il monumento Forteguerri di Pistoia. Alcuni suoi disegni sono discussi dal Berenson (1961).

Fonti e Bibl.: 
Per la bibl. fino al 1944 v. A. Sabatini, Antonio e Piero del Pollaiolo, Firenze 1944. In partic.: F. Albertini, Memoriale di molte statue et picture... di Florentia, Firenze 1510 (ed. H. P. Horne, Firenze 1909), pp. 12, 13; G. Vasari, Le vite..., a cura di G. Milanesi, III, Firenze 1878, pp. 285-300; G. Gaye, Carteggio inedito d'artisti..., I, Firenze 1839, pp. 256 s., 578; M. Gualandi, Memorie... risguardanti le belle arti, s. 5, Bologna 1844, pp. 39-50; U. Rossi, Due dipinti di P. Pollaiolo, in Arch. stor. dell'arte, III (1890), pp. 160 s.; L. Borsari, Nozze Orsini-Varo. Una lettera di Antonio del Pollaiolo a Virginio Orsini, Roma 1891; A. Chiti, Una tavola ignota del Pollaiolo, in Boll. stor. Pistoiese, II (1900), pp. 41-48; J. Mesnil, Les figures des Vertus de la Mercanzia..., in Miscell. d'arte, I (1903), n. 3, pp. 43-46; Id., Botticelli, les Pollaiuoli et Verrocchio, in Riv. d'arte, III (1905). pp. 4-12, 44 s.; M. Cruttwell, Quattro portate del catasto..., in L'Arte, VIII (1905), p. 381; Id., Antonio Pollaiuolo, London 1907, v. Indice; D. E. Colnaghi, A dictíonary of Florentine Painters, London 1928, pp. 218 s.; C. Kennedy-E. Wilder-P. Bacci, The unfinished monument by Andrea dei Verrocchio to the cardinal Nicolò Forteguerri at Pistoia, Northampton, Mass., 1932, pp. is s.; R. G. Mather, Documents mostly relating to fiorentine Painters and sculptors of the XV century, in The Art Bull., XXX (1948), pp. 32-35; S. Ortolani, Il Pollaiuolo, Milano 1948; L. D. Ettlinger, Pollaiuolo's Tomb of Pope Sixtus IV, in Yournal of the Warburg and Courtauld Institures, XVI (1953), pp. 246 s.; J. Pope-HennessY, Italian Renaissance Sculpture, London 1958, pp. 314, 316 ss.; U. Baldini-L. Berti, Catalogo della II mostra di affreschi staccati, Firenze 1958, pp. 47 s.; B. Berenson, I disegni dei pittori fiorentini, Milano 1961, I, pp. 47-62; Il, pp. 443-454; M. Davies, National Gallery Catalogues. The Earlier Italian Schools, London 1961, pp. 442-447; F. Rossi, Di un reliquiario quattrocentesco nel Duomo di Firenze, in Arte antica e moderna, IV (1961), nn. 13-16, pp. 112 s.; G. Corti-F. Hartt, New Documents..., in The Art Bull., XLIV (1962), pp. 160, 167; B. Berenson,  Italian Pictures of the Renaissance. Florentine School, London 1963, pp. 178 s.; L. D. Ettlinger, in Enciclopedia Universale dell'Arte, X, Venezia-Roma 1963, coll. 733-737; F. Hartt-G. Corti-C. Kennedy, The Chapel of the Cardinal of Portugal (1434-1459) at San Miniato in Florence, Philadelphia 1964, pp. 103-108; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, XXVII, p. 215 (sub voce Pollaiuolo, Piero); Encicl. Ital., XXVII, pp. 694-697 (sub voce Pollaiolo, Antonio e Piero).

(Da: http://www.treccani.it/enciclopedia/benci-piero-detto-il-pollaiolo_(Dizionario-Biografico)/ )

Le Fonti: 
Vasari: Vite de' pittori, scultori et architettori che sono stati da Cimabue in qua.
Biografia di Antonio Pollaiolo:
"Molti di animo vile cominciano cose basse, a' quali crescendo poi l'animo con la virtù, cresce ancora la forza et il valore; di maniera che, salendo a maggiori imprese, aggiungono vicino al cielo co' bellissimi pensier loro; et inalzati dalla fortuna, si abbattono bene spesso in un principe buono, che trovandosene ben servito, è forzato remunerare in modo le loro fatiche che i posteri di quegli ne sentino largamente et utile e comodo. Laonde questi tali caminano in questa vita con tanta gloria a la fine loro, che di sé lasciano segni al mondo di maraviglia, come fecero Antonio e Piero del Pollaiuolo, molto stimati ne' tempi loro, per quelle rare virtù che si avevano con la loro industria e fatica guadagnate. Nacquero costoro nella città di Fiorenza, pochi anni l'uno dopo l'altro, di padre assai basso e non molto agiato, il quale conoscendo per molti segni il buono et acuto ingegno de' suoi figliuoli, né avendo il modo a indirizzargli a le lettere, pose Antonio all'arte dello orefice con Bartoluccio Ghiberti, maestro allora molto eccellente in tale esercizio, e Piero mise al pittore con Andrea del Castagno, che era il meglio allora di Fiorenza. Antonio, dunque, tirato innanzi da Bartoluccio, oltre il legare le gioie e lavorare a fuoco smalti d'argento, era tenuto il più valente che maneggiasse ferri in quell'arte.

Laonde Lorenzo Ghiberti, che allora lavorava le porte di S. Giovanni, dato d'occhio alla maniera d'Antonio, lo tirò al lavoro suo in compagnia di molti altri giovani. E postolo intorno ad uno di que' festoni che allora aveva tra mano, Antonio vi fece su una quaglia che dura ancora, tanto bella e tanto perfetta, che non le manca se non il volo. Non consumò, dunque, Antonio molte settimane in questo esercizio, che e' fu conosciuto per il meglio di tutti que' che vi lavoravano, di disegno e di pazienzia, e per il più ingegnoso e più diligente che vi fusse. Laonde crescendo la virtù e la fama sua, si partì da Bartoluccio e da Lorenzo, et in Mercato Nuovo, in quella città, aperse da sé una bottega di orefice magnifica et onorata. E molti anni seguitò l'arte, disegnando continuamente, e faccendo di rilievo cere et altre fantasie, che in brieve tempo lo fecero tenere (come egli era) il principale di quello esercizio. Era in questo tempo medesimo un altro orefice chiamato Maso Finiguerra, il quale ebbe nome straordinario e meritamente, ché per lavorare il bulino e fare di niello, non si era veduto mai chi in piccoli o grandi spazii facesse tanto numero di figure quante ne faceva egli; sì come lo dimostrano ancora certe paci, lavorate da lui in S. Giovanni di Fiorenza, con istorie minutissime de la Passione di Cristo. Costui disegnò benissimo et assai, e nel libro nostro v'è dimolte carte di vestiti, ignudi e di storie disegnate d'acquerello. A concorrenza di costui fece Antonio alcune istorie, dove lo paragonò nella diligenzia e superollo nel disegno. Per la qual cosa i consoli dell'Arte de' Mercatanti, vedendo la eccellenzia di Antonio, deliberarono tra loro che avendosi a fare di argento alcune istorie nello altare di S. Giovanni, sì come da varii maestri in diversi tempi sempre era stato usanza di fare, che Antonio ancora ne lavorasse. E così fu fatto. E riuscirono queste sue cose tanto eccellenti, che elle si conoscono fra tutte l'altre per le migliori; e furono la cena d'Erode et il ballo d'Erodiana; ma sopra tutto fu bellissimo il S. Giovanni, che è nel mezzo dell'altare, tutto di cesello et opera molto lodata. Per il che gli allogarono i detti consoli, i candellieri de l'argento, di braccia tre l'uno, e la croce a proporzione, dove egli lavorò tanta roba d'intaglio e la condusse a tanta perfezzione, che e da' forestieri e da' terrazzani sempre è stata tenuta cosa maravigliosa. Durò in questo mestiero infinite fatiche, sì ne' lavori che e' fece d'oro, come in quelli di smalto e di argento; in fra le quali sono alcune paci in S. Giovanni, bellissime, che di colorito a fuoco sono di sorte, che col penello si potrebbono poco migliorare. Et in altre chiese di Fiorenza e di Roma, et altri luoghi d'Italia si veggono di suo smalti miracolosi. Insegnò quest'arte a Mazzingo fiorentino et a Giuliano del Facchino, maestri ragionevoli, et a Giovanni Turini sanese, che avanzò questi suoi compagni assai in questo mestiero, del quale da Antonio di Salvi in qua, (che fece di molte cose e buone, come una croce grande d'argento nella Badia di Firenze, et altri lavori) non s'è veduto gran fatto, cose che se ne possa far conto straordinario. Ma, e di queste e di quelle de' Pollaiuoli, molte per i bisogni della città nel tempo della guerra, sono state dal fuoco destrutte e guaste. Laonde, conoscendo egli che quell'arte non dava molta vita alle fatiche de' suoi artefici, si risolvé per desiderio di più lunga memoria, non attendere più ad essa. E così avendo egli Piero ~ suo fratello che attendeva alla pittura, si accostò a quello per imparare i modi del maneggiare et adoperare i colori, parendoli un'arte tanto differente da l'orefice, che se egli non avesse così prestamente resoluto d'abandonare quella prima in tutto, e' sarebbe forse stata ora che e' non arebbe voluto esservisi voltato. Per la qual cosa spronato dalla vergogna più che dall'utile, appresa in non molti mesi la pratica del colorire, diventò maestro eccellente. Et unitosi in tutto con Piero lavorarono in compagnia dimolte pitture. Fra le quali per dilettarsi molto del colorito, fecero al cardinale di Portogallo una tavola a olio in San Miniato al Monte, fuori di Fiorenza, la quale fu posta sull'altar della sua cappella, e vi dipinsero dentro S. Iacopo Apostolo, S. Eustachio e San Vincenzio, che sono stati molto lodati. E Piero particolarmente vi fece in sul muro a olio, il che aveva imparato da Andrea del Castagno, nelle quadrature degl'angoli sotto l'architrave, dove girano i mezzi tondi degl'archi, alcuni Profeti; et in un mezzo tondo una Nunziata con tre figure. Et a' capitani di parte dipinse, in un mezzo tondo, una Nostra Donna col Figliuolo in collo et un fregio di Serafini intorno, pur lavorato a olio. Dipinsero ancora in S. Michele in Orto, in un pilastro in tela a olio, un Angelo Raffaello con Tobia; e fecero nella Mercatanzia di Fiorenza alcune virtù, in quello stesso luogo dove siede, pro tribunali, il magistrato di quella. Ritrasse di naturale Messer Poggio, segretario della Signoria di Fiorenza, che scrisse l'istoria fiorentina dopo Messer Lionardo d'Arezzo, e Messer Giannozzo Manetti, persona dotta e stimata assai, nel medesimo luogo dove da altri maestri assai prima erano ritratti Zanobi da Strada, poeta fiorentino, Donato Acciaiuoli et altri. Nel Proconsolo e nella cappella de' Pucci a S. Sebastiano de' Servi, fece la tavola dell'altare che è cosa eccellente e rara, dove sono cavalli mirabili, ignudi e figure bellissime in iscorto, et il S. Sebastiano stesso ritratto dal vivo, cioè da Gino di Lodovico Capponi e fu quest'opera la più lodata che Antonio facesse già mai. Conciò sia che per andare egli imitando la natura il più che e' poteva, fece in uno di que' saettatori, che appoggiatasi la balestra al petto si china a terra per caricarla, tutta quella forza che può porre un forte di braccia in caricare quell'instrumento; imperò che e' si conosce in lui il gonfiare delle vene e de' muscoli et il ritenere del fiato, per fare più forza. E non è questo solo ad essere condotto con avvertenza, ma tutti gl'altri ancora, con diverse attitudini, assai chiaramente dimostrano l'ingegno e la considerazione, che egli aveva posto in questa opera, la qual fu certamente conosciuta da Antonio Pucci, che gli donò per questo trecento scudi, affermando che non gli pagava appena i colori, e fu finita l'anno 1475. Crebbeli dunque da questo l'animo et a San Miniato, fra le torri, fuor della porta, dipinse un S. Cristofano di dieci braccia, cosa molto bella e modernamente lavorata, e di quella grandezza fu la più proporzionata figura che fusse stata fatta fino a quel tempo. 
Poi fece in tela un Crucifisso con S. Antonino, il quale è posto alla sua cappella in S. Marco. In palazzo della Signoria di Fiorenza lavorò alla porta della catena un S. Giovanni Battista; et in casa Medici dipinse a Lorenzo Vecchio tre Ercoli in tre quadri, che sono di cinque braccia, l'uno de' quali scoppia Anteo, figura bellissima, nella quale propriamente si vede la forza d'Ercole nello strignere, che i muscoli della figura et i nervi di quella sono tutti raccolti per far crepare Anteo: e nella testa di esso Ercole si conosce il digrignare de' denti, accordato in maniera con l'altre parti, che fino a le dita de' piedi s'alzano per la forza; né usò punto minore avvertenza in Anteo, che stretto dalle braccia d'Ercole, si vede mancare e perdere ogni vigore, et a bocca aperta rendere lo spirito. L'altro ammazzando il leone, gli appunta il ginocchio sinistro al petto et afferrata la bocca del leone con ammendue le sue mani, serrando i denti e stendendo le braccia, lo apre e sbarra per viva forza, ancora che la fiera per sua difesa, con gli unghioni malamente gli graffi le braccia. Il terzo, che ammazza l'Idra, è veramente cosa maravigliosa, e massimamente il serpente, il colorito del quale così vivo fece e sì propriamente, che più vivo far non si può. Quivi si vede il veleno, il fuoco, la ferocità, l'ira, con tanta prontezza che merita esser celebrato e da' buoni artefici in ciò grandemente imitato.
Alla Compagnia di S. Angelo in Arezzo fece da un lato un Crucifisso e dall'altro in sul drappo a olio un S. Michele che combatte col serpe, tanto bello, quanto cosa che di sua mano si possa vedere; perché v'è la figura del S. Michele che con una bravura affronta il serpente, stringendo i denti et increspando le ciglia, che veramente pare disceso dal cielo per far la vendetta di Dio contra la superbia di Lucifero, et è certo cosa maravigliosa. Egli s'intese degli ignudi più modernamente che fatto non avevano gl'altri maestri inanzi a lui, e scorticò molti uomini, per vedere la notomia lor sotto. E fu primo a mostrare il modo di cercar i muscoli che avessero forma et ordine nelle figure; e di quegli tutti, cinti d'una catena, intagliò in rame una battaglia, e dopo quella fece altre stampe con molto migliore intaglio che non avevano fatto gl'altri maestri ch'erano stati inanzi a lui. Per queste cagioni, adunque, venuto famoso in fra gl'artefici, morto papa Sisto IV fu da Innocenzio suo successore condotto a Roma, dove fece di metallo la sepoltura di detto Innocenzio, nella quale lo ritrasse di naturale a sedere, nella maniera che stava quando dava la benedizzione, che fu posta in San Pietro. E quella di papa Sisto detto, la quale finita con grandissima spesa, fu collocata questa nella cappella che si chiama dal nome di detto pontefice, con ricco ornamento e tutta isolata; e sopra essa è a giacere esso Papa molto ben fatto e quella [di) Innocenzio in S. Pietro, accanto alla capella dov'è la lancia di Cristo. Dicesi che disegnò il medesimo la fabbrica del palazzo di Belvedere, per detto Papa Innocenzio, se bene fu condotta da altri, per non aver egli molta pratica di murare. 

Finalmente, essendo fatti ricchi morirono poco l'uno dopo l'altro, amendue questi fratelli, nel 1498, e da' parenti ebbero sepoltura in S. Piero in Vincula. Et in memoria loro, allato alla porta di mezzo, a man sinistra entrando in chiesa, furono ritratti ambidue in due tondi di marmo con questo epitaffio:

Antonius Pullarius, patria Florentinus, pictor insignis,
qui duorum Pontificum Xisti et Innocentii
aerea monimenta miro opificio
expressit. Re familiari composita ex
testamento. Hic secum Petro fratre condi voluit.
Vixit annos LXXII.
Obiit anno Salvatoris MIID.

Il medesimo fece di basso rilievo in metallo una battaglia di nudi che andò in Ispagna, molto bella, della quale n'è una impronta di gesso in Firenze appresso tutti gl'artefici. E si trovò dopo la morte sua il disegno e modello che a Lodovico Sforza egli aveva fatto per la statua a cavallo di Francesco Sforza duca di Milano, il quale disegno è nel nostro libro in due modi: in uno egli ha sotto Verona, nell'altro egli, tutto armato e sopra un basamento pieno di battaglie, fa saltare il cavallo addosso a un armato. Ma )a cagione perché non mettesse questi disegni in opera, non ho già potuto sapere. Fece il medesimo alcune medaglie bellissime, e fra l'altre in una la congiura de' Pazzi, nella quale sono le teste di Lorenzo e Giuliano de' Medici, e nel riverso il coro di S. Maria del Fiore e tutto il caso come passò appunto. Similmente fece le medaglie d'alcuni pontefici et altre molte cose che sono dagli artefici conosciute.

Aveva Antonio quando morì anni LXXII e Pietro anni LXV. Lasciò molti discepoli, e fra gli altri Andrea Sansovino. Ebbe nel tempo suo felicissima vita, trovando pontefici ricchi e la sua città in colmo, che si dilettava di virtù; per che molto fu stimato, dove se forse avesse avuto contrari i tempi non avrebbe fatto que' frutti che e' fece, essendo inimici molto i travagli alle scienze, delle quali gli uomini fanno professione e prendono diletto. Col disegno di costui furono fatte per S. Giovanni di Fiorenza due tonicelle et una pianeta e piviale di broccato, riccio sopra riccio, tessuti tutti d'un pezzo, senza alcuna cucitura; e per fregi et ornamenti di quelle, furono ricamate le storie della vita di S. Giovanni, con sottilissimo magisterio et arte da Paulo da Verona, divino in quella professione e sopra ogni altro ingegno rarissimo; dal quale non furono condotte manco bene le figure con l'ago, che se le avesse dipinte Antonio col penello: di che si debbe avere obligo non mediocre alla virtù dell'uno nel disegno, et alla pazienza dell'altro nel ricamare. Durò a condursi questa opera anni XXVI, e di questi ricami fatti col punto serrato, che oltre all'esser più durabili appare una propria pittura di penello, n'è quasi smarito il buon modo, usandosi oggi il punteggiare più largo, che è manco durabile e men vago a vedere".



Roma, Chiesa di San Pietro in Vincoli. Tomba di Antonio e Piero del Pollaiolo. 




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